Stare fuori

“Vorrei fare il correttore di bozze o l’editor.”
Avessi un respiro in più per ogni volta che ho letto questa frase in un curriculum, sarei certa di campare fino a 130 anni. Ci sono giorni in cui capisco chi scrive cose del genere. Per chi “sta fuori”, l’editoria può somigliare a un sogno psichedelico. E’ un indistinto fruscio di fogli vergati, una cacofonia di ruoli. Talvolta è difficile capire chi fa cosa.
Però ci sono momenti in cui prende corpo un pensiero maligno: non sarà che l’ambizione di lavorare in una CE equivale allo spirito con cui si affrontano certi esami universitari, quelli del tipo “lo preparo in due giorni”? Esistono ancora? Credo di sì. Qualche lezione distratta, qualche concetto assimilato e poi un confronto rapido, dall’esito quasi certamente positivo. Fuor di metafora: non è che si pensa di voler lavorare in una CE perché, in realtà, non si lavora davvero? Leggere bozze? E che ci vuole? Scegliere un libro? Uh, sai che fatica! Rivedere un testo? Mah, qualche virgola qua e là…
Non dico che lavorare in una CE equivalga al proverbiale lavoro in miniera né a fare il camionista o il fornaio. Però una CE non è un serpentone meccanico manovrato da persone che si limitano a spingere il testo dall’autore al lettore.
Sì, lo so, non è facile da spiegare. Sì, lo so, l’apparenza può essere quella.
Mettiamola così: lavorare in una CE è un po’ come essere un atleta. Dieta ferrea (parole a colazione, pranzo e cena), esercizio costante (limatura, lettura, elaborazione…) e concentrazione sull’obiettivo (il libro). Dimmi un po’, tu che scrivi “vorrei fare il correttore di bozze o l’editor”: sei veramente disposto a fare tutto ciò e non soltanto per qualche settimana? Oppure pensi di sederti a una scrivania e di limitarti a spingere fogli da un capo all’altro del serpentone?

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08 2008

9 Commenti Commenta ↓

  1. savohead #
    1

    Purtroppo esistono ancora quegli esami (forse anche più di prima, grazie al nuovo ordinamento e l’idea che “se abbiamo meno laureati degli altri paesi, la soluzione è laurearne di più, non mantenere uno standard alto”), ed esistono ancora persone capaci di preparare esami in due giorni.
    Anche a me piacerebbe molto poter lavorare in una CE come correttore di bozze, e non per esser parte d’un serpentone, ma perché mangiando libri in ogni momento libero della giornata, mi accorgo di notare errori di stampa, strafalcioni, consecuzio errate e traduzioni tirate per i capelli (ultimamente gioco anche a “indovina da che parte d’Italia provenga il traduttore”, per le varie espressioni o locuzioni che si trovano sparse qui e là), e l’unica cosa che mi frena dal chiedere esplicitamente è che non vorrei mai farmi venire a noia la lettura se dovessi vederla quale “imposizione” lavorativa.
    Vedrò, molto probabilmente vincerà la necessità di trovarmi un altro lavoro e l’odio per il mio attuale.
    Grazie, come sempre, per quello che si sente leggendo.

  2. J_B #
    2

    Assumiamo per un attimo che io sia uno studente che ama preparare gli esami in due giorni (oddio, il mio record di velocità è stato 2 settimane per un esame…), legge tanto e gli viene il giribizzo di fare il correttore di bozze…
    Problema numero 1: cosa bisogna sapere per fare il correttore di bozze? Se volessi fare il giornalista ci sarebbe un esame da passare per iscriversi all’albo e/o dei libri su “come si fa il giornalista” da leggere. Se volessi fare l’astronauta non sarebbe difficile trovare in rete la lista degli istituti (militari?) dove si studia da astronauta. Ma se voglio fare il correttore di bozze? Ok, pazienza, dedizione, capacità di leggere anche robe poco interessanti (magari il manuale di una lavatrice che immagino che avranno bisogno di correzioni pure quelli) stando attenti ad ogni singolo segno tipografico. Vabbuò, detta così ci posso provare. Magari poi vien fuori che non sono capace ma a priori non vedo perché non dovrei farcela. Insomma, mi mancano le informazioni di base per decidere se è il lavoro adatto a me oppure no.
    Problema numero 2: qual è la gavetta da fare per diventare un correttore di bozze in una stimata CE e guadagnarci abbastanza soldi da mangiare pranzo e cena tutti i giorni? Anche qui non è che le informazioni abbondino. Che fare? Toccherà mandare un cv alla CE di turno. Questo cv però (data la mia assoluta mancanza di informazioni) sarà inevitabilmente vago e, bene che vada, ci farò una figura tale che nessuno mi chiamerà mai per un colloquio o per una prova.

