La gente sotto il cielo sopra Berlino

L’abbiamo visto tutti e un po’ ci ha colpito, dai, non fate i cinici. In questa estate italiana stretta di lodi e lasca di pensieri, uno spettacolo come quello di Berlino fa riflettere almeno per qualche minuto. Poi, stamattina, aprendo Repubblica a pagina 2-3 ho visto una foto (la trovate anche qui, ma più piccola), e le mie riflessioni hanno preso un’altra strada. Perché tutte le persone in quella foto hanno in mano una macchina fotografica. Tutte vogliono – ovviamente – marcare la loro presenza (la loro compresenza) in quello spazio e in quel tempo. Un gesto non nuovo, non originale, ma singolarmente, positivamente unitario.
E allora ho pensato che forse questo è un altro motivo per cui il libro è considerato “vecchio”: non appaga una sete di condivisione  (avete mai provato a leggere un libro insieme a qualcuno, spalla contro spalla?), impone un’elaborazione per essere “passato ad altri” e comunque viene “passato” in modo sempre indiretto. Tutte cose intellettualmente positive, ovvio, che permettono all’individuo di crescere. Ma, senza dubbio, tutte cose che portano all’isolamento.
Banalità, direte voi. Certo. Però ieri, davanti a quel muro di obiettivi, a quella volontà di segnare – come singolo e come folla – un momento significativo, ho avuto la netta sensazione di combattere una battaglia di retroguardia. E di non avere armi così affilate.

Update: la foto grande la trovate da scriptingnews. (Grazie a pusic.)

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07 2008

11 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    beh… consolati: c’è anche gente che non solo fotografa sempre e dovunque e comunque, ma legge anche un sacco di libri nel frattempo. ;-)

  2. 2

    E’ che mentre sei lì, con la tua macchina in mano, cercando di inquadrare il soggetto, che capisci che odi l’umanità. C’è qualcosa di grandemente egoistic sotto sotto. La MIA macchina, il MIO scatto, la MIA foto.

    E tutte quelle mani, quelle lenti, quelle macchine, quei telefonini che mi rovinano lo scatto, dovrebbero scomparire, bastardi infami che si frappongo fra me e il MIO ricordo.

    Nell’impossibilità di relegare il ricordo a un contesto, lo aggancia a quel momento in cui non si pensa ad altro che a scattare e a odiare l’uomo col cappello, la vecchia con le mani in aria, il bimbo col palloncino, …

  3. 3

    ieri sera sono stata ad una festa e ho fatto una riflessione simile. c’erano più macchinette digitali che persone.
    invece di fare chiacchiere non si faceva altro che scattare, e si scattavano foto a persone che ne avevano appena scattata una, e si scattavano foto a persone che stavano rivedendo le loro foto appena scattate.
    in quante foto ci sarò anch’io senza saperlo?
    ho passato la sera a contorcermi per evitare di entrare nelle inquadrature.

    ma alle feste non si faceva amicizia?

  4. 4

    Non ho un buon rapporto con le macchine fotografiche e con le fotografie. Questo lo dico come premessa.
    Però non riesco a relazionarmi con chi ha bisogno della foto ricordo con il VIP di turno, quella smania di possesso mi irrita parecchio.
    Mi sembra di fare un discorso vecchio di secoli, ma ogni volta che vedo qualcuno fotografare un vip o farsi fotografare con lui, mi pare che vogliano rubargli l’anima, appropriarsi di un pezzetto della loro fama. La foto diventa un modo di sentirsi un po’ migliori.

  5. savohead #
    5

    La condivisione di un libro, a mio parere, è diversa dalla condivisione diretta di un evento, questo, però, non ne sminuisce il significato. Non penso sia stato semplice per tutti ed appagante uniformemente l’assistere a quell’evento, in quel momento, ma è semplicemente un piano differente rispetto all’appagante senso di sazio sollievo che dona il girare l’ultima pagina di un libro, già letto da altri e che rimarrà ad attendere altre mani per essere tramite di sorrisi e lacrime.
    Il qui ed ora si dilata in più qui e più ora, ma è condivisibile e non sempre isolante. Probabilmente vengo considerato palloso da molti, ma mi piace pensare che qualcuno a cui regalo o consiglio libri, sia “con me” al momento del piacere della lettura.
    Concordo, comunque, sulla “resa scenica” della condivisione, immagino sia inarrivabile per uno scritto (anche se la Gioconda, da un sacco di tempo, attira molte persone che condividono scatti contemporanei, perché non potrebbe capitare ad un libro?! Anche solo così superficialmente).
    Vogliamo poi mettere la pienezza del ricordo?! Quanto una foto può rispetto ad una lettura?!

  6. 6

    Secondo me i libri sono innanzitutto storie. E le storie sono il nostro immaginario.
    E un immaginario condiviso (certo, è un processo di sedimentazione lento, però inesorabile) è quello che fa venire il brividino in contemporanea alle centinaia di migliaia che ascoltavano il discorso di ieri sera.
    Che i libri sono cibo per la mente è uno slogan ritrito, ma è la verità.
    Se no perché abbiamo iniziato a raccontarci storie intorno ai falò, e poi a grattarle sulle pareti delle grotte, e poi e poi e poi?

  7. 7

    Ormai il contenuto del cervello della quasi totalità dei nostri simili è riempito da input televisivi o, perlomeno, da immagini e suoni che provengono da qualche scatoletta.
    Immettere contenuto nella nostra zucca usando altre fonti “obsolete” come i libri o, peggio ancora, il dialogo con i nostri simili o i “racconti del nonno” è cosa desueta.
    Sono dell’idea che la mania delle foto dipenda dal fatto che sia dettata dal desiderio inconscio di uniformare la sorgente di informazioni con cui vengono ricevuti gli input.
    Scarsa abitudine a ricevere input diversi.

    Il sottoscritto, che detesta l’uniformità e il conformismo intellettuale, ti ringrazia per la tua battaglia di retroguardia. Continua a combattere, il modo ha bisogno di gente come te.

  8. 8

    Ma il libro non è mai stato dionisiaco, è molto apollineo…:)

  9. Catriona Potts #
    9

    @ Tutti Mi piacerebbe rispondere a ciascuno di voi, ma ne verrebbe fuori un libro e questo contrasterebbe con il mio codice etico :-) C’è qualcosa di giusto in tutto ciò che avete detto, anche se, in apparenza, forse, avete detto cose contraddittorie. Il mio “sfogo”, in realtà, è legato a qualcosa che mi porto dentro da molto tempo e che si lega alla “lettura” in senso lato: ormai c’è il rischio che si disimpari a leggere (parole) perché ci sono strumenti espressivi più “diretti”, però nessuno ci ha mai insegnato davvero a leggerli, quegli “altri” strumenti. Di qui la sensazione di smarrimento che si allarga sempre di più, toccando il mio lavoro ma andando anche oltre. Grazie a tutti, però: fa davvero piacere vedere che le mie piccole considerazioni sono seguite da persone così appassionate e… “letterate” :-)

  10. 10

    Cara Catriona, sarò più vecchio o più cinico o più disilluso o più pessimista. Ma qui mi pare che si sia disimparato e basta. A 360° gradi. Si è disimparato a leggere, a guardare i film, a fare l’amore, a comunicare col prossimo, a comprare nei negozi, a mangiare, a fare il proprio lavoro, a ricordare, a vivere, …

    La prima legge di Nielsen è “nessuno legge i manuali” e questo non vale solo in ambito informatico, a quanto pare.

    … e tutto c’ho m’ispira un post ;)

  11. 11

    “c’ho”. Sputatemi pure addosso. :D



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