Imparati

[Avvertenza: post ad alto tasso di vecchiezza. Ne sono consapevole.]
Dio ne scampi dagli imparati. Ce ne sono ovunque, credo, ma ovviamente ognuno vede i propri. E io vedo i miei. In prevalenza giovani (e questo è bene, benissimo, intendiamoci), hanno magari un master (uno qualsiasi) e dunque sono convinti di avere “il segreto”, di possedere la “visione globale” che tu, piccola rotella arrugginita nel macchinario della quotidianità, ignori. In un lavoro che – lo ribadisco per l’ennesima volta, scusate – s’impara soltanto facendo(lo). S’impara ad annusare, a tagliare, ad addolcire, a cassare, ad allungare, a dubitare, a correggere, a umiliarsi, a piegare, a esaltarsi, a masticare, a scoprire, a limare, a equilibrare, a nascondersi, a  pulire… Non sono capacità superumane, ma non si acquisiscono neppure per immersione in qualche fonte benedetta dagli dei del mercato (e della letteratura in subordine). Si ascolta, si guarda, si capisce e poi, dopo, si cerca di far meglio.
Ecco: gli imparati convinti di saper far meglio prima non li sopporto proprio.
Quando poi chiudono le loro frasi con un “tesoro” non mi lasciano alternative.
E infatti mi vendico.

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07 2009

19 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    gran brutta razza gli imparati…
    l’entusiasmo è bello (quando non si eccede) ma la supponenza, ah!
    ma il peggio è quando l’entusiasmo si mischia alla supponenza!
    lì altro che vendetta… un fucile ci vuole!

  2. 2

    Un mio vecchio amico noto direttore di noto quotidiano, mi dice sempre che quando arrivano i giovani Imparati in redazione, impiega circa 8 mesi a fargli dimenticare quello che hanno imparato, per potergli insegnare da capo l’unica cosa che in quel mestiere dovrebbero sapere: scrivere in italiano corretto per informare correttamente i lettori. Ma ultimamente mi ha confessato d’esserne un po’ stanco, poiché si sente solo a lottare contro l’arroganza e il presumìn di individui che potrebbero essere suoi nipoti.

  3. 3

    il problema, come dice bene catriona potts, è che ormai si è sostituito
    la nobile attività del duro praticantato (nobile perchè fatta a costo zero)
    con l’ottenimento di un bel pezzo di carta (che nel 90% dei casi si ottiene
    pagando delle cifre spaventose) che attesta che tu hai passato un considerevole
    numero di ore a sentire parlare questo o quell’esperto di un lavoro che ti piace…
    non è un pò come dire che sei in grado di guidare una macchina solo perchè per 18 anni
    hai visto farlo ai tuoi genitori?

  4. Zia Bisbetica #
    4

    Scusarsi per il tasso di vecchiezza? Ma si scusassero giovanotti e giovanotte per come si presentano, altroché.

  5. 5

    Sono d’accordo. A muorte gli imparati! Però…
    @mitì: facile lamentarsi che tutti i giovanni ora vogliono solo il pezzo di carta e credono di essere “arrivati” quando lo ottengono. Ma il tuo conoscente, noto direttore di un giornale, accetterebbe di prendersi carico di un tirocinante non laureato-laureando? Io dubito. Sono le aziende le prime a considerare il pezzo di carta la caratteristica fondamentale da cercare in un giovane. Capacità, volontà, e umiltà sono optional.
    @antonio: come sopra: non sono i giovani ad aver voluto questo sistema, che come hai detto tu ha costi non indifferenti. Le aziende si lamentano degli studiati? Si sta troppo tempo a far dimenticare agli studiati quello che hanno imparato? Che non li assumano! Che assumano previo esami attitudinali, invece di chiedere prima di tutto il pezzo di carta. Volete solo studiati, e poi ve ne lamentate…

  6. 6

    Io sono curioso riguardo al metodo di vendetta.

  7. 7

    izzy, sì credo tu abbia in buona parte ragione…

  8. Catriona Potts #
    8

    @ antonio lillo Ci sono metodi meno violenti e più efficaci delle armi da fuoco… ;-)
    @ Mitì E’ la stanchezza che ti taglia le gambe, infatti. Sarebbe così bello poter parlare, confrontarsi, senza “presumìn” :-D
    @ antonio lillo Non mi far continuare sulla strada della vecchiezza, ti prego… I fannulloni e gli arroganti ci sono sempre stati. Ma non te ne accorgi finché non ti trovi dalla parte del docente, per dir così. Poi bisognerebbe parlare della scuola, della formazione… Non se ne uscirebbe vivi.
    @ Zia Bisbetica :-D
    @ Izzy Sì, è vero. La laurea è ancora considerata importante, per certi lavori, anzi indispensabile, nella convinzione che si siano trascorsi gli anni formativi a… formarsi. E questo vale soprattutto nel mio campo. Ma, quando si tratta di “agire”, credimi: le altre qualità diventano determinanti. Sugli esami attitudinali, posso parlare solo per me: io li faccio (non esami veri e propri, ovvio). Ma non sempre sono attendibili.
    @ lud_wing Mah, luglio è un mese troppo crudele e breve per la mia vendetta, quindi la rimando a settembre. Il metodo? Semplice: non gliene faccio passare una. Ma neanche una una, eh? Lo prendo per sfinimento :-)

