Ieri, oggi, domani

L’altro giorno mi imbatto in una “lettera al direttore” di un lettore ventiseienne. Che si lamenta del fatto che i libri sono troppo cari e che le biblioteche non sono un’alternativa praticabile, perché le liste d’attesa per certi libri sono interminabili e, quando finalmente si arriva in cima, quel libro è già “passato di moda”.

Ieri sera, una giornalista ha lanciato in diretta televisiva il suo grido di dolore contro le librerie, luoghi desolati in cui ormai si trovano in prevalenza volumi inutili se non spregevoli, per di più corrotti da errori di grammatica e di ortografia. Il rimedio? Rieditare un certo romanzo russo “esaurito ma non fuori catalogo” (sic) di 858 pagine.

Oggi contemplo queste due posizioni con la voglia di prendere il ventiseienne e la giornalista a calci nel sedere e, nel contempo, di dar loro ascolto. Com’è possibile che si applichi l’etichetta “caro” a un prodotto che può costare 5, 6, 7 euro? Com’è possibile che un libro “passi di moda” come una Pinko Bag? Com’è possibile che si dipinga la libreria come un posto così squallido? Com’è possibile che il piacere della lettura si debba incarnare in un unico libro, per quanto bello e importante?

Eppure entrambi sono lettori, i miei veri datori di lavoro. Quindi, da qualche parte, in qualche piega del loro ragionamento, ci deve essere un granello di verità. Posso soltanto promettere che cercherò di trovarlo.

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06

10 2008

16 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Nel corso del weekend sono stato in tre diverse librerie. In tutte ho comprato qualcosa. In tutte c’è stato il libro che mi ha fatto dire Oooh. Certo, non tutti questi libri erano italiani, certo, non tutti questi libri erano nuovi, certo, nessuno di questi libri era un cartonato. Però, non vedo l’ora di tornare a casa a leggere.
    (però, comprare sei libri in un week-end, si può far mica sempre. Ché poi, si sta male)

  2. 2

    Ciao Catriona, sono una tua lettrice costante e costantemente anonima, ma oggi ti scrivo qualcosa.
    Certe librerie non sono squallide ma assomigliano sempre più a degli autogrill (penso alla Feltrinelli Buenos Aires, tanto per dire, in alcune librerie non ci si trova più a proprio agio) :)
    Anch’io lavoro in editoria, ma soprattutto amo leggere e non utilizzerei mai il termine “passare di moda” per un libro. Però ho constatato che negli ultimi anni la vita dei libri è diventata terribilmente breve, e non parliamo solo dei libri pubblicati dai piccoli editori.
    I libri sono una della voci di spesa più alte per me e mi capita di comprare anche libri a 5, 6, 8 euro. Il più delle volte però pago 13, 18, 21… e non compro certo il libro appena uscito perché altrimenti non sono à la page (appropriato, no?): il più delle volte è semplicemente perché lo stavo aspettando, perché ho i miei feticci e per quelli mi concedo la prima edizione… :)
    Quindi in parte capisco le recriminazioni sul mercato editoriale (perché sta perdendo la sua specificità e sta cominciando a somigliare sempre più a tutti gli altri mercati).

  3. 3

    ciao
    delle parole della Zucconi mi soffermerei più sull’aspetto: “volumi inutili se non spregevoli, per di più corrotti da errori di grammatica e di ortografia”, che non sulla proposta di leggere il romanzo russo.
    Ce ne sono tanti, soprattutto nelle moderne iperlibrerie che ormai dominano il mercato, di libri inutili che tolgono spazio a opere di qualità decisamente superiore.
    Quanto al “passare di moda” di un libro: concordo con te che è una categoria di pensiero che l’editoria non merita, ma mi domanderei anche se non sia legata all’iperofferta non di qualità di cui sopra.
    Buon lavoro, comunque, ché facile non è…

  4. 4

    È sempre la stessa questione, la domanda risponde all’offerta e l’offerta alla domanda. Se i libri ora “durano poco” è perché non hanno un valore letterario altissimo; ma dica quel che dica la signora GZ, non credo che le masse oggi comprerebbero romanzi realisti russi. È una mia impressione comunque, non ho idea delle statistiche.