    Toccherà cercarsi un altro lavoro. Magari l’editor? (tornare al punto 1 e ricominciare)

  3. chiara #
    3

    a me non arrivano cv, ma richieste di consigli. il tormentone è sempre lo stesso: come faccio a entrare nel mondo dell’editoria? e a me verrebbe da cominciare l’interrogatorio. partirei da una domanda semplice semplice, vale a dire: cosa sai fare? poi ci penso e mi ricordo che io ho sognato di lavorare nell’editoria per una buona fetta della mia vita. che bello, pensavo, fare della mia passione (i libri) il mio lavoro! a distanza di qualche anno, però, mi piacerebbe poter tornare indietro, imparare un mestiere e fare tutt’altro…

  4. L. #
    4

    Leggere questo blog è bello perché ci sono questi post.
    Da quando ho cominciato a lavorare nell’editoria alcune mie amiche si sono messe in testa di fare le traduttrici, perché pensavano fosse un ottimo modo per lavorare da casa e avere un guadagno facile (ho dei dubbi, ma non li ho espressi, forse ho sbagliato). Una ci è anche riuscita, ha avuto subito un contratto con un editore della sua città. So per certo che non ha mai letto un libro in lingua, mi chiamava continuamente chiedendomi di consigliarle vocabolari o bacchette magiche. E nel suo curriculum brillano la laurea, le traduzioni da tutte le lingue di cui ha imparato l’abbiccì… e gli errori di ortografia.
    Mi sento in colpa perché quando parlo del mio lavoro cito la passione che mi spinge nonostante le brutture che si vedono presso quelli che si sono preparati in due giorni ad aprire la casa editrice o a lavorare come revisori (e questo mi fa solo apprezzare di più i bravi revisori che fortunatamente ci sono). Parlo di quanto si impara, sorvolando sulla fatica delle ricerche, il peso dei dizionari, i lunghi pellegrinaggi in bibioteca per approfondire un concetto.
    Metto gli occhiali da sole e non sopporto il trucco quando passo ore davanti allo schermo o non dormo per inseguire scadenze impossibili, mentre polvere e piatti da lavare si accumulano in casa… e forse le mie amiche si sono fatte un’idea troppo idilliaca del mestiere.
    Eppure l’ho scelto e lo adoro questo mestiere faticoso, soprattutto quando la fatica è ricompensata dalla soddisfazione di un lavoro ben fatto.
    In questi giorni mi sto preparando a inviare anche io qualche curriculum nel mucchio. E sorgono mille domande. Per esempio: come si fa a far risaltare il proprio curriculum? cosa spinge a sceglierne uno e non un altro? Perché, e quanta rabbia, le prove di traduzione a volte arrivano a chi sa l’inglese in modo approssimativo e a me no, anche se inviamo il cv insieme? Oppure, dopo qualche anno di lavoro da esterna, laurea e corsi, è fuori luogo proporsi per uno stage? mi piacerebbe tanto fare un’esperienza da dentro, per maturare ancora un po’ nel lavoro da esterna…
    Non aspetto una risposta a tutte queste domande, leggo queste pagine virtuali, ne trovo qualcuna, sorrido e ricomincio con rinnovato impegno a scrivere la scheda di lettura o a rivedere la traduzione che sto portando a termine in questi giorni… grazie.

  5. 5

    Dolce Catriona, come in (quasi) tutti i mestieri, si può impegnarsi allo spasimo, e si può anche appoggiarsi al serpentone, perlomeno finché dura.
    Credo che sia questo a giustificare, nella mia pur breve e modesta carriera di autore, l’aver visto i miei libri viaggiare a dorso di boa. Magari non proprio in tutte le stazioni, ma insomma.