  9. 9

    Leggevo il post e i commenti e mi domandavo se è davvero così… cioè, si è davvero così da un certo punto di vista, ma nell’editoria a me balzano soprattutto all’occhio tante persone giovani desiderose di lavorare in questo ambiente che vengono lasciate nel precariato anni e anni, indipendentemente dal valore dimostrato sul campo o dal pezzo di carta… (Non dico di assumere subito, ma ci vogliono dieci anni per capire se uno è bravo nel suo mestiere? Io sono a quota cinque… ma sono tanti i colleghi nelle mie condizioni o in condizioni anche peggiori.) Sono fuori tema? Be’, perdonatemi, sarà il caldo…

  10. Catriona Potts #
    10

    @ Denise Sei dentro il tema e fuori di esso nello stesso tempo. Hai ragione: cinque o dieci anni sono tanti, troppi (posso chiedere se nello stesso posto o in posti diversi?). Ma, come ben sai, il mondo delle CE è piccolo e, prima che una seggiolina si liberi… (non parlo neppure della crisi, dato che se ne parla già assai)

  11. 11

    @ Izzy: no, non è vero. se lo fosse, io da sette anni a questa parte starei ancora a fare la segretaria-telefonista. invece “so fare”, anche senza pezzo di carta, e faccio.

  12. 12

    Uno da esterna, collaborando per tantissime case editrice contemporaneamente come lettrice, correttrice bozze, revisora, traduttrice (le norme mi si confondevano in testa, stavo impazzendo), quattro con la stessa, un po’ da esterna un po’ da interna (più una seconda CE da esterna con cui continuo a collaborare). La mia coordinatrice ha impiegato dieci anni a farsi assumere. Un redattore va in pensione, prendono due stagisti o sistemano qualcuno che è lì in quelle condizioni da almeno una decade. E i casi sono tanti in tutte le CE medio grandi. Da te come va?

  13. 13

    @ Denise: anche qui è più o meno lo stesso, in effetti. però nell’editoria ci sono “entrata”, little paperless me. e non è detto che alle segretarie-telefoniste vada meglio.

  14. 14

    Io sto facendo lettere e davvero non ne posso più. Una perdita di tempo immane e uscirò di qui senza nulla in mano. Addirittura una professoressa mi ha detto che non potevano riconoscermi dieci crediti di tirocinio perché lavorare in una casa editrice non c’entra nulla con Lettere… ditemi voi.
    Ritengo di avere imparato di più in questi mesi di tirocinio che in quattro di uni. Non credo che tutti i master dell’universo ti diano ciò che l’esperienza può darti. Quanto all’umiltà… penso che sia una questione che attraversa tutte le età. I giovani possono perché hanno fatto il master, i vecchi possono perché tu sei giovane e quindi non capisci.
    Tesoro? Ma spezzagli le gambe…

  15. Catriona Potts #
    15

    @ farouchegrande :-D Appunto.
    @ Denise Va come da qualsiasi altra parte, di questi tempi. Purtroppo non so cosa dirti: hai fatto tutto quello che dovevi, ti sei fatta valere, ma evidentemente manca la volontà (non la tua). In bocca al lupo.
    @ DabriaTiann Senza ironia: quali erano le tue speranze, quando ti sei iscritta? A me (e parlo di eoni or sono) avevano fatto una capa tanta, dicendomi: “Non troverai lavoro, non troverai lavoro, non troverai MAI lavoro…” Ma io avevo (e ho) la capa tosta. Sui crediti non dico nulla, perché non conosco nulla del meccanismo (perverso mi sembra, però). L’umiltà? Ma certo: “la cosa è reciproca”. Tuttavia io sono dalla parte dei vecchi, quindi… Infine grazie del consiglio, che mi ha fatto fare una bella risata (diabolica) :-D

  16. 16

    @Catriona: Eh non avevo le idee chiarissime però volevo lavorare con i libri, questo sì. Non sapevo se avrei insegnato o le avrei raccontate attraverso un giornale o sarei entrata nel mondo editoriale. Il problema è che sapevo che ci sarebbe stata tanta teoria però mi aspettavo che ad esempio ci fosse almeno UN esame sull’editoria. E invece nisba. Ma quindi avendo fatto lettere posso fare solo la prof sempre che mi vada bene?
    Se non mi fossi mossa da me “ciao ciciu”.

