Te la sei voluta, però

Sarà la fretta, sarà l’incapacità di usare il computer, sarà la superficialità.
Fatto sta che sono sempre più numerosi i manoscritti stranieri che arrivano senza che i commenti e le revisioni siano stati accettati e/o nascosti.
La parte crudele del mio cervello (peraltro assai sviluppata) non resiste.
Scopro così editor palesemente insofferenti a questo o a quel personaggio, annotatori gentili (“Potresti, per favore, cambiare…”) o brutali (“Taglia da qui fino alla fine del paragrafo. E’ assurdo.”), perplessità forse irrisolte o irrisolvibili (“Non capisco di cosa sta parlando questo tizio”), fili sospesi e chissà se riannodati (“Ma questo episodio ha un peso, dopo?”).
Strana situazione davvero, perché un po’ mi identifico e un po’ mi sento un voyeur.
Ma soprattutto, se rifiuto il libro, mi sembra che la mia decisione sia più giustificata. E, a quell’editor “distratto”, mi verrebbe proprio da dire: “Sì, forse non ho capito la grandezza del tuo autore. E nemmeno la tua. Un po’ te la sei voluta, però.”

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09 2008

13 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    ehm, scus, signorin, non vorrei sembrar pignol, ma ci sarebb un refusin nel titl…

  2. 2

    he fetto un refusino, vabbè, dèi, non è nulle, chepita anche hei migliori! :P

  3. 3

    lo so, lo so, infatto noi ci vogliamo bene istesso, alla signorina catriona. anzi, forse ci vogliamo bene anche dippiù.

  4. Catriona Potts #
    4

    @ tutti Eh, volevo vedere se stavate attenti. Bravi! Avete vinto un bonus-refuso! ;-) (Grazie, eh. Oggi non è giornata. E, da quello che mi aspetta, non è neppure settimana, mi sa…)

  5. Rete dei Redattori Precari #
    5

    Illustre Catriona Potts,
    al termine di estenuanti ricerche, finalmente oggi, spigolando nel web, abbiamo individuato una blogger che parla del settore editoriale in termini, seppure non esasutivi, almeno non mistificatori (http://denisocka.splinder.com/post/18552765/I+buoni+e+i+cattivi+dell%27edito). In qualità di suoi colleghi – probabilmente più giovani, sicuramente meno fortunati di lei -, e rimbaldanziti da questo felice ritrovamento, sproniamo anche lei a prendere pubblicamente posizione sulla piaga del precariato nell’editoria. Riteniamo infatti che sia giunto il tempo di denunciare una situazione insostenibile che ormai interessa la stragrande maggioranza delle nuove leve di lavoratori editoriali e che, oltre a minare le nostre vite, sta svilendo poco a poco le nostre professionalità. Crediamo che ognuno di noi debba cercare di dare visibilità a un fenomeno che oggi inquina anche il “fatato” mondo dei libri e che è una delle principali cause dello scadimento qualitativo che spesso lei stessa lamenta. Certi che risponderà adeguatamente alla nostra sollecitazione, la ringraziamo dell’ospitalità. Cordialmente, il gruppo di coordinamento della Rete dei Redattori Precari

  6. Catriona Potts #
    6

    @ Rete dei Redattori Precari Cari precari, vi capisco. Sono entrata nel mondo del lavoro in un periodo molto diverso da questo (migliore o peggiore? Mah!) e ho visto lentamente cambiare rapporti e situazioni. Ma questo è un blog personale, che parla del lavoro in una CE come io lo vedo e lo faccio. Quindi posso soltanto offrirvi la mia esperienza, che negli anni si è dovuta adattare ai cambiamenti, cercando sempre di ancorarli a ciò che poteva esserci di buono. Anzitutto lasciatemi dire una banalità: col tempo, ho avuto modo di conoscere persone disposte davvero a lavorare per far valere se stesse, i propri studi e le proprie ambizioni e altre che invece non dimostravano né volontà né piacere nel lavorare in una CE. Con le seconde, c’è stato poco da fare, lo capirete anche voi. Con le prime, invece, ho sempre provato, nei miei limitatissimi limiti, a costruire qualcosa, a dare un segno. Non so se ci sono riuscita e probabilmente mi sono sfuggite più cose di quante ne abbia colte. Sono l’unica a comportarmi così? Non penso. Credo piuttosto che sia ancora possibile ritagliarsi una funzione in una CE, anche da esterni. Posto che si sia ben consapevoli della estrema “piccolezza” di questo mondo, dei propri obiettivi, dei propri limiti e dell’impegno da profondere.
    La faccio semplice? Forse. Ma ho sotto gli occhi esempi che dimostrano il contrario.