  6. Catriona Potts #
    6

    @ savohead e @ J_B Anzitutto lasciatemi fare la Signorina Precisini: non si può lavorare in una CE come correttore di bozze; si lavora per una CE come correttore di bozze. In altre parole, si è esterni. Su come diventarlo ne ho parlato qui e, in parte, qui. Sul camparci, però, ho i miei dubbi. Ma la cosa che intendevo evidenziare era un’altra: se non conosci neppure l’enorme differenza tra un editor e un correttore di bozze, come puoi proporti per fare l’una o l’altra cosa? L’ho ammesso nel post che le CE sono un mondo “misterioso”, ma anche una superficiale ricerca su Internet spiegherebbe la differenza… E poi: per qualsiasi lavoro esiste un “fattore rischio”, cioè l’impossibilità di sapere a priori tutto su quel lavoro e se si sia davvero portati a farlo. Un lavoro in una CE non fa differenza.
    @ chiara Sì, anche a me viene subito in mente quella domanda. E di solito la faccio. E le risposte sono raramente coerenti. Va bene il sogno, ma l’idea di lottare (di capire) per realizzarlo dovrebbe prevalere, non credi?
    @ L. Già, esistono le ingiustizie e le preparazioni approssimative. L’unico vantaggio è questo: chi non sa tradurre (rivedere, correggere bozze eccetera) di solito ha vita breve. Certo, magari si ritrova con una traduzione (una revisione eccetera), però raramente ne avrà una seconda o una terza. Le CE non possono permettersi di ri-vedere una revisione. Quanto all’esperienza “all’interno”, per un traduttore non è indispensabile. Meglio creare un rapporto schietto e continuo con la persona che ti ha affidato il lavoro (o la prova).
    @ ThePetunias Mai detto che le CE sono un mondo “più perfetto” degli altri. Però il coinvolgimento individuale, di solito, è così determinante che, quando trovi qualcuno semplicemente “appoggiato” al serpentone, ti fa ancora più male.

  7. 7

    Oddio… è già dura correggere i propri lavori. Leggi e rileggi… ti sfugge sempre qualcosa… ma non qualcosa di nascosto, una cosa bella evidente che, a lavoro finito, semplicemente risfogliando il manoscritto, la si vede come fosse evidenziata in giallo! Terribile. No… il correttore di bozze o l’editor… oddio, non vorrei farlo proprio mai… anche perché non tutti i manoscritti sono capolavori alla prima stesura.

    Però mi piacerebbe lavorare in una CE. Sarebbe un lavoro che mi avvicina alla passione che più mi avvince… forse per questa passione sarei disposto a sacrifici ben maggiori di quelli che faccio per il mio lavoro attuale!

  8. 8

    Aggiungo anch’io il mio sassolino.

    Mi è capitato (troppo, troppo, troppo spesso) di parlare con persone che vogliono a tutti i costi fare questo lavoro e poi, se gli chiedi che cosa leggono nel tempo libero, non sanno rispondere.

    Mi è capitato di ricevere curricula da persone che “conoscono la mia realtà”, “farebbero carte false pur di entrare in questo mondo”, “hanno fatto il master in content manager”, vogliono lavorare nell’editoria o fare i giornalisti barra scrittori barra correttori di bozze barra copywriter barra un po’ quello che vuoi, purché di parvenza intellettualmente prestigiosa.

    Io ho scelto di fare questo lavoro perché, semplicemente, non potevo stare senza leggere tutto il giorno e poi accontentarmi di due orette la sera: è un’esigenza talmente profonda che non l’ho mai neanche messa in discussione, non mi sono chiesta se fosse giusto o equilibrato, ho solo capito che, per essere felice, non potevo farne senza. E poi volevo che il mio lavoro fosse utile, che i libri circolassero e rendessero felici anche gli altri.

    Nell’esercizio della professione, mi sono resa conto del fatto che il patrimonio di attenzione, competenza, padronanza della lingua, per quanto eternamente perfettibile, non si crea con l’esperienza che si fa in due mesi di stage (per dire), ma nei venticinque anni precedenti: senza questa formazione autonoma, è difficile improvvisare una sensibilità che certo si può perfezionare, ma non si può creare dal niente.

    Un certo numero di anni fa, un mio cliente (che oggi è anche un amico) mi disse che, per questo lavoro, molti sono i chiamati, pochi gli adatti: e con il tempo ho trovato questo mot d’esprit sempre più vero.
    Ora so, ormai, quanta FATICA ci vuole per cavare un buon libro da un manoscritto sconclusionato, da una traduzione malfatta, da una revisione sciatta.

    Ci vogliono tenacia instancabile, visione d’insieme e allo stesso tempo attenzione maniacale del particolare, e ci vuole una resistenza indefettibile anche quando avresti voglia di mandare tutto a cagare, quando non hai voglia di ricontrollare tutte le forze dei titoli, fare i riscontri dei riscontri dei riscontri, correggere l’ennesima sciatteria, inventare una soluzione, riscrivere un pezzo, verificare un’informazione, risolvere una contraddizione, sollecitare la consegna da parte di un autore, stilare un (ennesimo anche lui) calendario, cercare di riorganizzare un argomento senza stravolgerlo. In una parola, ora e sempre, lottare contro il caos (in senso metafisico).

    Non so se questa continua lotta contro l’entropia farebbe felici tutti: so, però, che fa felice me.

  9. Catriona Potts #
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    @ Marzia Grazie. Hai aggiunto un bellissimo sassolino.



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