  5. 5

    Detti così mi paiono due punti di vista opposti rispetto a un medesimo aspetto dell’editoria qui da noi. Ossia la progressiva scomparsa del catalogo dalle librerie.
    Ci sono lettori che non si rassegnano (e quindi vedono le librerie di oggi come luoghi squallidi) e ci sono quelli che contribuiscono a questo stato di cose (sposando l’idea che un libro abbia una scadenza, un po’ come gli yogurt, idea che – commercialmente parlando – è sempre più vera). E il rapido giro dei libri sugli scaffali dei “punti vendita”, secondo me, non ha nulla a che vedere con la qualità dei testi (come invece sostiene Reloj, qui sopra) le logiche che stanno dietro a questo cambiamento sono molto più commerciali che culturali.
    Che poi la politica commerciale delle CE (e, in parte, delle catene di librerie) abbia un peso rilevante anche sul “fare cultura” delle stesse è un altro discorso, perché quando “devi” uscire con un numero di titoli sempre crescente, per conquistare spazio sugli scaffali a danno delle concorrenti, non solo accorci la vita di un titolo, ma rischi facilmente di abbassare la media qualitativa di ciò che pubblichi (però, a mio avviso, la diminuzione della qualità è più un effetto, al pari della vita breve, che non una causa).

    my two cents

  6. 6

    Collaborando con una agenzia di servizi (editoriali), posso dire che è assolutamente vero che i libri sono “corrotti da errori di grammatica e di ortografia”.

    Posto che, per quanti sforzi si facciano, qualche refuso tende a restare, il funzionamento del tutto non è certo l’ideale (almeno per quanto riguarda il mio caso): da una parte c’è una celebre CE chiamata con un patronimico che so considerare scarsa l’agenzia di cui sopra, d’altra parte mi giungono voci che invece tende a tenere i prezzi alti perché garantisce qualità in tempi stretti.

    (Essendo semplice collaboratore, determinate questioni non le posso dare per certe.)

    Chi si intasca i proventi di tali prezzi alti?
    Di sicuro non i collaboratori, sempre tutti sottopagati e quasi per intero esterni (pochissimi dipendenti effettivi), nonché moltissimi alle prime armi (per tenere i compensi ancora più bassi).
    Incentivazioni e motivazioni prossime allo zero.

    Ma quanti soldi girano, effettivamente?

    Anni fa mandai anche un paio di lettere a una celebre CE, con un’analisi minuziosa degli errori grammaticali, ortografici e perfino concettuali e di costruzione che avevo trovato in determinati romanzi (per esempio, un caffè che veniva girato con un bastoncino e qualche riga sotto, invece, il cucchiaino che veniva posato).
    Ovviamente, ma me lo aspettavo, non ho ottenuto risposta.
    Ne avranno tenuto conto? Lo sapevano di già e in ogni caso possono farci poco?

    Sospetto che l’imputato principale, oltre ovviamente ai soldi (e al Sistema), sia il tempo. Come in tutte le realtà, si deve correre sempre di più, produrre sempre di più.
    Con tendenza a dare maggiore importanza alla quantità che alla qualità.

    Scusate la lunghezza e le eventuali banalità; spero inoltre di non essermi attirato le antipatie della signora Potts, con questo breve dubbioso resoconto.

  7. 7

    Io non so, mi trovo sempre a metà.
    Da un lato mi viene da dire che anche i libri meno “culturalmente alti” abbiano una loro utilità (conosco molte persone che hanno iniziato ad amare la lettura grazie a quelli per poi passare a titoli più impegnati), anche perché mi danno il pane. Dall’altro mi rendo conto che tolgono la possibilità a libri di buon livello di essere notati o addirittura pubblicati. Ho mandato in giro per varie case editrici milanesi una proposta di traduzione dal russo e la maggior parte mi rispondeva “Bellissimo, ma troppo letterario per il nostro catalogo”. Mancava a tutti o quasi il coraggio, è più facile andare a caccia di titoli più sicuri e meno impegnati…
    Sulla questione “sciatteria editoriale” (errori, sgrammaticature, ecc.) secondo me in gran parte è colpa di un’editoria che esternalizza quasi tutto senza far più crescere o quasi internamente i lavoratori del libro. Lo dico per esperienza personale.

  8. 8

    la verità è che ci siamo fatti fare il lavaggio del cervello. Ora sarebbe così demodé leggere Ramses, o il Codice Da Vinci o Io uccido. Passati, pagine girate e che non ritorneranno indietro.

