Penna e calamaio (II)

Caro scrittore, cara scrittrice,
se stai leggendo queste righe, probabilmente qui ti sei riconosciuto nel caso 1.
Ti do modo di pensarci ancora un po’.
Perché devi essere sincero/a con te stesso/a.
Fino in fondo.
Perché vuoi essere pubblicato/a? Vediamo le possibili motivazioni.

  • Perché la tua vita è unica, i tuoi sentimenti sono fortissimi, la tua vicenda personale è strabiliante. Abbiamo già detto che nella stragrandissima maggioranza dei casi tutto questo non è vero. Ma, ammettendo pure che sia così, perché questa tua vita unica, fortissima, strabiliante dovrebbe finire in un libro? Non ti basta aver avuto un esistenza fuori del comune, vuoi pure vantartene?
  • Perché hai qualcosa da dire. A chi? Cosa? Come? Sei sicuro/a che non sia già stato adeguatamente detto? Sei sicuro/a di poterlo o doverlo dire diversamente?
  • Ti diverte scrivere. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se “divertirà” anche gli altri? E perché dovresti farlo? Non ti basta il piacere della scrittura?
  • Hai un’enorme fantasia. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se tale fantasia è coerente, se è in grado, per esempio, di sorreggere un libro intero? E perché tale fantasia dovrebbe essere portata agli altri? Non ti basta il piacere di usarla per scrivere?
  • Non puoi fare a meno di scrivere e vuoi diffondere la tua parola. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se le cose che scrivi interesseranno anche gli altri?

Guardiamoci negli occhi. Tutte queste motivazioni sono vere e false allo stesso tempo. Sono vere perché (spesso) sono sincere. Ma, in fondo, sono soltanto modi diversi per dire una cosa sola: ciò che davvero s’insegue è la ricerca del riconoscimento pubblico. Nulla di male. Però bisogna ammetterlo. Esiste la necessità (il bisogno, l’urgenza) di scrivere. Non esiste nessuna necessità (bisogno, urgenza) di pubblicare, cioè di rendere pubblico un testo. Sei pronto/a ad ammetterlo?

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02 2008

27 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    è perché di fare un disco non m’è riuscito ;)

  2. 2

    mi hai convinto, voglio pubblicare la storia della mia vita. hai presente, quella storia alla quale si è ispirato big fish?

  3. 3

    no io invece perchè non ho nulla da fare ora che aspetto che esca il mio disco :-)

    E no, riguardo al post, credo che tu abbia centrato il punto della questione in pieno. Post molto interessanti.

  4. 4

    ma perché non c’è il 6° punto, “Fare i soldi”?

  5. 5

    Fare i soldi credo che rientri nel punto 2 del primo post “Penne al calamaro”.

    Io avrei messo anche: perché mi piace narrare storie.

  6. 6

    lo sai che così non avremmo più libri, dischi, opere d’arte?

    A parte quelle valide, intendo.

  7. 7

    Catriona, temo che i notevolmente veri vizi di forma da te individuati nelle motivazioni dello scrittore siano tuttavia a loro volta impregnati da altrettanti vizi di forma individuabili nelle motivazioni del lettore professionale :)

  8. 8

    Perché la tua vita è unica, i tuoi sentimenti sono fortissimi, la tua vicenda personale è strabiliante.
    Sono morto. E poi sono RISORTO!
    Perché hai qualcosa da dire.
    In verità, in verità ti dico…
    Ti diverte scrivere.
    Ho pronti quattro libri. Poi tutta una serie di appendici e sequel, e un volume conclusivo per l’intera saga, grandioso e apocalittico.
    Hai un’enorme fantasia.
    Cammino sull’acqua! Resuscito gente! Moltiplico pani e pesci!
    Non puoi fare a meno di scrivere e vuoi diffondere la tua parola.
    Hai centrato il punto.

    Insomma, cara Catriona, consiglia ai tuoi lettori di fondare una religione!

