I sintomi

Se il protagonista del manoscritto che stai leggendo:

a) ha un passato/presente di donnaiolo;

b) ha un viso segnato, ma ancora affascinante;

c) ha una donna/moglie/fidanzata inquietantemente brava a letto (e bellissima), ma lui qualche volta l’ha tradita perché… capita;

d) fa un lavoro barbosissimo;

e) racconta la vicenda in prima persona (pensieri compresi);

f) è incredibilmente tollerante con se stesso;

g) confonde Scarlett O’Hara con Ornella Vanoni (la prima non ha detto: «Domani è un altro giorno, si vedrà…», bensì «Dopotutto, domani è un altro giorno!»);

h) filosofeggia sul significato della vita anche mentre si allaccia le scarpe;

i) ti ripete che si trova in mezzo a una vicenda appassionante, ma tu proprio non capisci a cosa ti dovresti appassionare;

… non sconcertarti!
Sei alle prese con un normalissimo caso di ombelichitudine, una malattia diffusissima che colpisce gli individui convinti che basti applicare un po’ di fantasia alla propria esistenza per ottenere un romanzo.
A quanto ne so, tuttavia, non è ancora stata trovata una cura.

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09 2007

5 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    eheh, ma ti arrivano davvero cose del genere? E le leggi fino alla fine? Quanto ti pagano? :)

  2. catrionapotts #
    2

    Sì, mi arrivano regolarmente e talvolta mi arriva anche di peggio. Comunque, no, non le leggo per intero (non mi pagano abbastanza per farlo :-) ). Per qualche testo si arriva alle 30-40 pagine, per altri ne bastano 10 (e “bastare” è il verbo giusto).

  3. marghe #
    3

    Parole sante, ma dove li mettiamo gli amici che sapendo che scrivi vengono da te gongolanti gongolanti e ti buttano là una frase del tipo: “Sulla mia vita potresti scrivere un romanzo”?
    Tu li guardi e pensi che l’unico risultato che potresti ottenere scrivendo il romanzo sulla loro vita è quanto hai citato sopra.

    Sei un grande!!!

  4. marghe #
    4

    nb. sei un editore?

  5. catrionapotts #
    5

    Agli amici non si dice *mai* che si sta scrivendo qualcosa. S’inventano scuse improbabili («Sai, ho una partita di lacrosse e non posso venire a cena da te…») piuttosto che dire la verità. Oppure, se l’errore è stato compiuto, li si ascolta, magari prendendo addirittura appunti, e poi ci si ammanta di mistero («No, guarda, le prime righe del terzo capitolo le ho già riscritte quaranta volte…»). Alla fine, se il libro esce e i tuoi amici sono delusi dal fatto che non vi compaiono, potrai lenire il loro dolore portandoli alle presentazioni, dove si daranno un sacco di arie dicendo: «Sono un amico dell’autore…»
    Alla tua seconda domanda rispondo: lavoro in una CE. Al secondo piano… :-)



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