E li chiamano traduttori… (II)

A grande richiesta, continua la saga. La prima puntata la trovate qui.

La vista di John si annerì ai lati.

Un senso familiare di crescente disperazione prese a farsi strada all’interno del suo essere.

Ma quando il nuovo collaboratore del presidente iniziò a ritardare di una settimana, e gli articoli si erano attenuati, l’allarme crebbe.

John trovò che il respiro gli era stato semplicemente rubato dalla vista del suo amore.

John arretrò dalla stanza.

Le lacrime cominciarono a scorrerle nuovamente negli occhi

Allora John sparò, colpendo il pavimento di legno proprio in mezzo ai suoi piedi e schegge di legno si staccarono dal pavimento, proprio in mezzo ai suoi tacchi.

Lei si mise a singhiozzare dietro le labbra.

«Credo che voglia passare a te il manto della sua responsabilità», disse John.

08

10 2007

12 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Giura che sono tutte vere!
    E soprattutto – metti sempre John tipo Mario Rossi oppure sono perle in un’unica trad.?
    Lacrime che scorrono negli occhi, singhiozzi dietro le labbra, vista che si annerisce ai lati – ’sti americani possono vantare un’anatomia tutta loro.

  2. catrionapotts #
    2

    Giuro (purtroppo).
    Sì, metto sempre John in stile “Mario Rossi” ma queste perle appartengono a un’unica traduzione, diversa da quella della prima puntata. E quindi sì, sono di un altro traduttore.

  3. 3

    Notevole, ma non sorprendente.
    Esistono esempi ancora più orripilanti.
    L’ultimo che mi è capitato era

    “lo stordì con uno storditore”

    Una volta ho persino rispedito un libro all’editore, con le annotazioni in rosso a margine – non c’era pagina che si salvasse.
    E’ da un po’ che penso di mettere insieme una collezione di queste cose, tipo stupidario, ed intitolarla “Olio di castoro”.

  4. marghe #
    4

    Sono senza parole… sarebbe il caso di fargli leggere qualcosa in italiano ogni tanto, magari capiscono come funziona

  5. 5

    Si sentiva che di lì a poco i fiori di ippocastano avrebbero fatto schiudere le grandi gemme lucenti che ancora li opprimevano, e che ormai sarebbero bastati soltanto due o tre giorni di sole perché la natura si mostrasse con esuberanza.

    (incipit che invoglia poco a proseguire, mi sembra)

  6. 6

    Scusate se mi intrometto. Sono una traduttrice (come liseuse di qualche commento sopra) e vorrei dire la mia. Premesso che certi sfondoni sono sfondoni e basta e che spesso nascono dall’ignoranza vergognosa, vorrei solo mettere in risalto un paio di cose che magari non sono note ai non addetti ai lavori (e lo faccio senza acrimonia, perché ci sono dei begli ignoranti anche trai miei colleghi, però è bene che si capisca in quali situazioni lavora un traduttore).

    Punto numero 1: i tempi. Mi è capitato di dover tradurre 300 pagine in un mese. Non per colpa mia, ma per ordini superiori di una casa editrice. Ora, vi rendete conto cosa vuol dire tradurre 10 pagine al giorno, compresa la revisione e la rilettura finale, e lavorando anche di sabato e di domenica? In media è già tanto se un traduttore bravo in un giorno traduce 6 o 7 pagine, riposando il sabato e la domenica. Se i tempi di lavoro sono stretti, qualche errore ci scappa.

    Punto numero 2: l’originale. Spesso è difficile capire quanto si può abbellire un originale parecchio brutto di suo. Può capitare di dover limare o sinonimizzare, togliere qualcosa qua e là, ma spesso non è semplice riscrivere da capo un testo, quando l’originale è davvero scadente.

    Punto numero 3: la revisione. Spesso ci sono delle vere e proprie battaglie con gli editor o i revisori. Chi non è del giro non sa che un romanzo tradotto viene rivisto da un collaboratore interno o esterno della casa editrice, che dovrebbe rilevare gli eventuali errori e aiutare il traduttore. In realtà a volte (non sempre, perché c’è anche gente molto in gamba in giro) il revisore infarcisce il testo di castronerie, spesso il traduttore non ha il modo di rivedere le bozze ‘corrette’ e il testo va in stampa con i refusi aggiunti e la firma di chi non ce li aveva messi.

    Punto numero 4: la visibilità. Soprattutto in Italia un buon traduttore sta nell’ombra (chi conosce il nome della traduttrice di Sepùlveda? o di Ian Mc Ewan? o di Pennac? eppure è grazie alle signore in questione che i due scrittori sono famosi) e viene messo in risalto solo quando in un suo testo vengono rilevati degli errori

    Punto numero 5: il guadagno. Lo so che sembra venale parlare di soldi, ma vi ho detto che alle volte un traduttore si ritrova a dover tradurre (rivedere e rileggere) 10 pagine al giorno, sotto stress, ma non vi ho detto che una pagina viene pagato in media 10 euro lordi (in media, le eccezioni pagano anche 13, ma so di case editrici che pagano 5), fate un po’ i conti e vedete se riuscireste così a pagare un mutuo o l’asilo di due figli. Per questo spesso il traduttore editoriale è costretto a fare questo lavoro come secondo lavoro, al rientro da scuola, o da un ufficio, passando le nottate davanti al pc.