  17. Catriona Potts #
    17

    @ DabriaTiann Un esame sull’editoria credo che non lo faranno mai, temendo di creare illusioni pericolose. Ma le cose che impari (e che t’insegnano) servono nell’editoria, sia come “dati” sia come forma mentale. Ho visto un sacco di gente che non sapeva neppure come si faceva un indice analitico o una bibliografia, per esempio. Però è vero, bisogna muoversi da soli, altrimenti “ciao ciciu” (ma sei piemontese?)

  18. 18

    @Catriona: Ebbene sì, sono piemontese ;)

  19. 19

    “Ciau ciciu” mi ha fatto morire dal ridere! Ricordate il fantastico video dei Ciau Bale sulla TAV? (http://www.youtube.com/watch?v=1Gi0An32tX4&feature=related) (la mia piemontesità si scatena… :-O)

    Tornando a cose più serie, credo che il problema sia piuttosto complesso. Un conto è l’ignobile sfruttamento del precariato; un altro conto è l’avere a che fare con persone che ritengono che aggressività e atteggiamento “rampante” siano la chiave del successo professionale.

    Il fatto è che queste persone, semplicemente, sono impermeabili: si rifiutano di imparare quanto tu vorresti insegnargli, come se la “grinta” fosse l’unico indicatore di valore e non ci fosse altro modo per mostrare le proprie (presunte) capacità se non “sgomitando”.

    Secondo me, in realtà i due aspetti (precariato e aggressività) sono strettamente correlati: al depauperamento del valore delle figure professionali corrisponde il dilagare di un atteggiamento aziendal-forzista preoccupante: non importa quali capacità tu abbia, importa la faccia tosta!
    Il risultato è che puoi essere aggressivo e farti vedere (ma rimanere sostanzialmente incompetente) oppure essere più discreto, imparare di più ma finire per essere meno valorizzato (salvo in aziende illuminate, s’intende).

    La mia esperienza è analoga a quella di Catriona: quando ho scelto il corso di laurea (in lingue e letterature straniere) e in sovrappiù ho scelto pure il francese come prima lingua (e tedesco come seconda, quindi, anatema, niente inglese), mi hanno data per spacciata (lavorativamente parlando). Il mantra che mi ripetevano era che, siccome i laureati in materie umanistiche non trovano MAI lavoro, avrei fatto meglio a fare economia (o teoria e tecnica del ricamo, tanto è lo stesso).

    Sapevo che la mia vita erano i libri, pensavo di avere delle capacità che volevo sviluppare e sono un tipo tenace, quindi questi pronostici non mi hanno spaventata, ma riconosco anche di aver iniziato questo lavoro in un periodo in cui forse il mercato non era così selvaggio (per quanto, diciamocelo, nepotismo e calci in culo non siano mai stati una novità): semplicemente, c’era meno crisi e quindi c’era spazio anche per chi non aveva né parenti, né c.i.c.

    E’ certo che, in questo ambito, bisogna avere maggiore iniziativa, perché non esiste un percorso predefinito (studi ingegneria e fai l’ingegnere, studi medicina e fai il medico), almeno in linea teorica.

    Purtroppo non ho risposte per le persone che, come Denise, aspettano da anni di essere inserite in pianta stabile in una struttura: la mia reazione, di fronte al progressivo sfaldarsi delle strutture editoriali (e visto che mi piaceva fare tante cose diverse) è stata quella di aprire uno studio e di trovare collaboratori molto in gamba (pochi, ma BUONI): in fondo, ho ricreato l’ideale di redazione che desideravo. Però riconosco che, anche per questo, ci vuole la fortuna di trovare colleghi in gamba e non bisogna avere paura dei rischi (ora che c’è la crisi, in verità, noi siamo tra i più fortunati, ma anni fa, quando abbiamo deciso di fare questo passo, parecchia gente pensava fossimo pazzi a lasciare i posti “sicuri” in case editrici per fondare qualcosa di nostro).

    Comunque Catriona ha ragione, a mio parere: questo è un lavoro artigianale, non c’è master che tenga. E se uno non ha l’intelligenza di comprendere che deve ACCOGLIERE il sapere che possono donargli gli altri… crepi pure (e si faccia il necrologio con il “pezzo di carta”). Non è questione di titolo, ma di atteggiamento.



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