    Abbiamo tutti, alcuni più, alcuni meno, accettato la teoria del fast food e l’abbiamo applicata a ogni aspetto della vita, amore e cultura compresi.

    Ormai il tempio lo mandano avanti i mercanti. 1000 libri prodotti di cui quelli buoni quanti saranno? 10? E quanto può costare un libro che 990 volte su 1000 sarà immondizia?

    Secondo me il problema è anche “vostro”, insomma. Io lo so che ce la mettete tutta, che lavorate seriamente e che fate un lavoro difficile. Che non legge più nessuno, così come nessuno compra più dischi… eppure il mercato discografico non è mai stato saturo come in questi anni di download selvaggi internettiani.

    La soluzione non la conosco, in realtà credo che se TUTTI a qualsiasi livello, ci limitassimo a fare il minimo indispensabile (anche come lettori), il mondo sarebbe un posto molto migliore.
    Insomma, serve una guerra termonucleare globale.

  9. ale #
    9

    Affezionato lettore, esco dal silenzio e commento.

    Immaginami di fronte a un uditorio di BA (Bibliofagi Anonimi), e che cominci così: “mi chiamo ale e sono un bibliofago”.

    Sono un bibliofago. Ne leggo tanti. Ne devo possedere di più.

    Quando una libreria propone sconti, la saccheggio. Seguo il ciclo periodico delle promozioni: a maggio attendo ET, a giugno gli Oscar, poi tocca a Feltrinelli, eccetera. Frequento, agitato da fremiti di lussuria, la filiale cittadina de il Libraccio.

    Costano tanto, i libri? Beh. Quando si parla di prezzi, viene naturale il raffronto fra la lira e l’euro. Sono passati un po’ d’anni, può essere che il confronto non sia più così attuale. Pure, resta la sensazione che i prezzi dal 2001 ad oggi siano esplosi.

    Una libraia, attorno al 2003, mi diceva “hai ragione, ma tutti i prezzi sono saliti, a noi è cresciuto l’affitto, e il gas, la luce, …”.

    Un altro libraio, giusto due settimane fa, mi commentava invece la politica di una famosa casa editrice. Vedi questo libro, mi diceva, da ieri è passato da 10 a 12 euro, e noi non ci possiamo fare nulla. Ventiquattromila lire per duecento pagine brossurate, gli ho detto, e lui sì, che ci si può fare.

    Ci sono, i libri che costano 5, 6, 7 euro. In genere, però, sembra che il prezzo d’entrata per un prodotto librario siano i 10 euro.

    Il che, poi, non è ’sto delitto. Ho pagato 12 euro librini esigui che ne valevano 120. Come si stabilisce la congruità fra il valore di un libro e il libro in sé?

    Tutto questo sproloquio, per dire che capisco la percezione del ventiseienne sul prezzo, mentre trovo bizzarro (e meritevole dei calci) che venga applicato il concetto di “moda”. Posso capire l’urgenza di leggere un libro, di leggerlo subito, perché in qualche modo si sa che quello è il libro fondamentale da leggere nel momento in cui lo desideriamo. Può capitare. Raro, ma può capitare. Oppure, può darsi che il ventiseienne abbia bisogno di sapere davvero quello che capita nel mondo: senza sapere come e perché i numeri primi si sentano soli, uno non può dire di sapere tutto della sua contemporaneità (suppongo che il ventiseienne segua con lo stesso feroce entusiasmo tutta la produzione televisiva).

    Il problema grosso è filtrare: pagare 12 15 18 euro per i libri importanti (trentaseimila lire!!! lo voglio almeno cartonato, con sovraccoperta, ben rilegato…) mi va bene – anche se sono convinto che i prezzi siano troppo più alti di com’erano.

    Serve la saggezza necessaria per filtrare le ciofeche: 5, 6, 7, 10, 12 euro sono comunque troppi.

  10. Catriona Potts #
    10

    @ tutti Perdonatemi, ma in questo periodo riesco a malapena a star dietro a me stessa e ogni commento meriterebbe un post a parte. Quindi me la cavo furbamente “in blocco”. Vorrei soltanto dire una cosa. Vorrei che la gente leggesse. Non m’importa cosa. Che leggesse e basta. Oggi magari legge la peggior ciofeca e domani (forse) leggerà un autore che cambierà il suo modo di vedere le cose, che la farà diventare “più bella e più superba che pria”. Davvero, non chiedo altro.