  9. catrionapotts #
    9

    @ breznev E un film?
    @ michele ricevuto stop aspetto manoscritto stop
    @ morgenstern danke!
    @ paolo perché, come dice Louie, appartiene all’altra categoria
    @ Louie Certo, non sono tutti i motivi. Quello che citi è un incrocio di alcuni altri, ma il prodotto non cambia :-)
    @ Rumenta Eh, eh, eh…
    @ ThePetunias Ma certo. E la riprova è che non sono ai Caraibi, mollemente sdraiata a godermi i frutti (monetari) conseguenti all’aver scoperto tutti i bestseller degli ultimi dieci anni. Tuttavia se uno scrittore esordiente almeno si ponesse queste domande, avremmo meno spari nel buio (più profondo) e più tentativi meditati :-)
    @ passi falsi Hai davvero una storia interessante. Mi ricorda qualcosa… anche se non saprei dire esattamente cosa ;-) Insomma, per male che vada, fonderemo insieme una religione! (Conosci le “schede di lettura” contenute nel Diario minimo di Umberto Eco e soprattutto quella della Bibbia?)

  10. 10

    Dolenti declinare ;)

    (oh, comunque, quel libro lì, secondo me Gutenberg l’ha stampato solo perché era raccomandato)

  11. 11

    La questione del “riconoscimento pubblico” mi sembra piuttosto importante. Una questione complessa. Premetto che, a mio parere, si scrive sempre per gli altri e mai per sé stessi. La pubblicazione è quindi il naturale completamento di una scrittura che non sia ad esclusivo uso privato. Naturalmente, non si può pubblicare tutto (su carta), sarebbe insensato e pure impossibile. Ma a questo servono (anche) le CE, a selezionare. Il loro compito sarebbe certo più semplice e gratificante se i sedicenti scrittori avessero una capacità critica minima e un più sano “narcisismo”. Invece, vogliono avere il proprio nome sulla copertina. Non è che vogliono “pubblicare”, vogliono proprio “apparire”, forse persino “esistere”. Pensandoci bene, fanno più rabbia o più pena?

  12. 12

    ah no! ah no! voler fare i soldi non implica voler diventare un personaggio!

  13. g. #
    13

    dico io: ma alle case editrici interessa davvero la motivazione mistica che spinge qualcuno a inviare un manoscritto? non si potrebbe semplicemente metterla così: “mi piace scrivere, bene o male penso di saperlo fare, mi piacerebbe riuscire a camparci”? tentiamo tutti di campare facendo qualcosa che ci piace. chiusa lì.

  14. 14

    @ g. dici: “mi piacerebbe riuscire a camparci”. Ma questa non è una motivazione, è piuttosto un’illusione. Per campare dignitosamente con i diritti d’autore dei libri, uno scrittore dovrebbe vendere almeno 50.000 copie all’anno (detto all’ingrosso, ovviamente), considerate le tasse e trattenute varie. Quanti ne conosci che vendano tanto? Forse è meglio tornare alle motivazioni “mistiche”.

  15. catrionapotts #
    15

    @ breznev :-D (anche secondo me)
    @ omniaficta Purtroppo non è così. Spesso le proposte sono rivolte all’esterno soltanto in apparenza. Sotto la trasparente superficie si scorgono valanghe di rimuginazioni interiori, il bisogno di dire qualcosa a se stessi e non agli altri.
    @ paolo beneforti Sì, d’accordo. Ma in fondo non c’è molta differenza, dai ;-)
    @ g. Le CE non hanno nessun interesse “mistico”. Queste sono semplicissime notazioni personali scaturite da quello che mi capita di leggere ogni giorno e spero che siano almeno vagamente utili a chi vuole scrivere. Il tuo discorso, almeno in teoria, non fa una grinza (anche se sul “camparci” avrei i miei dubbi).

  16. 16

    Sono d’accordo con omniaficta quando dice che “[...] si scrive sempre per gli altri e mai per sé stessi”.
    Per lo meno nella maggior parte dei casi.

