Penna e calamaio (IV)

Va bene, ho scherzato. Non importa il perché. Vuoi essere pubblicato/a e basta.
Sei un/un’esordiente e vuoi essere pubblicato/a (si torna sempre lì, eh?).
Potrei metterla così: anche in questo non siamo americani. Fatevi un giro su Amazon o sul sitarello artigianale di qualsiasi piccolo, piccolissimo autore e vedrete come ci crede, a quello che fa.
Potrei anche dire che pubblicare in Italia, per molti, equivale a vincere un po’ di soldi col gratta e vinci. Minimo sforzo, massimo risultato. E come no? E’ arcinoto che in Italia i letterati guadagnano più di qualsiasi CEO.
In termini un po’ più seri, direi che troppo spesso, in un/un’esordiente mancano la consapevolezza, la chiarezza d’intenti e la competenza (come già dicevo qui)

Consapevolezza In primis quella di (voler) essere uno scrittore. L’idea che scrivere sia un’attività spontanea, che sgorga dal cuore, fluisce naturalmente sulla pagina e arriva senza difficoltà a toccare il cuore e la mente degli altri è quanto meno impregnata di un dannoso romanticismo. Probabilmente conoscete la frase di Fenoglio: “Scrivo per un’infinità di motivi. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti.” Questa consapevolezza della fatica manca nell’80 per cento dei manoscritti che mi trovo a esaminare: testi ansimanti e ansiosi, affastellati di idee o malamente costruiti intorno a un’ideuzza a effetto, che magari alternano senza ragione vette auliche e valli di volgarità, che non sanno cosa stanno dicendo né come lo vogliono dire. Vuoi essere pubblicato/a? Allora vuoi essere uno scrittore/una scrittrice pubblicato/a. Ma ti sei mai chiesto/a come si scrive? Ti sei mai chiesto/a quali passi sono necessari per diventare uno scrittore/una scrittrice? Hai consapevolezza di quello che vuoi fare?
E’ ovvio che, in moltissimi casi, la risposta a queste domande è no. E, ai fini del risultato, non importa se questo no è detto in malafede o in buona fede. Lo ripeto (e lo farò fino alla nausea): qui si parla di pubblicazione, non di semplice scrittura (nel privato, fate quello che volete). La pagina pubblicata “banale” può essere il frutto di un lavoro ben più pesante della pagina pubblicata “eccentrica”. La consapevolezza della scrittura è qualcosa che si apprende, con sforzo, pazienza e applicazione. Leggendo, per esempio. E andando al di là della lettura per scoprire che cosa regge quella storia, come è stata strutturata narrativamente, stilisticamente, grammaticalmente. Leggendo di tutto. Scrivendo (provando a scrivere di) tutto. E cercando quale tipo di scrittore/scrittrice si vuole essere.

(- continua -)

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02 2008

12 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    hai mai pensato di leggere questo? ;)

  2. 2

    hai ragione su tutti, ma rifletti anche che se pure Faletti e Dan Brown hanno venduto gozziliardi di copie è lecito che CHIUNQUE si creda nato con la penna in mano.

    Tanto per, siamo arrivati al punto che una tipa mi ha chiesto perché non scrivo un libro. Capito? Lo ha chiesto a me, che sono pure dislessico!

    Stesso discorso lo si può estendere a tutti i campi lavorativi. Informatici (il nipote della badante di mia suocera mi farà il sito per l’azienda), architetti (in una paese edificato da geometri…), assistenza clienti, fino ad arrivare alla politica. Cioè, se la Carlucci può legiferare, cosa non può fare chiunque altro?

  3. catrionapotts #
    3

    @ paolo beneforti Leggerlo? Ma se l’ho scritto io! ;-)
    @ Rumenta Ma tu credi davvero che Mr Codice non si sia smazzato un bel po’ di libri e di scrittura, prima di arrivare, appunto, al Codice (che è il suo quarto libro, infatti)? Inoltre, come dicevo, puoi benissimo sognare di mandare un brogliaccio incomprensibile a una CE ed essere pubblicato (come puoi sognare di vincere alla lotteria). Ma se ci vuoi provare seriamente devi agire in un altro modo e io vorrei dare qualche umile consiglio a chi ci vuole provare seriamente. Quanto alla dislessia, qualcuno mi ha detto che Flaubert era dislessico :-D

  4. 4

    “Quanto alla dislessia, qualcuno mi ha detto che Flaubert era dislessico”: lo era, ma per fortuna aveva dei bravi editor! ;)

  5. Adel #
    5

    Bisogna ammettere pero’che il messaggio editoriale, a volte, non e’ confortante. Senza scendere nello specifico dei nomi mi riferisco ai deprimenti titoli (e non oso immaginare i contenuti) in libreria ad opera di mogli ventenni di calciatori notoriamente incapaci di mettere insieme due frasi di senso compiuto (mogli e mariti ensemble), modelle di fama non esattamente letteraria, cantanti di dubbio successo.La lista si fa lunga.E allora perche’ Fulano dei Fulani no? Mi consola (ma pochiiiisssimoooo) soltanto che non sia un problema solo italiano.

