Un caffè al buio

Potete vederla qui (c’è anche un video). Si chiama Espresso Book Machine. Realizza una copia finita di Canto di Natale di Charles Dickens in cinque minuti. Gerald Beasley, della Columbia University, l’ha paragonata ai copisti medievali: «E’ un copista-robot… C’è qualcosa di magico nell’affidargli la realizzazione di una copia del proprio libro.»
Per carità, per me può stampare qualsiasi cosa, fuori diritti e in diritti. E forse, in futuro, libererà gli esordienti dalla smania di avere il proprio testo «pubblicato» (una smania che spesso li fa cadere nelle braccia di quegli strozzini degli editori a pagamento). Però non va dimenticato che uno sguardo esterno deve esserci, su qualsiasi libro che viene offerto al pubblico. Lo sguardo di chi sceglie di pubblicare quel libro, di un editor che lo vuole migliorare, di un correttore di bozze che trova il refuso bastardo. Qualche giorno fa, parlando con un autore straniero, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che, se i nostri mondi non s’incontrano, entrambi camminiamo nel buio: lui isolato a scrivere, noi isolati a pubblicare. Soltanto parlando e confrontandoci (su qualsiasi scala, dalla singola parola di un testo al lancio planetario di un libro) si riesce a dare il meglio al lettore, che poi è l’unica cosa che conta. No, non è retorica: sarebbe ora di smetterla con l’idea che l’editore sia un losco figuro che succhia soldi da due parti (autore e lettore) o che vuole fregare entrambi. O con l’idea che l’editore sia unicamente interessato alla cultura e non capisca nulla (non voglia capire nulla) di mercato. Idee che, va detto, di solito escono da chi non è riuscito a pubblicare nulla o ha pubblicato vendendo una miseria.

Uh, che discorso serio e lungo. Lo riprenderò. Adesso vado a rituffarmi nella pre-F.

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10 2007

7 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Sul fatto che si lamenti solo chi non ha pubblicato, o ha pubblicato male, chiedo scusa ma si tratta di un argomento capzioso, il cui significato si potrebbe facilmente capovolgere – solo chi non è entrato nel giro ne denuncia le brutture.

    Certo sarebbe bello smettere con l’idea dell’editore come losco figuro se molti editori smettessero di essere loschi figuri giustificando così la “leggenda”.
    Fuor di retorica, le storie (purtroppo verificate) di traduzioni non pagate, testi “bruciati”, manoscritti piratati e tante altre pratiche poco etiche abbondano a tutti i livelli.
    Da anni.
    E non riguardano solo vanity press e stampatori a pagamento.

    Ben venga perciò l’editore che si pone eticamente come colui che mette in contatto autori e lettori, con qualcosa in mente di più del quattrino.
    Rappresenta se non altro un bel cambiamento.

    Ma anche l’opportunità per l’autore di poter saltare l’intermediario ed autoprodursi non va demonizzata.

    Esistono mercati in cui il volume autoprodotto sposta decine di migliaia di copie, e rappresenta per l’autore un introito parallelo a quello “tradizionale”, e la possibilità di sperimentare forme e temi al di fuori di regole e contratti pregressi.
    Mica roba da poco.

  2. catrionapotts #
    2

    Infatti non ho detto che si lamenta “solo” chi non ha pubblicato o ha pubblicato male. Ho detto che “di solito” lo fa. E che le brutture ci siano è un’altra cosa indubbia (e altrettanto indubbio è il fatto che andrebbero denunciate.. Ma chi è dell’ambiente lo sa, credimi). Io mi riferivo all’atteggiamento di sospetto che circonda l’editore, un atteggiamento che spesso (non sempre) deriva dal fatto che la funzione dell’editore non è chiara come quella dello scrittore o del libraio.
    Inoltre, come dicevo all’inizio del post, non ho assolutamente nulla contro chi si autopubblica, anzi. Ho solo forti dubbi che tra i mercati cui tu ti riferisci ci sia l’Italia (le eccezioni ci sono sempre, eh?), anche perché qui ci sono una confusione culturale e un’”ansia da pubblicazione” troppo spesso male indirizzate. Sapessi quante delle proposte che ricevo sono del tutto “fuori asse” rispetto alla CE…

  3. marghe #
    3

    Da autore non pubblicato il mio monito va più che altro alle scelte editoriali italiane e non tanto all’editore come figura in sé. Andiamo in una bella libreria una di quella che sorgono nelle grandi città. Andiamo a cercare i settori di interesse degli autori italiani e cataloghiamo la loro produzione: saggistica, narrativa con particolare attenzione alle storie di vita vissuta, biografie di personaggi antichi, moderni, del piccolo e del grande schermo e un numero infinito di manuali su qualunque cosa possa saltarvi in mente.
    E gli altri generi?
    Quando l’anno scorso mi sono ritrovata con un Fantasy made in Italy ero a dir poco sconvolta. Leggevo il nome dell’autrice e della biografia sulla sovracopertina e mi domandavo quanta gente avesse dovuto corrompere (modo di dire, nessuna accusa) per riuscire in una simile impresa. Il libro alla fine si è dimostrato molto piacevole anche se ostico in alcuni punti, ma l’ho letto con doppio piacere perchè era di un’autrice italiana e non era il classico fantasy alla Tolkien.
    Credo che da mettere sotto lente siano le scelte editoriali. Siamo tanto rintanati nella nostra arroganza di paese della cultura classica da esserci rifugiati in una produzione che rifiuta qualunque altro tipo di narrazione.

  4. catrionapotts #
    4

    C’è del vero in quello che dici. Ma la tua è una visione un po’ astratta, da esterna. Troppo spesso, nelle proposte italiane, manca la consapevolezza. E con consapevolezza intendo l’umiltà del lavoro dello scrivere. Le proposte italiane troppo spesso somigliano a spari nel buio: ho un’idea, la butto giù e poi la propongo a un editore. Ciò non significa che la persona in questione non abbia passato le notti a scrivere, intendiamoci. E’ più una questione di sapere quello che si vuole scrivere e di come farlo. Tutto ciò (spesso) manca in Italia: ci s’innamora dell’idea di essere scrittori, forse della possibile fama e si dimentica che (come per qualsiasi lavoro) non è per niente facile riuscire. E’ soprattutto da qui che viene la selezione e non dal genere, credimi. Il “genere” balza agli occhi perché gli autori (anche esordienti) stranieri (e le CES) sono molto più… professionali (è un discorso molto lungo, che coinvolge molte persone). Se poi, come dicevo prima, mandi la tua opera narrativa a un editore che pubblica solo poesia…

  5. 5

    Di fatto, nel nostro paese, la gran parte di coloro che scrivono non leggono.
    Tutto il resto è una diretta conseguenza di ciò.

  6. catrionapotts #
    6

    Un signore distinto si presenta a Dacia Maraini con un manoscritto. Ovviamente le vuole chiedere di leggerlo, di darle un parere per un’eventuale pubblicazione. Mentre la Maraini prende il manoscritto, il signore distinto mormora: “Sa, odio leggere… però mi piace tanto scrivere!” (raccontato da Dacia Maraini qualche tempo fa, credo su Repubblica)

  7. marghe #
    7

    Leggere è la cosa più bella che possa esistere e non è possibile scrivere se prima non si legge. E poi volete mettere la soddisfazione di avere una stanza colma di libri che avete già letto? Due pareti le ho già riempite, e domani monterò la libreria ikea per la terza. LEGGETE GENTE!!! LEGGETE!!!!



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