    Il desiderio di pubblicazione fa parte del naturale bagaglio di tanti grandi scrittori.

    Da solo non basta, ma c’è.

  17. g. #
    17

    io dico che c’è un sacco di gente che campa scrivendo. non solo romanzi: scrivendo. ma fai un romanzo e pensi che possa essere valido e allora vuoi che il tuo campare, per una anche piccola parte, possa ringraziare anche quello, che a farlo ti sei divertito e a rileggerlo continui a pensare che non sia poi così male. per il resto, sono d’accordo con quasi tutti.

  18. catrionapotts #
    18

    @ lud_wing Purtroppo, come dicevo, questo slancio all’esterno spesso manca. E comunque, ovvio, da solo non basta.
    @ g. Io posso parlare soltanto per i libri; ho escluso di proposito l’attività della scrittura genericamente intesa. E, ripeto, non c’è nulla di male a credere di aver scritto un buon romanzo o un bel saggio (ci mancherebbe altro). Però troppo spesso quella serietà e quella consapevolezza che sono richieste in altre professioni si dissolvono davanti alla (propria) pagina scritta. Ecco perché mi piace l’idea di far almeno riflettere un po’ quelli che vogliono scrivere (per pubblicare).

  19. 19

    Catriona, letti tutti i punti, mi verrebbe da porti una domanda.
    Tu perchè ti sei “pubblicata” su un blog?

    ;D

  20. catrionapotts #
    20

    @ SodaRedCola Be’, semmai “autopubblicata”, no? E poi perché sono stanca dell’immagine paludata e/o astratta delle CE. E poi perché ero certa che avrei trovato persone simpatiche e intelligenti con cui confrontarmi. E forse perché sono un po’ masochista ;-)

  21. Paola #
    21

    Lo ammetto ritengo la mia vita unica e pesante che vorrei allegerirla buttandola su carta o forse vorrei solo trasformarla in un libro per rileggerla e dirmi che in fondo ..non è così male.
    Posso farcela?
    Paola

  22. catrionapotts #
    22

    @ Paola Uffa, ma alcuni di voi mi stanno trasformando in Giuliano Fer… ehm… in un mostro! :-) Ma certo che potete scrivere quello che volete, quanto e come volete. E’ il passo verso la pubblicazione che va ponderato. Quindi, Paola, vai tranquilla. Il mostro qui presente non ti darà il minimo fastidio ;-)

  23. Mauro #
    23

    Chiedere a chi scrive perché vuole essere pubblicato è come chiedere a chi studia medicina perché si vuole laureare e lavorare in ospedale. Basterebbe che leggesse un po’ di testi medici e poi darebbe consigli medici a parenti e amici. O no?

  24. catrionapotts #
    24

    @ Mauro Chi studia medicina lo fa perché deve apprendere per poi agire concretamente (la taglio grossa, eh?) e non limitarsi a dare consigli. Il rapporto tra scrivere e pubblicare non è così automatico.

  25. 25

    La butto lì: “perché con tutti i cani e porci che pubblicano oggigiorno, perché non dovrei provarci pure io?”.

