Curiosi?

Ebbene: anche qui, sull’italico suolo, va abbastanza così. E’ vero che noi non abbiamo il loro marketing sofisticato, però ci vuole tempo e spesso per cose che non riguardano il contenuto del libro, bensì il modo in cui viene offerto. Prima di finire sui banchi, il libro viene “venduto” diverse volte. All’interno della CE sono l’editor e il direttore editoriale che ne discutono, scegliendo una strategia di presentazione. Poi se ne parla nelle riunioni in cui si traccia il programma della CE, nelle riunioni con i rappresentanti (quelli che poi devono “venderlo” ai librai), nelle riunioni con i grafici, ai giornalisti che devono riceverlo prima dell’uscita, eccetera. Proprio come dice Laurence Kirshbaum nell’articolo: “It’s one of the anomalies of our business that you have to reinvent the wheel with every title, virtually.”
Senza contare che noi, povera minoranza linguistica, spesso abbiamo pure i tempi per la traduzione, un concetto che gli americani fanno molta fatica a comprendere.

(grazie a Emmebi [un blog leggero] per avermi fatto scoprire l’articolo]

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08

02 2008

1 Commenti Commenta ↓

  1. khamsin #
    1

    Beh, certo che leggere su un giornale americano che la Gran Bretagna ha una “more insular literary culture” è come sentire il bue che dice cornuto all’asino. Negli USA pare che sul totale dei libri pubblicati annualmente solo il 3% siano traduzioni da lingue straniere. Ora, voglio dire, se non è insularità (e miopia), questa…



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