Pastone

E’ che non ne posso più di questo mastica-e-sputa parole. Sì, lo so, l’ha già detto qualcun altro (e di certo non è stato il primo) ma, all’epoca, serviva per stigmatizzare una posa affettata, un atteggiamento snob. Adesso invece non passa giorno che non ci gettino contro un pastone di neologismi, etichette, slogan; non passa giorno che noi non ci lanciamo a masticare quel pastone – quei neologismi, quelle etichette, quegli slogan –, neanche fossimo lupi bulimici, e non passa giorno che, disgustati o esaltati, per convinzione o meccanicamente, ce lo risputiamo addosso. Per riprendere il ciclo il giorno dopo.
All’inizio, pensavo di essere troppo sensibile io, che con le parole ci mangio davvero. Ma stamattina, quando ho sentito un tassista dire ridacchiando a un collega: “Ve le abbiamo suonate anche ieri, eh, brutto comunista…”, ho capito che il pastone – in questo caso composto da arroganza, sport, insipienza, superficialità e forse altro – rischia di diventare l’unico vero cibo disponibile per tutti.
E molti, moltissimi lo troveranno sempre più gustoso.

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06 2009

2 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Personalmente sono sconvolto quando il pastone di cui parli penetra in casa attraverso un blob televisivo, una didascalia di un giornale, le lettere pubblicitarie, gli annunci radio.
    Quando nel pastone ci affoghiamo lenti, e inconsapevoli -per esserne poi invasi.
    Quando questo pastone, che è frutto anche di indagini di mercato che individuano in un determinato linguaggio la comunicazione di un certo tipo di utenza, viene alimentato per diventare l’unico cibo dell’intelletto.
    Questo brodo è lo stesso dove stanno naufragando i miei giornali preferiti, che abbassano la comunicazione politica ad un diverbio degno di Maria de Filippi.

  2. 2

    Credo che sia voluto. Secondo gli studiosi di linguistica (e discipline affini) è la lingua che forma il pensiero, e non il contrario. Parlare per slogan, avere un vocabolario di cento parole (invece che di diecimila) ti fa PENSARE in maniera semplificata, ti costringe un po’ per volta, senza che tu te ne accorga, a non riconoscere sfumature, a ragionare per etichette e per stereotipi. In altre parole, a essere il perfetto elettore manipolabile.



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