  7. L. #
    7

    Secondo me è un peccato che parole come queste siano relegate nei commenti. A volte quando sono delusa dal mondo editoriale vengo qui. Non è il precariato che mi pesa, perché da qualche anno non ho mai un’intera settimana di riposo, però quando vedo redattori che inseriscono refusi e sgrammaticature nelle mie traduzioni, correttori di bozze che non correggono e persone che… be’, l’unica spiegazione che riesco a darmi sul perché siano in redazione è che siano figli/nipoti dell’editore e abbiano hanno preso il primo impiego a portata di mano senza avere nessuna inclinazione per il lavoro sui libri.
    Qui si respira l’aria di una redazione in cui mi piacerebbe lavorare, mi dà la forza di ignorare le brutture e continuare il percorso che spero mi porti al secondo piano, un gradino alla volta.

  8. Catriona Potts #
    8

    @ L. Non credere: la mia identità “catrionica” è molto più buona di quella reale :-)

  9. Rete dei Redattori Precari #
    9

    Gentile Catriona,

    è vero, per essere credibili bisogna parlare della propria esperienza personale, ma ci sembra un po’ riduttivo continuare a pensare in termini di “meritocrazia” in un ambiente dove ormai contratti a progetto, collaborazioni esterne ed esternalizzazioni a studi editoriali vengono usati come alternativa alle assunzioni a tempo indeterminato.

    La teoria del “ciapaselanò” e del “se sei bravo poi ti prendono” purtroppo viene a scontrarsi con la realtà. Come fa un redattore precario a farsi valere se basta che alzi la testa un attimo per non avere più il lavoro? Se non può contrattare le tariffe e i tempi di una commissione perché gli vengono imposti unilateralmente? Se non può dedicarsi a un solo committente dato che spesso il lavoro, oltre a essere malpagato, è anche discontinuo? Se è costretto a sperare di essere il primo della lista nel momento in cui ci sarà una possibilità di inserirsi stabilmente, anche perché se cambia il caporedattore o il direttore editoriale – e tu magari gli stai sulle sacrosante – perdi l’unica fonte di reddito con cui a fine mese paghi mutuo, bollette e spesa, come tutti gli altri? Come può crescere e imparare dai propri errori se rischia ogni minuto di perdere il lavoro?

    Abbiamo cercato all’interno del suo blog quante volte compariva la parola “precariato” o “precari” in attinenza a suoi colleghi: zero. Possibile che non le sia mai venuto in mente che anche quella realtà a lei così vicina meritasse un post? Probabilmente lei ha avuto la fortuna di mettere un piedino in una casa editrice in tempi più felici e questi problemi non li ha subiti (forse ne avrà vissuti altri, non possiamo saperlo e quindi non giudichiamo), ma fingere che non esistano i nostri o sminuirli, in tutta franchezza, non le rende merito.

    Siamo sicuri che rifletterà sulle nostre parole. Ma, come dice lei, questo è un blog privato, in cui l’autrice ha il diritto di parlare di ciò che più desidera. Noi volevamo solo far sapere che nell’editoria esiste anche la nostra realtà non proprio ridente.

    Nella speranza di aver gettato un sassolino nello stagno, la salutiamo con molta cordialità.

