L’ultimo miglio

Mi sono scagliata spesso contro le traduzioni disordinate, superficiali, approssimative. In quel caso, ci si rimbocca le maniche e si scava faticosamente per far emergere qualcosa di comprensibile. Ma ci sono traduzioni forse ancora più infide: quelle che, per dir così, non coprono l’ultimo miglio. E risultano ugualmente faticose. Per esempio, sappiamo bene che l’inglese abbonda di possessivi. Ora, mettiamo che un romanzo sia basato sulle vicende intrecciate di più famiglie: l’uso costante di “sua madre” “suo padre” “sua zia” rischia di generare una confusione indicibile. Non ci vuole molto: basta centellinare i possessivi, usarli solo se necessari. Invece no. Buttati lì, l’uno sull’altro, finiscono per uccidere la storia. Per non parlare dell’uso – sempre anglosassone – di alternare un po’ a casaccio il nome di battesimo al cognome. Per pagine e pagine, un certo personaggio viene chiamato Paul. Poi, d’un tratto, da pagina 72 a pagina 123 diventa Smith. Per tornare Paul subito dopo e fino alla fine. Non è più semplice e logico per il traduttore adottare una forma e seguirla?
E così, sull’ultimo miglio, talvolta consumo l’intera dotazione di parolacce della giornata.

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07 2008

8 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    e tu pensa il draduttore di Dostoevskij che drammi avrà vissuto per i nomi… usare sempre il patronimico? Il nome? Il soprannome?

    Alla fine la scelta: usarli tutti, ma uno alla volta.

  2. chiara #
    2

    c’è di peggio. questo uso esagerato dei possessivi (sperflui, ridondanti e antiestetici) abbonda ultimamente anche nei testi italiani, almeno in quelli che ho avuto per le mani di recente. per la serie: i danni delle traduzioni sciatte.

  3. 3

    Sui possessivi ovviamente hai straragione.
    Sul Paul/Smith non saprei… davvero il lettore non è in grado di affrontare lo sforzino e cavarsela da solo? Sempre la pappa pronta? Mah.

  4. Zia Bisbetica #
    4

    Possessivi nelle traduzioni dall’inglese, vituperio delle genti. Non so perché, ma mi pare non sia ancora venuto in mente a nessuno di dichiarare apertamente, nei millantamila corsi di traduzione letteraria che spuntano come funghi ovunque, la semplice verità che in inglese l’aggettivo possessivo ha molto spesso, se non spessissimo, se non sempre, la funzione di *articolo*. Forse, spiegata così, si capirebbe più rapidamente perché “She took his hand” non può ma *deve* diventare “Gli prese la mano” e non “Lei prese la sua mano” (quando non diventa “Lei prese la mano di lui”, ahilui e ahinoi).
    Poi Chiara dice un’altra verità: questa particolare forma di sciatteria traduttiva sta influenzando la scrittura nativa in italiano. Ho di recente avuto tra le mani La solitudine dei numeri primi, tanto per fare un esempio di illustre attualità, ed ero anche ben disposta verso il libro e il suo autore, ma quando ho letto “…aveva sporcato i suoi stivaletti nuovi” (cito a memoria, ma la forma era quella, e non sarebbe l’unico esempio) dove la lingua naturale avrebbe dettato “si era sporcata gli stivaletti nuovi”, ho sentito una fitta che potrei dire solo di dolore, vero dolore.
    Abbracci a tutti da una Zia più tristanzuola che bisbetica, oggi.

  5. Catriona Potts #
    5

    @ Rumenta Accidenti, è vero… :-)
    @ chiara Non so se sia il portato delle traduzioni sciatte, però hai ragione…
    @ kartch Non è una questione di “pappa fatta”: è coerenza interna, unita alla necessità di non spostare l’attenzione su una cosa secondaria. E poi pensa se viene fatto per i tutti i venti-trenta personaggi di un libro…
    @ Zia Bisbetica Non so se la tua analisi abbia un fondamento linguistico, ma è azzeccatissima.

  6. 6

    Dai, ma a ’ste cose c’arrivo pure io che conosco a malapena l’Italiano. Di che traduttori ti avvali? :P

  7. angela #
    7

    Ma infatti, vorrei sapere quanto guadagna un traduttore, poi possiamo parlarne. Intendiamoci: non giustifico la corsa al ribasso, ma provate a chiedere ai diretti interessati per quanto e come lavorano.

  8. Catriona Potts #
    8

    @ il matto Be’, io segnalo (forse troppo spesso, è vero) le “eccezioni”…
    @ angela Annosa, annosissima questione. Impossibile trattarla qui. Io però conosco fior di traduttori che fanno lavori impeccabili e sono stati capaci di costruirsi una solida reputazione (con annesso compenso economico adeguato). Il fatto è che non c’è più tempo per insegnare, per mettersi a parlare di come si mettono le virgole, di come si usano i possessivi… In più, c’è gente che si butta nel mestiere senza i ferri necessari.



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