  11. .mau. #
    11

    Catriona, il lettore ventiseienne non compra il libro da 5 6 7 euro. Compra il libro che gli è stato proposto come “quello gggiusto”, che costa 18 20 22 euro, e tra meno di sei mesi non sarà più quello gggiusto. Che poi io sono contento che esistano quei libri, perché significa che le CE guadagnano i soldi e possono finanziare opere che se va bene le ripagheranno delle spese.
    Per i pacchi di refusi ed erroracci, mi sa che il problema sia la troppa fretta di tutti. Quest’anno che ho avuto la ventura di lavorare su un libro ho visto che cosa può succedere ancora alle terze bozze :-(

  12. 12

    .mau. quel lettore 26enne è un coglione, io per comprare alcuni libri ho aspettato anni, per quello che ho preso ieri ho aspettato più di dieci anni, per “Il meglio che possa capitare a una brioche” ho atteso l’economica, per altri ho aspettato di avere i soldi, per altri di poterli ordinare, i libri sono come il vino, con gli anni si vedono le differenze tra quelli buoni e l’aceto

  13. .mau. #
    13

    @mucio: ma io sono contento che ci sia il lettore 26enne coglione! Ripeto, è grazie a quelli come lui che le CE possono poi pubblicare i libri che leggo io.

  14. mela #
    14

    forse il ventiseienne voleva soltanto intendere che gli piacerebbe leggerlo nel momento in cui più se ne parla, tanto per non rimanere tagliato fuori dalle conversazioni … un po’ come i film quando escono.

  15. 15

    Come tutti voi, anche io mi sono appostata nelle librerie, ho osservato tra gli scaffali i lettori (ipnotizzati) e i non-lettori (sgomenti) e ho formulato una mia teoria, che vi propino qui:

    1) il libro “di moda” è il best seller per la gente che in libreria ci entra solo due volte l’anno: a Natale e a luglio, prima delle vacanze.
    Dato che non si sa orientare nella marea di proposte editoriali, non sa capire in che cosa Feltrinelli sia diversa da Sellerio (tanto per fare un esempio), sceglie nell’unico modo possibile: indirizzato dal battage pubblicitario, scegliendo ciò che “proprio non si può fare a meno di leggere”, che spesso è scadente ma tanto il lettore non se ne accorge, che spesso è ritrito ma idem, il cui valore umano è nullo ma tanto vuoi mica che davvero ti faccia pensare. Non è nutrimento per la mente: è un prodotto (ragione per cui, tra l’altro, boicotto sistematicamente questo tipo di “libri”).

    Mi capitò un anno, in aereo, di scandalizzare una vicina di posto perché “non avevo ancora letto Faletti”: questa signora, che legge un libro l’anno, ha dato dell’ignorante a me, che all’anno ne leggo duecento.
    La cosa mi ha fatto sorridere, ma mi ha anche fatto riflettere: non è che leggere l’unico libro “del momento” sia un ottimo modo per sentirsi non solo à la page (ah ah ah), ma anche “non ignoranti”, anche se lo si è esattamente come prima (o poco meno)? Un po’ come avviene in tutti i campi, con la legittimazione di QUALSIASI opinione (ci avete fatto caso? I fatti non contano più).

    Io leggo continuamente, e mi sento ignorante spesso e volentieri: e di questo ringrazio i libri, e ringrazio di avere ancora tanto tempo (ma mai abbastanza), e provo anche talvolta una certa ansia, perché vorrei leggere tutto, imparare tutto, scoprire ogni cosa, ridurre il margine della mia incompetenza.

    2) i libri sono pieni di errori (ed è vero, purtroppo) per un sacco di motivi, tra cui annovero:
    a) (già citato da altri, mi pare) i revisori sono inesperti perché così costano meno (vale soprattutto per la varia) e, oltre a ciò, il nostro pare essere diventato un lavoro come un altro e non un lavoro per cui è necessaria un’ossatura culturale che non puoi farti dopo due mesi di stage, ma che bisogna coltivare nell’arco di una vita; so che il mio discorso sembra snob, ma ciò che intendo dire è semplicemente che, per produrre contenuti, bisogna averne, e che questo, come tutto il resto, è un patrimonio che non si riceve per grazia divina in un momento di illuminazione, ma che si conquista (con fatica e dedizione, aggiungerei) (ovviamente vale anche per i traduttori).
    La cosa peggiore è che ora anche il più capra dei colleghi ritiene di fare “lo stesso lavoro che faceva Pavese” (sentito con le mie orecchie, giuro). Certo, cara, ma se poi non sai riconoscere gli errori più marchiani, non fai lo stesso lavoro di Pavese: vai solo a lavorare nello stesso edificio!