  26. catrionapotts #
    26

    @ Flores Infatti. Però, per riuscirci, bisogna applicarsi…

  27. FF #
    27

    Da profano ed estraneo al mondo dell’editoria, vorrei fare un’ipotesi sul perché ci si faccia pubblicare (potendo) o si scriva nella speranza di essere pubblicati (pur essendo le due situazioni alquanto diverse, parto dal presupposto che la spinta di fondo possa rimanere sostanzialmente inalterata).
    Credo che una risposta sufficiente potrebbe anche essere questa: perché si ha “voglia” di essere “scrittore”. Banale? E perché no? Che ci ha fatto di male la banalità? Però si può anche spiegare meglio. Personalmente credo che in tutte le considerazioni qui pubblicate si possa rinvenire (più o meno ampiamente) qualcosa della psicologia dello scrittore o, ancora di più, dell’aspirante tale. Tuttavia quella di “essere scrittore” mi sembra una voglia a parte, che può anche convivere con le altre, può contenerle o esserne contenuta, ma comunque si distingue e vive, per così dire, per proprio conto. Essere scrittore (concetto che secondo me include il “farlo”… Bisogna dirlo, giacché taluni potrebbero ritenere che esserlo coincida con il sembrarlo) può anche essere avvertito, a torto o ragione, come un modo (non realmente l’unico ma magari il primo e forse anche il migliore che viene in mente) per essere ciò che si pensa di “dover” essere. Questo “dovere” secondo me non è propriamente morale (ma in parte potrebbe esserlo) o esistenziale (termine oltretutto logorato da una soffocante aurea di ridicolo), in quanto nella mia accezione esso include anche faccende ben poco “mistiche”: studiare; ricercare; lavorare… Ma anche: competere faticosamente… Ma anche: guadagnare denaro; ottenere una “posizione sociale” più o meno stabile; riuscire ad imparare e dominare un “mestiere”; ideare e realizzare progetti… Ma anche: fallire; tentare di migliorare; ritentare tenendo presente che un nuovo fallimento, perfino più disastroso, sia senz’altro possibile…

    Insomma chi vuole fare lo scrittore perché ha “voglia di essere scrittore”, sarebbe uno che si propone di praticare un’arte facendone anche un mestiere.

    Ovviamente ottenere questo è difficilissimo ed è, dunque, estremamente improbabile che si possa “diventare” scrittore (nel senso pieno che si diceva ma anche, semplicemente, nel senso di riuscire a farsi pubblicare, magari da un “cattivo” editore). Inoltre immagino che sia quasi altrettanto difficile rimanere scrittore dopo esserlo stato, magari grazie ad una prima buona prova alquanto occasionale (a tal proposito, se non erro, in questo momento mi viene in mente Daniel Keyes). Inoltre bisogna anche dire che se è improbabile riuscire ad essere pubblicati ed è ancora più improbabile riuscire a vendere qualcosa, appare ulteriormente più improbabile riuscire a pagarsi da vivere scrivendo (soprattutto qualora si parli di soli libri).

    Ma tutto questo conta poco, perché la motivazione di cui parlavo non si infiacchisce di fronte alla difficoltà e tanto meno muta in considerazione delle scarse possibilità di successo. In questi casi: non si scrive perché ci si creda eccezionali ma perché si intravede (magari sbagliando o non essendone all’altezza) l’eccezionale bellezza di quanto potrebbe essere detto; non si scrive perché si creda di avere qualcosa di nuovo da dire ma perché “viene” qualcosa da dire (se non si fosse convinti della relativa “novità” e/o “adeguatezza” della faccenda non si sarebbe soddisfatti e, dunque, si butterebbe via il proprio lavoro); non si scrive perché sia divertente ma si cerca il divertimento (ovvero la serenità) ché si intravede alla fine di un lungo e faticosissimo processo; non si scrive perché si abbia fantasia ma si è costretti ad usare la fantasia necessaria per scrivere…

    Ma arriviamo al punto cruciale. In questi casi: non si scrive per “avere una posizione” ma “si è nella posizione” di chi scrive (è necessario, perché se così non fosse non si avrebbe la serenità e la forza per essere ciò che si “deve” essere); non si scrive per guadagnare denaro ma si guadagna il denaro che deriva dallo scrivere (anche questo è necessario, perché se così non fosse non si sarebbe compiutamente uno scrittore, nel senso che si diceva, e dunque non si sarebbe ciò che si “deve” essere); non si scrive per essere pubblicati ma si viene pubblicati, e SI VUOLE essere pubblicati, SOLO DOPO essere “diventati” scrittori… In definitiva bisogna augurarsi che dio salvi i potenziali scrittori dai cattivi editori, perché questi hanno il potere di portarli sulla cattiva strada!

    p.s. In via subordinata, che dio salvi almeno i buoni editori dai cattivi scrittori!



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