Penna e calamaio (V)

Dicevamo: a un autore/un’autrice esordiente servono consapevolezza, chiarezza d’intenti e competenza. Della prima, ho parlato qui. E adesso…

Chiarezza d’intenti Semplicissimo: cosa vuoi scrivere? Ti ricordo che qui non si parla della scrittura personale, intima, per sé o per la propria cerchia di amici. Si parla di mettere un libro sui banchi delle librerie (che ospitano centinaia di altri libri), di offrirlo a un lettore che, di solito, decide rapidamente cosa vuole comprare e leggere. Sì, certo, la CE ti aiuta con copertina, bandella eccetera, ma poi? Una volta che il lettore ha deciso di investire soldi e tempo nel tuo libro, cosa troverà? E’ un altro degli errori più frequenti che trovo nei manoscritti: non c’è un senso, uno scopo in quello che trovo scritto, un intento chiaro, culturale o d’intrattenimento. Anche qui, si ricade nell’affanno, nell’abbuffata di cose, personaggi, generi, nell’illusione che più roba c’è e meglio è. Persino i saggi non sono “sulle urne etrusche rinvenute nel sito di Soiodove”, ma vengono presentati come “una travolgente cavalcata nei secoli e nelle forme espressive in relazione all’evento della morte, con particolare attenzione alla sua prospettiva etrusca come rivelata nelle urne trovate a Soiodove”. E’ chiaro che si tratta dell’ennesimo prodotto dei (di questi ultimi) tempi. Visto che i mischioni vanno forte, ci si convince che nessuno voglia “leggere un giallo”, ma che invece si esalti per “un giallo percorso da intriganti venature antropologiche e con sorprendenti riferimenti alla teoria della relatività ristretta.” E invece la chiarezza (anzitutto d’intenti) paga.
Il passo successivo potrebbe essere: parti da ciò che ti piace leggere. Ed è una buona partenza, ma non esaurisce la questione. Copiare da quelli che ci piacciono (possibilmente da quelli bravi) è un ottimo esercizio, anzi è un esercizio spesso necessario ma sempre esercizio rimane. La chiarezza d’intenti – il desiderio di capire cosa si vuole scrivere, perché si vuole proprio scrivere quella cosa e la convinzione di saper dire quella cosa – è ben più profonda, perché dà un solido senso a quello che state facendo. E soprattutto lo comunica a chi, per primo, leggerà il vostro testo. E’ un modo per provare che conoscete l’argomento, lo avete assimilato e volete comunicare qualcosa al lettore.
Mickey Spillane diceva: “The first chapter sells the book. The last chapter sells the next book.” Io, molto più umilmente, vi chiedo: sapete cosa mettere tra il “first chapter” e il “last chapter”?

( – continua – )

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02 2008

6 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Maybe the second one?

    Ho imparato bene? ;)

  2. 2

    beh, qualcosa mi verrà in mente.

    :D

    Tornando al discorso iniziato con gli altri commenti… concordo con te. Il fatto è che mancano vergogna e capacità di autocritica.

    A te arrivano bozze a membro di segugio. Immagina alle società che gestiscono modelli e modelle cosa possa arrivare :D

  3. catrionapotts #
    3

    @ Gian Marco Spiritosone :-D
    @ rumenta Sì, lo immagino, ma mi piacerebbe moltissimo avere qualche prova concreta…

  4. 4

    Se leggerai mai il mio inutile blog, nella recente sezione “bestiarium” potrai verificare il livello degli imprenditori italiani… la barca è sempre la stessa.

  5. koshka #
    5

    Una mia amica mi ha suggerito di leggere questo blog e devo dire che ha fatto bene.
    A proposito dell’argomento del post direi che sono proprio queste le domande che uno scrittore si dovrebbe porre. Interrogativi utili in molte situazioni, dall’invio di un CV alla proposta di un progetto.
    Perché qualcuno dovrebbe scegliere me?
    Perché Tizio dovrebbe spendere i suoi soldi per leggere quello che io ho scritto?
    Non fa una piega ma sappiamo in molti che tali sagge regole vengono ignorate in presenza di “cause di forza maggiore”.
    Complimenti. Ripasserò.

  6. catrionapotts #
    6

    @ koshka Sì, ma i casi sono più rari di quanto si creda. Grazie per i complimenti e passa pure quando vuoi.



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