Prefiche

Una settimana fa, istigata da una conversazione su FriendFeed (che non posso linkare perché lucchettata), ho guardato un quarto d’ora del Grande Fratello. All’interno di quei quindici minuti, almeno dieci sono stati occupati dal primo piano una ragazza che piangeva. No, «piangeva» non è il verbo giusto: singultava, gemeva, singhiozzava, con uno strazio e una disperazione che ho visto soltanto in persone colpite da un lutto. A un certo punto, però, la ragazza si è precipitata nella camera da letto della casa e lì ha trovato il padre; gli ha buttato le braccia al collo e – sempre tra singulti, gemiti, singhiozzi – gli ha detto più volte: «Ti amo!»
Ci ho riflettuto un po’, allineando tutte le tessere del domino: sincerità, sfruttamento, spettacolo, Debord e perfino un vago accenno di Damasio (l’inferno è una memoria lacunosa).
Ma poi, come succede, si guarda soprattutto a se stessi e al proprio lavoro.
E mi sono venuti in mente tanti manoscritti (e libri), italiani e stranieri, che sembrano seguire un principio simile: dire e poi ri-dire; spiegare e poi ri-spiegare; mostrare e poi ri-mostrare. In un eccesso di risate, pianti, scoperte, misteri, segreti, rivelazioni, corse, inseguimenti, colpi di scena, nascite, morti…
È forse possibile che l’eccesso, il sovraccarico, l’iterazione siano diventati, in qualche modo, indispensabili?
È forse possibile che la chiarezza, la sintesi, la concisione siano diventate una sorta di ostacolo alla comprensione?
È forse possibile che quella ragazza ci rappresenti più di quanto vogliamo ammettere?

P.S. Mi scuso con le molte persone che mi scrivono o commentano e che ricevono in risposta un antipatico silenzio. Abbiate pazienza, vi prego. Risponderò a tutti.

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01 2010

9 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    (riposati!)

  2. 2

    Sarà che oggi ho mal di testa, ma non credo di aver capito… XD Comunque ci provo!
    ***
    Credo che la gente senta il bisogno di quello che non ha. Forse la vita è diventata troppo sintesi, troppe pretese di efficienza, troppo controllo e moderazione. Essere partecipi (anche in modo passivo come guardare la televisione o leggere un libro) di comportamenti estremi, disinibiti, (falsamente) spontanei, ripetuti all’infinito proprio nella ricerca dell’eccesso, potrebbe compensarne la mancanza della vita reale. In un contesto emotivo, “chiarezza e sintesi” non sono essenziali. Forse XD

  3. 3

    eh no, io non commento più perché non rispondi ai commenti, e da ciò sono mortalmente offeso, ecco. :P

  4. 4

    Stamattina si diceva dei ragazzi che abbiamo in classe. Quando parli con loro, non basta. Se spieghi, qualcuno ascolta, la massa si distrae. Poi chiedi una cosa (un compito, un esercizio, una risposta, un gesto, un segno di vita), e [*]allora si riscuotono (si devono riscuotere) tutti. Siccome non sanno rispondere, ti chiedono di ri-dire. E qui, ancora, spesso sta attento solo che ti ha fatto l’eslicita richiesta di ri-spiegare. Tu ri-spieghi, e poi ri-chiedi il segno di vita. E… [riprende da *]
    La teoria è che, nel bailamme della comunicazione continua, la sopravvivenza ti costringe a ignorare la massa di informazioni che raggiungono il tuo orecchio. Se nella massa di informazioni c’è il nome di re Alboino, non saprai mai chi è. Se nella massa di informazioni c’è l’avviso che ti sta cadendo un soffitto in testa, morirai. Se l’informazione deve giungere al tuo orecchio, si pretende che venga ripetuta varie volte varie volte varie volte.

    Ah, sì, era per dire che un po’ di silenzio ogni tanto è compreso :-) ))

  5. 5

    In biologia i segnali raggiungono cellule che hanno appositi recettori, e questi stessi recettori possono anche essere modulati e diventare più o meno sensibili.

    Insomma magari i nostri recettori sono solo appannati causa eccesso di segnali, o magari causa qualche altro fattore completamente slegato dalla comunicazione stessa.

    O forse è solo quella del GF che è totalmente rincoglionita, e tutto questo discorso non ha molto senso: io ci penserei seriamente ^^.

    Simone

  6. 6

    Non ho visto il GF, ma sospetto che sia banale biologia, o poco più.
    Scomparsa la parte culturale, si reagisce per empatia verso le emozioni base.
    Versione esagerata delle risate registrate nelle sitcom, circa.
    Ridere fa ridere, piangere fa emozionare. A prescindere.

    Nei libri, credo sia un problema di cultura: devi avere una base per capire la dama che si copre col ventaglio, il rossore, l’imbarazzo, e tutto il minuetto giù giù fino alla scena strappalacrime di un feuilletton ottocentesco.
    Devi avere anche il tempo di leggerlo e assorbire le minuzie di stile.

    Invece il dialogo martellante attuale arriva al sodo, e lo batte e lo ribatte finché entra nella testa a chiunque.
    Anche se lo leggi di corsa, a pezzi, capendo si e no, dimenticando l’antefatto.
    Bombardato da troppe cose da ricordare e da troppe poche cose note, vende bene il feuilletton for dummies.

  7. 7

    E chi legge più!

  8. 8

    “l’inferno è una memoria lacunosa”.
    -
    grazie.

  9. 9

    Ma non si puo’ proprio paragonare il grande fartello alla vita reale…e’ un programma un le persone arrivano alle loro estremita’ e nella vita reale di tuti i giorni quasi e non succede



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