Ci mettiamo insieme?

Il posto più strano della F è l’AC (Agents Center). Immaginatevi un piano intero di un ipermercato e raddoppiatelo. Poi riempitelo di file e file di scrivanie, identificate da lettere dell’alfabeto e da un numero. A ogni scrivania, tre sedie: una da una parte e due dall’altra. Seduto nella sedia singola, un AA. Seduto/i davanti uno o più esponenti di una CE. E, mentre intorno si agita un formicaio di gente e una babele di lingue, lì, alla scrivania tutto sembra concentratissimo. Perché magari si stanno concludendo affari davvero importanti. O, più probabilmente, perché è l’unico momento dell’anno in cui le persone di una CE e gli AA hanno modo di guardarsi negli occhi e di capire veramente cosa vogliono l’uno dall’altra (e viceversa). È un balletto di sguardi e di mezze parole, di sonde lanciate in un abisso di proposte, di diffidenza e di fiducia insieme. Sembra un po’ un luogo per fare speed dating: mezz’ora (o meno) per capire se si è in sintonia, se il prossimo «hot book»  che quell’AA avrà in mano finirà subito (magari in anteprima) nella tua e-mail oppure no. Ma è soprattutto il luogo in cui la consapevolezza di far parte del mondo-libro raggiunge il culmine: nei padiglioni della F puoi essere un individuo qualsiasi, un visitatore distratto. Nell’AC, invece, non ci sono dubbi: fai parte integrante del sistema, ne sei un elemento determinante. Il messaggio che si legge negli sguardi e nelle parole è: «Facciamo cultura, mica pomodori in scatola!» E questo, talvolta, mi sembra un po’ eccessivo…
Per contro, nell’AA ho avuto uno degli incontri più divertenti in assoluto perché mi sono trovata coinvolta in una conversazione in cui si alternavano italiano, francese, inglese e tedesco. Un’insalata esilarante, che rende tutto meno faticoso e più umano.

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10 2007

2 Commenti Commenta ↓

  1. marghe #
    1

    Ben tornata in questi lidi!

  2. 2

    gli incontri a Francoforte sono divertentissimi. a parte gli scrittori (mi sono ritrovata per caso a fare da interprete a Sepùlveda, Fo e Baricco) c’è un vero e proprio Sammelsurium di varia umanità internazionale.

    ho conosciuto uno dei miei migliori amici alla Buchmesse del ‘95, io ero solo un’interprete, lui uno di quelli che facevano Cultura sul serio. viviamo in paesi diversi, ci sentiamo tre-quattro volte all’anno, ma l’affetto non muta. e nelle nostre conversazioni continuiamo ad alternare italiano, francese, tedesco e inglese.



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