    Tutto questo per fare luce sulla situazione in cui molti di noi devono lavorare.

    Ripeto, questo non giustifica certa ignoranza (poco tempo fa ho dovuto smettere di leggere un libro tradotto perché era praticamente illeggibile), però, ecco, non è sempre e solo colpa nostra.

    Gazie e a presto

  7. catrionapotts #
    7

    Per carità, chiaradavinci, hai ragione su tutti i punti, nessuno escluso.
    E, credimi, soltanto una persona capisce meglio di un traduttore quale sia la sua condizione: chi lavora in CE e affronta quotidianamente la fatica-libro. Il fatto è che le “perle” indicate non sono state generate né dalla fretta né dallo stress. E il traduttore non ha battuto ciglio quando gliele ho fatte notare. Il mio discorso è esattamente il tuo: la professionalità. Una professionalità che parte dall’autore, passa attraverso l’editore. il traduttore, il revisore, il correttore di bozze e, mi sento di dire, anche attraverso il lettore. Sono in troppi quelli che pensano che, per essere un traduttore, basti masticare un po’ la lingua di partenza. Quindi non è “colpa vostra” è colpa di una situazione troppo spesso affannata e confusa.
    Altre risposte varie:
    * Lo so, il tempo è poco, ma il traduttore dovrebbe sempre dare un’occhiata alle bozze. E invece ci sono traduttori che non guardano neanche il libro finito.
    * La tariffa: non si devono accettare cinque euro. Punto e basta. Sì, è dura, durissima, ma se hai dignità della tua professione non lo fai.
    * La visibilità: è più interna che esterna, lo so. Ma il bravo traduttore emerge sempre.

  8. 8

    Fiùùùù (segue gesto della mano destra che asciuga una fronte fino a pochi secondi prima leggermente aggrottata per la preoccupazione). Meno male che mi hai capito. Quello era l’intento del mio intervento e ti ringrazio per le tue precisazioni, che condivido al 99% (sull’”emergibilità” del bravo traduttore ti rimando a un post recente di liseuse). Fosse sempre così facile comunicare con chi sta dentro alle CE, questo lavoro sarebbe molto più gratificante.

    Abbasso i cialtroni.

  9. 9

    Io quelli che non guardano le bozze non li capisco – potessi, mi intrufolerei pure in tipografia :)
    No, dai… quasi.
    Devo dire che mi sento una privilegiata, finora, ed è ora di sbandierare cose positive sulle case editrici: avrei soltanto desiderato tempi un attimo più lunghi, a volte (anche se a volte è stato un problema mio, bisogna imparare a gestirsi, ed è, secondo me, qualcosa che si impara con il tempo…), ma per il resto ho sempre lavorato molto bene con le case che mi hanno dato lavoro, ho sempre potuto discutere delle modifiche apportate dai revisori, ho sempre riguardato le bozze, ho sempre ricevuto pagamenti con tempi svizzeri (clap clap grande!).
    Comunque di papere grosse grosse ne ho prese anche io – ci mancherebbe! Come spero, l’importante è che siano pochissime, non seriali, frutto soltanto di quelli che io chiamo “momenti d’assenza”, e NON di pigrizia sistematica, di trascurataggine, di atteggiamento del tipo “ma sì, andrà bene”, di mancanza di voglia di controllare, controllare, controllare.

  10. catrionapotts #
    10

    Se fossi un autore, altro che in tipografia: vorrei avere diritto di veto anche sulle cianografiche. “Non esce parola che io non voglia!” sarebbe il mio (sgrammaticato) motto. Tenete presente – chiaravinci e liseuse – anche un’altra cosa: i tempi stretti che voi vi trovate ad affrontare, li devono affrontare anche quelli che lavorano in CE. Mi rifiuto di credere che ci sia qualcuno che concede un mese di tempo a un traduttore se può concederne due o magari tre. Sì, vabbè, insomma… io non lo faccio! :-) )

  11. 11

    Catriona, ti credo ciecamente. Ma non sempre, oso dire, magari proprio per i “tedeschi” – il primo romanzo che ho tradotto l’ho consegnato a ottobre 2005 ed è uscito un anno dopo. Credo che la revisora abbia avuto quasi più tempo di me :-D Ma non lo dico con fastidio, livore o che so io, bensì con una matura (ohiohi) tranquillità – perché ormai ho capito che in CE ci sono dinamiche imperscrutabili per noi traduttori che stiamo prima e fuori.
    E poi una impara a produrre più velocemente, che è sempre un bene.

  12. 12

    Riallacciandomi al post di chiaradavinci ed ai suoi cinque punti (tutti verificati, e ho le cicatrici per dimostrarlo): ammetterete che tradurre in fretta (1) e male per pochi soldi (5) un libro brutto (2) per un editore mediocre, che non fa revisionare il manoscritto (3) e ci considera zero (4) come quadro generale è abbastanza deprimente.

    Verissimo che mangiare è un vizio difficile da perdere, ma sarebbe ora di cominciare a farsi valere.

    Che diavolo, all’estero i traduttori hanno il nome in copertina insieme con l’autore!

    Se i cialtroni hanno fatto degenerare il mercato, è ora di cominciare a riprenderselo.



Additional comments powered by BackType