Carta pesante

Magari hanno venduto per anni semilavorati per pane, pasta e pizza. O cuscinetti volventi. Adesso, invece, vendono carta, carta pesante perché piena di storie e d’idee. I rappresentanti commerciali sono il primo anello della catena esterno alla CE: da loro al libraio, dal libraio al lettore. Devono saper piazzare Feromoni per un delitto, ma anche Storia dei missionari in Sierra Leone dal 1859 a oggi. E tu – che hai scelto l’uno e l’altro – devi spiegare loro come fare.
Parlare a queste persone – saldare il primo anello – è sempre un’esperienza. Non è che ti puoi mettere a declamare passi scelti di un romanzo, concludendo: “Come avrete di certo notato, lo stile di questo autore ricorda i primi testi di Ouředník.” Hai davanti gente concreta, il cui mestiere è fatto di grande pazienza, di parole precise e di piedi callosi (come dimostrano certe odissee dei rappresentanti del Sud). E non puoi – non vuoi – comporre il solito bouquet di aggettivi (eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera), ormai secco e polveroso.
E allora? Allora reciti. Dai a quelle persone un canovaccio cui possono ispirarsi per tirare fuori entusiasmo, convinzione, slancio e dati oggettivi. Parti dall’ultima pagina del libro e torni indietro; gli racconti la trama come se fosse un film; lanci esche; fai un’allusione disinvolta, come se avessi avuto all’improvviso l’idea decisiva (ci hai pensato per settimane); gli racconti come hai acquisito quel libro e quanto hai litigato con l’autore (facendo poi pace); nascondi e riveli; stuzzichi e provochi…
E alla fine, sì, tiri fuori comunque il bouquet. Perché è ovvio che hai scelto quel libro perché è eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera.
Però almeno lo fai uscire dalla manica, a mo’ di prestigiatore. Così magari sembra fresco e coloratissimo.
Se non altro, ci provi.
Perché, credetemi, dopo tutti questi anni, dopo tutti questi libri, io non ho ancora la certezza di riuscirci.

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02 2010

11 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    c’è un bellissimo racconto di Antonio Franchini su un piazzista di libri nel sud. stava in “Disertori”.

  2. mattiaq #
    2

    Scusa se mi permetto, ma io vedo i rappresentanti dal lato opposto della barricata, forse la mia impressione può essere utile. Secondo me sempre meno è importante che il venditore enfatizzi la qualità del prodotto che vende. Nel mercato attuale dove i librai innamorati dell’opera sono tutti falliti o stanno fallendo e le librerie sono sempre più catene commereciali senz’anima, secondo me le carte vincenti per piazzare un’opera sono altre: quanto ha venduto l’ultimo libro dell’autore? quanto andrà in televisione? è adatto alla stagione? quanto investimento in promozione farà la CE? è bello da mettere in vetrina? Insomma il rappresentante deve convincere il libraio che il prodotto è vendibile, non che sia buono. Triste? Forse sì.

  3. Melmoth #
    3

    mattiaq wrote:

    Triste? Forse sì.

    Io sono l’autore -mettiamo- che proprio in questi giorni stanno vendendo (la CE alla forza vendita).
    E mi rendo conto di non poter fare assolutamente niente. Tuttavia SO di aver scritto un libro che può essere venduto (ho anche scritto altri libri che non potevano essere venduti: ma quelli me li son tenuti per me). E’ troppo pensare che alla fin fine basti essere un lettore entusiasta (o anche solo un entusiasta, senza lettore) per convincere altri ad avere entusiasmo? E’ assurdo immaginare che il venditore scalmani in piazza come un venditore ambulante di paese, che si metta a declamare pezzi come si faceva ai tempi della commedia dell’arte, non per fare ‘arte’ ma per vendere il filtro che depilava i piedi e guadagnare così i soldi per la cena? E’ assurdo, impossibile, improprio sperare nel mestierante entusiasta, nel funambolo da baraccone, nel ciarlatano da strada che strilli e finga e batta i piedi a terra e alla fine commuova con il suo entusiasmo di lacrime finte? Datemi tutto tranne il marketing anestetizzato, i lustrini balordi della TV, le promozioni plastificate, le frasi-fatte senza passione -nemmeno di finta passione.

    M.

  4. Catriona Potts #
    4

    @ beneforti Non sei il primo che me lo cita. Devo recuperarlo.
    @ mattiaq Il discorso dei famigerati buyers delle catene – ti assicuro – è vago anche per me (per non dire doloroso). Ma sul resto probabilmente stiamo dicendo la stessa cosa o, meglio, diciamo due cose complementari: io parlo di quello che posso dare come CE nel momento in cui presento un libro; tu parli del resto, cioè di come le mie “informazioni” poi si integrano con la realtà. Sì, c’è il mercato. Sì, ci sono altri libri, ce ne sono molti. Sì, l’autore può avere un passato (di successo o no) eccetera. Quindi è ovvio che tutto si integri.
    @ melmoth Guarda, io ci metto tutta la mia buona volontà, ma i tuoi commenti non li capisco. Chi ha parlato di “funamboli” o di “ciarlatani”? Chi ha parlato di “lustrini balordi della TV”? Mah. Ti lamenti del fatto che c’è un mercato, che il tuo libro straordinario non brilla da solo nella notte? Ma quando mai un prodotto (sì, è anche *quello*, il tuo libro) ha questa capacità sovrannaturale? Ripeto: non capisco. E non ho intenzione di commentare oltre.

