Drammi

Lo so bene che la letteratura si nutre di drammi. Non esiste storia se non ci sono un cambiamento, una modifica, un rito di passaggio. Ma, soprattutto in questo periodo di flusso annegante di manoscritti, gli effetti rischiano di essere più drammatici per chi legge che per chi scrive (o ha scritto).

A: “Hai letto quello di Charlie Charles?”
B: “Qual è? Quello del tizio con il delirium tremens?”
A: “No, è quello della donna che perde le braccia in un incidente, ma ritrova se stessa… Un momento, io quello del delirium tremens non l’ho letto… com’è?”
B: “Mah, abbastanza scontato, direi. Alcol, visioni, incubi… non molto esaltante. Mentre la donna senza braccia non sembra male.”
A: “All’inizio sì, poi però diventa prevedibile. Insomma, ti puoi immaginare tutto, no? Invece quello dell’uomo che perde l’intera famiglia, nonna compresa, in un naufragio mi sta prendendo.”
B: “Io ho fatto un libro su un naufragio l’anno scorso ed è andato da schifo. Eppure morivano i più antipatici e c’era un bello slancio d’identificazione.”
A: “Ma anche qui si piange un sacco… Pensa che lui, il sopravvissuto, scopre poco dopo di avere una forma rarissima di cirrosi che…”
B: “Scusa, ma sei sicura che non abbia anche il delirium tremens?”
A: “Mah, forse. A me, a colpirmi, è stata la cirrosi…”

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10 2008

2 Commenti Commenta ↓

  1. Claudia #
    1

    Non ci credo! Giurami che un dialogo di questo tenore è reale! Troppo, troppo, troppo oltre! :)

  2. 2

    alibito, manco fosse “c’è posta per te”



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