    Rete dei Redattori Precari

  10. cristina #
    10

    Da precaria dell’editoria condivido appieno la riflessione della Rete dei Redattori Precari, per quanto off-topic possa apparire rispetto alle amenità di questo blog. Certo ognuno ha il diritto di raccontare il mondo come gli pare (ci mancherebbe!) però è anche giusto dire che la maggior parte dei lavoratori dell’editoria non abita secondi piani né luminose mansarde. E che la meritocrazia e la voglia di fare non hanno niente a che vedere con il precariato e con situazioni contrattuali che spesso mascherano rapporti di vera e propria dipendenza. Nessuna azienda infatti sarebbe così folle da riconfermare di anno in anno, e per anni, un collaboratore indolente e incapace, come invece quasi universalmente accade. Forse, e lo dico rispondendo al post di L., la delusione dal mondo editoriale si può guarire non solo a suon di ironia e di speranze, ma anche protestando, confrontandosi, unendosi e cercando di far valere i propri diritti. Purtroppo temo che l’aria (peraltro godibilissima) che si respira qui non abbia niente a che fare con quella che si respira nelle redazioni che conosciamo noi. E se non è il precariato che ti pesa, caro/a L., buon per te.

  11. Catriona Potts #
    11

    @ Rete dei Redattori Precari e @ cristina Ho già detto che vi capisco. Capisco le difficoltà, l’amarezza, la realtà piena di ombre. Però non posso che ribadirlo: questo è un blog personale, dunque parla (parlo) in prima persona. Non può (non vuole) trattare così, en passant, di una situazione così complessa e articolata, una situazione che, come sapete perfettamente, rappresenta soltanto uno spicchio della generale tendenza alla precarizzazione. E’ così personale ed egocentrico, questo blog, che i colleghi – di qualunque genere – non vi appaiono quasi mai… Posso aggiungere soltanto che con le persone reali, quelle con cui vengo in contatto, faccio quello che posso, lavorando giorno per giorno. E’ sufficiente? Certo che no. La mia coscienza è tranquilla? Certo che no. Però non posso fare di più.

  12. Ernesto #
    12

    Cara Catriona,
    Da assiduo frequentatore del suo blog ho letto con interesse lo scambio di opinioni tra lei, rappresentante della vecchia generazione “garantita”, e alcuni dei nostri giovani colleghi precarizzati tanto sul lavoro quanto nella vita. Mi perdoni se dubito fortemente che lei, dalla sua posizione privilegiata, riesca a cogliere la reale portata del dramma che codesti ragazzi hanno tentato di comunicarle. Però questo è comprensibile: la capacità di sentire sul proprio stomaco il peso delle disgrazie altrui non è un requisito indispensabile per diventare un valido editor. Ciò che invece, secondo la mia modesta opinione, occorrerebbe evitare di fare è lavarsi le mani delle brutture che ci circondano – di questo, di fatto, si tratta – trincerandosi dietro giustificazioni cedevoli come “non posso fare di più”. Mi permetta di farle notare, cara Catriona, che qui è in errore: chi è ancora capace di indignarsi e non è stato ridotto a un connivente silenzio può fare molto anche se non bazzica la stanza dei bottoni. Un esempio? Anche il suo secondo piano sarà infarcito di giovani collaboratori a progetto costretti a rispettare orari d’ufficio e assoggettati al potere disciplinare suo o di qualche altro superiore… No, non si affretti a dire che la sua redazione è diversa… Le chiedo solo di riflettere sul fatto che tutto ciò non solo è moralmente riprovevole, ma potrebbe anche essere illegale. Sì, illegale. Lei sarebbe disposta ad approfondire la questione ed eventualmente a denunciare l’illecito alle autorità competenti? Risponda a se stessa con franchezza. Mi auguro che anche adesso, in piena coscienza, possa ripetere il suo “Però non posso fare di più”.
    I miei ossequi,
    Ernesto

  13. 13

    Siamo online!
    http://www.rerepre.org... Ci fa un po’ di pubblicità? :-)



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