  6. catrionapotts #
    6

    @ Adel Il “messaggio editoriale”, come lo chiami tu, è anche un messaggio commerciale. E arrabbiarsi se la sorella del cognato del cugino di secondo grado dell’amico del giocatore di serie B pubblica un libro di barzellette è giusto (sebbene, come hai giustamente sottolineato, non si tratti soltanto di un malcostume italiano). Ma non è una giustificazione per non provare a fare lo scrittore con convinzione (sempre ammesso che tu lo voglia fare).

  7. 7

    La situazione è semplice, secondo me.

    Quello che s’impegna c’è sempre stato e ci sarà sempre. Quello che ci crede, che studia, che fatica, che piuttosto mangia pane e fantasia e che cercherà di farsi notare solo quando si sentirà ragionevolmente preparato a non fare una figura da pera.

    Attorno a lui una pletora di parvenu, di ’scrittori della domenica’ (ma, ripeto, questi li ritrovi in ogni campo). E saranno sempre di più.

    Se uno strumento è diffuso, facile da usare e, magari, economico, più verrà usato (tautologia portami via)… ed è facile farsi prendere la mano.
    Facciamo un piccolo esempio. Quanta gente con l’hobby della fotografia conoscevate 15 anni fa? Oggi immagino siano 10 volte tanti. Quanti di loro erano capaci 15 anni fa? Scommettiamo che sono più o meno gli stessi di oggi?

    Un wordprocessor oggi non manca a nessuno. Il tempo libero nemmeno. Ti apri un blog e vuoi che non trovi 10 stronzi su tutto il territorio nazionale che ti dicono che sei bravo? Magari non ti fidi e sei modesto. Ti guardi intorno e scopri che il metro di paragone non è più Montanelli ma Califano…

    In tutti i campi artistici siamo nella stessa barca, purtroppo. Qualsiasi cane può prendere uno strumento in mano, registrarsi due canzoni col pc, aprire una pagina su my space e mandare il suo demo in giro.

  8. catrionapotts #
    8

    @ Rumenta Non hai torto, ovvio. Ma la mia posizione sulla faccenda la vedo meglio espressa dalle parole di ThePetunias che trovi qui a commento dell’ennesimo “soltanto oggi”.

  9. 9

    premessa: penso tu abbia ragione quindi non contesto ma aggiungo, a rischio di andare fuori tema (bacchettami pure, se vuoi).
    quanto sono responsabili, le case editrici, di questa situazione? c’è un libro molto bello, secondo me, che si chiama editoria senza editori (di andré schiffrin), se non esagero te ne riporto una parte (piccola):
    “In occasione di una riunione decisiva, ci fu dato vedere quale abisso ci separasse. Vitale passava in rassegna i libri che avremmo pubblicato, lista di cui ero particolarmente fiero. Chi è questo Claude Simon?, chiese con disprezzo, E questo Carlo Ginzburg?. Osservai che i suoi occhi correvano dapprima alla parte destra del foglio, quella della colonna di cifre, e che solo dopo egli guardava i titoli dei libri. Era come se dirigessimo una fabbrica di calzini e fabbricassimo sistematicamente scarpe troppo piccole per la maggior parte dei clienti. Che interesse aveva pubblicare libri a così bassa tiratura?”
    Bon, secondo me, tra i mille interessi, c’è anche quello di far vedere un po’, nei limiti in cui ciascun editore può, che cos’è uno scrittore (forse, eh, che ultimamente non son convinto di niente :-) )

  10. catrionapotts #
    10

    @ francesco Non ti bacchetto affatto. Ed è innegabile che, in molti casi, certi libri “importanti” fanno fatica a vendere e quindi sono visti come “scarpe troppo piccole”. D’altra parte, è impossibile non trascurare il crudo aspetto economico. E’ una sfida “classica” per qualsiasi CE. Mi viene da citare la dichiarazione di un editore che avevo messo in un vecchio post: “Dopo averci agganciato, il tenace aspirante dice: ‘Se fosse stato per editori come lei, il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa sarebbe rimasto un inedito. Lo sa quanti editori lo rifiutarono?’. Questa sì che è una domanda. Una domanda così buona che non vorrei rovinarla con una cattiva risposta.”

  11. 11

    Questa della consapevolezza mi pare la caratteristica più importante tra le tre che enumeri. Forse perché, data la sua scarsità sul mercato, acquista valore. Però è vero che si può anche pubblicare quasi per caso (e comunque di rado) un primo libro, ma non un secondo. Per il resto, scrivere è un mestiere. E’ fatica. E’ (anche) noia. E’ attenzione.
    Anche fare il cantante rock e far svenire le ragazzine sotto il palco è un mestiere che richiede le stesse qualità. Magari il rocker dice: “Che noia, un altro concerto, anche oggi reggiseni sul palco!”.

    Inachis

  12. Catriona Potts #
    12

    @ Inachis Sì, hai ragione. Molto parte dalla consapevolezza, nelle sue declinazioni più diverse. E a noi non arrivano neanche i reggiseni sul palco! :-)



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