  5. Melmoth #
    5

    Veramente quello che ho scritto non era una critica a te. O a nessun altro.
    E non mi sono lamentato. E non penso che il mio libro brilli solo nella notte.
    Dei ciarlatani e dei funamboli ne ho parlato io perché mi piacciono, e molto, se sono ‘entusiasti’. Tutto qui.
    Tutto quello che dicevo: entusiasmo, please. Vero o finto, ciarlatanesco o pentecostale che sia. Ma entusiasmo, non solo fredda logica.
    Amen.

  6. mattiaq #
    6

    Come dice Catriona sono punti di vista complementari, non in opposizione. Il mio intervento era solo per sottolineare che le CE italiane forse tendono a dimenticare che quelli che chiedono i librai sono dati importanti, spesso invece queste informazioni non vengono date o vengono nascoste come se fossero cose vergognose. Poi perbacco sono il primo a desiderare che chi ha pubblicato il libro ne sia soddisfatto e lo ritenga un prodotto di qualità.

    Tra l’altro, come scrivevo altrove, il fatto che un editore investa sulla qualità e non esclusivamente sulla vendibilità è proprio uno dei valori aggiunti che possono permettergli di sopravvivere alla disintermediazione portata dalle nuove tecnologie.

    Però appunto non deve dimenticarsi, in quanto mediatore, che il suo cliente è il libraio che invece ha a cuore solo ed esclusivamente la vendibilità.

  7. 7

    @mattiaq: mi riesce difficile immaginare che qualcuno, nella catena che va dall’editore fino al libraio, non abbia a cuore la vendibilità…

  8. Melmoth #
    8

    @Mattia: in realtà il mio voleva essere un intervento al tuo commento, ma Catriona ha ragione, è venuto fuori un guazzabuglio confuso (ho la febbre e dovrei starmene silente e buono, ma proprio perchè in questi giorni si decidono le sorti della vendibilità di un mio ‘prodotto’ non ho potuto fare a meno di intervenire). Penso che tu abbia sacrosanta ragione sulla vendibilità, è quello il criterio per cui un libro va in libreria e non altro. E ha sacrosanta ragione anche Catriona quando parla dell’imponderabilità della vendita e dell’importanza di questi anelli di congiunzione con il pubblico. Paradossalemente però, proprio perchè il concetto di vendita è davvero misterioso che il mio venditore ideale è un ‘ciarlatano, un arlecchino che magari non ha letto il libro e te lo vende per la ragione sbagliata ma almeno te lo vende con estro, con furbizia, con passione. Rifuggo invece dall’idea del calcolo, dalla tabella col grafico delle vendite, dai curriculum sommari degli scali dai televisionari di turno, dalle critiche positive pagate a caro prezzo, insomma, da tutto quello che è la mortoriosa sicumèra del potere. In fondo una CE che fa un buon marketing di un libro lo rende soltanto visibile al pubblico giusto per le ragioni giuste; ma che poi questa visibilità si trasformi in vendita è un fatto imperscrutabile quanto il fondo dei buchi neri. La verità -che non si vuole ammettere- è che nessuno sa prima perché un libro vende; si può prevedere che è un libro sarà passabile, che andrà benino, ma solo la mediocrità è calcolabile; il resto, è nel regno dell’impoderabile…

  9. 9

    A latere.

    In questo momento, anche se non è in tema, mi vengono in mente i rappresentanti dei libri scolastici che cominciano a calare nelle scuole, cercando di convincerti all’adozione. Il fatto è che io lì sono il pubblico (che porterà altro pubblico) e anche loro cercano di tirar fuori il bouquet, e spesso è così evidentemente appassito che non sai come fare per allontanarti gentilmente.
    E forse è vero che, alla fine, ti convince maggiormente l’arlecchino che colui che ti sciorina la bellezza dei dati e delle carte geografiche.

    (per fortuna, poi ho il tempo di leggere il libro, e di accorgermi che ha dati sbagliati e carte geografiche troppo piccole; così non adotto. L’arlecchino ha dato spettacolo ma non è riuscito a convincermi, alla fine).

  10. 10

    Io ho avuto a che fare con i venditori, tangenzialmente (nel senso: vieni dentro anche te a sentire che ci capisci qualcosa)

    Ma si trattava di un terreno solido e misurabile come la meccanica.
    Tanto solido e misurabile che, a domanda solida e misurabile, il venditore fuggiva a gambe levate e ci mandava “il tecnico”, dato che oltre all’infarinatura ricevuta dal produttore e a un po’ di arlecchinata non sapeva cosa vendeva, di preciso.

    In un terreno labile come la vendita di libri, capisco il mal di pancia di chi il libro lo ha seguito e lo conosce che deve “preparare” un venditore che lo mette “in catalogo” come fosse un cuscinetto.
    Sapendo che questo venditore andrà ad affrontare molti librai divisi tra una certa aspirazione professionale/culturale e il vil denaro (perché, vabbè la cultura, ma non ci stiamo dentro).

    Un editor immagina questo dialogo tra sordi, e ha uno stranguglione (che non è italiano, ma rende l’idea)

    Mi viene da pensare, però, che se l’editor avesse un venditore appassionato, che legge e soppesa per consigliare al libraio solleticandone l’aspetto culturale ed editoriale, nel giro di un anno avremmo debellato il problema – morti tutti di fame.
    Che già siamo sulla buona strada, mi par di capire.

    Tuttosommato, il “vendere” al venditore il libro, è una prova generale del riuscire a venderlo al libraio e al lettore.
    Se si riesce a piazzarlo ad uno che vendeva accessori per pane, pasta e pizza, c’è speranza.

  11. 11

    Secondo me è una questione di allineamento astrale. Scusate, i tarocchi che ci stanno a fare? :)
    (Per sdrammatizzare)



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