Servo

Non ho visto L’amore al tempo del colera e non credo che lo vedrò. Anche perché i disastri usciti dalle trasposizioni cinematografiche dei testi di Gabriel García Márquez sono tristemente emblematici nel loro sforzo di trasportare la cosiddetta “magia” della parola scritta sullo schermo. Uno sforzo che risale ai primi del ‘900 e che, da allora, ha sempre suscitato dibattiti, ispirato studi, attizzato polemiche. Ma ancora oggi, in tutto ciò, troppo spesso si rimane prigionieri dell’ignoranza: si concorda sul fatto che tradurre è “dire quasi la stessa cosa”, e poi, davanti al film tratto da un libro, ci si lancia in frasi del tipo: “Nel romanzo c’è di più”, “La psicologia di X nel romanzo è più approfondita” eccetera, affermando implicitamente che il linguaggio cinematografico è “servo” della parola scritta perché inferiore. Ed è una cosa che mi rattrista molto: vediamo film sin dall’infanzia e nessuno ce li spiega, mentre passiamo mesi (anni?) sulla grammatica della nostra lingua. Ed è un discorso che si potrebbe fare anche per la musica e per la storia dell’arte.
Dai, fatevi un regalo: la prossima volta che guardate Barry Lyndon fatelo con un occhio un po’ diverso. C’è un sacco di bella roba, là fuori.

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12 2007

1 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    “L’amore ai tempi del colera” è forse il libro di Marquez che preferisco. Non sto qui a spiegarne i motivi, ma proprio per questo motivo dubito che andrò al cinema a vederne il film. Se il film non dovesse piacermi potrei tacciarlo di lesa maestà, ma non mi sembra il caso, quindi credo che salterò.
    Quello tra libri e film è proprio un rapporto difficile. Io preferisco il libro perché mi lascia più tempo per entrare nelle vite dei personaggi, per giudicarli e cercare la loro compagnia.
    Louie



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