    b) il tempo per farli è sempre meno; anche questo, per tenere basse le tariffe. E’ un circolo vizioso: il risultato è che si tende a fare un lavoro in meno tempo, perché se è pagato meno, bisogna prenderne di più, e così via.

    3) dulcis in fundo: i libri “costano”, ma non quanto una maglietta (tanto per dire). I libri da alcuni vengono percepiti come costosi perché non sono un VALORE. Io mi compro un sacco di oggetti, come tutti (non facciamo finta di non essere consumisti :-( (( ): scarpe, abiti, piante eccetera; eppure, i libri (non uno, ma tanti!!!) sono una cosa per la quale sarei disposta a rinunciare a tutto il resto (come ho fatto per tanti anni, per esempio quando ero all’università e appena il mio portafoglio mi distraevo tentava il suicidio).

    Se pensi che 100 euro per dieci libri sia troppo, ma che 100 euro per una maglietta sia adeguato, vuol dire che (banalmente) ti importa più della borsetta che dei libri e che non riconosci il valore e la funzione del libro.
    Nella mia famiglia un libro è sempre stato più importante di una maglietta: e so che, pur riconoscendo il valore intrinseco della maglietta, di fronte a un bivio non avrei dubbi.

    Quindi per me la soluzione non è abbassare il prezzo di copertina, quanto piuttosto riprendere a fare meglio i libri e cercare di trasmettere il significato e il piacere della lettura (tipo fermando tutti i passanti a un incrocio, visto che pare che non esistano strumenti di comunicazione di massa che ci diano una mano! :-D )

  16. Catriona Potts #
    16

    @ .mau. :-)
    @ mela Sì, certo, però è un po’ triste…
    @ nondisolopane Anzitutto grazie per il tuo lungo e bel commento. È sempre bello ascoltare gente “che pensa”. Ti rispondo sinteticamente, perché ogni punto meriterebbe un lunghissimo discorso.
    1) Sì: il libro è un prodotto. Ma io non sono così contraria alla cosa. L’ho già detto e lo ripeto: a me basta che la gente legga, che la testa prenda gusto alla lettura. Parlo ovviamente di quelli che “io-leggo-poco” e che poi si vedono in giro con il “libro-in-testa-alle-classifiche” come se fosse l’unico libro disponibile. Sarà l’età, ma io sono ormai approdata al “contengo moltitudini” di whitmaniana memoria. Vuoi leggere il romanzo di John Pizzighettone perché tutti gli altri l’hanno letto (o dicono di averlo letto)? Va bene. Ci saranno sempre i lettori (gli ascoltatori, gli osservatori) più consapevoli (e discernenti) e quelli meno consapevoli e discernenti. L’importante è non perdere l’abitudine a leggere. Oggi John Pizzighettone, domani (chissà) Tolstoj.
    2) Sì, i libri hanno errori. Li hanno sempre avuti e sempre li avranno. Anche qui il discorso è lungo. E se è vero che nessuno è mai morto per un refuso in un libro (in una cartella medica forse…) è altrettanto vero che i libri “globalmente sciatti ” sono talvolta il risultato della nostra epoca, prigioniera della velocità. E, sempre talvolta, sono il risultato di una formazione superficiale unita a una notevole superbia. E, ancora talvolta, di uno scrittore non… eccelso, ecco. Però non continuo, sennò faccio davvero discorsi da vecchia bacucca…
    3) Eh, sì. La maglietta la mostri, il libro no. Ma proprio per questo mi va benissimo che si parta dallo stadio del “leggere poco”, che si prenda in mano un libro anche solo ogni tanto. Se esistesse un sistema per realizzare questo (e rafforzare la speranza che si passi dal poco al molto) credo che gli editori l’avrebbero già messo in atto. È un mestiere, il nostro, in cui “ci si prova” e magari qualcosa riesce, prima o poi.



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