Archive for the ‘libri’Category

Zero per due

Me l’hanno detto gli uomini e le donne “dei numeri” quindi ci credo. C’è questo libro, uno dei tanti. Non è Esegesi del Abhijñānaśākuntalam, ma neppure Nababbo anche tu! (con un assegno da un milione di euro come segnalibro). Non è troppo strano né troppo normale. Non ha una copertina orribile né affascinante. Appunto: un libro, uno dei tanti.
E questo libro, da due settimane, non vende neppure una copia.
Zero, Null, nada.
Sarebbe quasi normale se fosse “vecchio”. Invece è nato da meno di sei mesi e, intorno a lui, i suoi “fratelli di uscita” sono ancora discretamente vivaci.
“Perché?” ci siamo chiesti allora noi, io e gli uomini e le donne dei numeri.
E ci siamo dati l’unica risposta possibile: sono arrivati gli alieni con un carico di occhiali da sole.
Però, quando si guarda quel libro, gli occhiali non rivelano scritte del tipo: OBBEDITE, SPENDETE o GUARDATE LA TV.
Bensì il monito: SCEMO CHI LEGGE.

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09

01 2009

Bilancio

Guardando le classifiche dei titoli più venduti di fine anno, viene fuori che il (piccolo) popolo dei lettori desidera sapere tutto di vampiri glabri, di sfigati solitari e di criminali incalliti, ma anche di potenziali suicidi, di topi sedentari e di draghi blu. Idolatra la televisione e gli oroscopi, eppure è religiosissimo. Vuole togliersi il vizio del fumo mangiando a quattro palmenti. Ama ridere, ma diventa serissimo se si parla di calcio, di magia o di bagna caôda.
E adesso ditemi voi se il mio è un lavoro che può essere fatto da persone normali.

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12

12 2008

Dissolvenze

    [Dissolvenza in apertura. Un ufficio pieno di scatoloni;
    una melodia d'arpa in sottofondo]
    VOCE OFF

Un tempo arrivava solo la carta. Bozze rilegate o pesantissime risme legate con elastici o poderose clip uscivano da scatoloni contusi, sofferti, talvolta pure umidicci. E tu li sollevavi, entrando poi nel tuo ufficio onusta di carta, con la sensazione che stavi facendo qualcosa, che non ti limitavi a leggere. Circondata dal potere fisico della parola cartacea.

    [Dissolvenza incrociata. Una scrivania;
    la melodia d'arpa continua]
    VOCE OFF (cont.)

Oggi c’è il pling continuo dell’email, vero. Ma i libri continuano ad arrivare, eccome. Però sono libri tristi. Perché non sono stati comprati quando erano ancora soltanto un allegato a un’email, perché sono – orrore! – usciti da un bel po’ nel loro Paese d’origine e nessuno – a parte forse qualche CE bulgara o polacca – li ha voluti portare nel proprio. Il potere fisico della parola cartacea continua a circondarti, ma è un potere infiacchito, e si sente.

    [Dissolvenza incrociata. Una libreria stipata di volumi;
    la melodia d'arpa continua]
    VOCE OFF (cont.)

Sennonché, un giorno, proprio lì, tra “i cartacei”, trovi un libriccino dall’aria normale, con le solite frasi in copertina, con l’usuale riassunto in quarta. E decidi di leggerlo e ti piace e lo compri e lo pubblichi.

    [Dissolvenza al nero]

Questo cortometraggio (?) non ha una morale e non ha neppure una fine, lieta o triste che sia.
Serve solo a ricordarmi che, nel mio mestiere, ci vuole soprattutto culo. Virtuale o cartaceo che sia.

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10

12 2008

In Italia 640

Con le copertine, grosso modo, succede così. O si adotta lo stile matrimoniale (“Tutti i libri sono fedeli a un’impostazione e a una soltanto”) o si adotta lo stile playboy (“Ci provo con una nuova ogni volta”). Il primo è assai allettante, perché fa balenare la speranza di chiudere una volta per tutte l’odiato, faticoso, snervante processo decisionale. Certo, l’iniziale scelta del colore passerà attraverso un’analisi di tutti i pantoni conosciuti, mentre quella dei segni grafici richiederà una conoscenza della geometria iperbolica e di qualsiasi font dall’Helvetica al Kitchen Kapers II (regular). Quanto al risultato, non ci sono mezze misure: trionfo (la copertina trasformata in un marchio di eccellenza) o disfatta (la copertina trasformata in un marchio d’infamia). Va da sé, tuttavia, che la prima eventualità è piuttosto rara.
Nel secondo caso, invece, ci si tuffa nel tempestoso mare dei tentativi, delle varianti e delle incomprensioni. E si affronta un battaglione di grafici decisi a scrivere autore e titolo in un corpo leggibile solo con un microscopio elettronico a scansione; a usare proprio quell’immagine che costa come una manovrina correttiva; a intestardirsi su una combinata font+immagine declinata in tutti i viraggi possibili e impossibili e a puntare sempre nella direzione opposta a quella indicata in riunioni in cui la ridondanza concettuale ha regnato sovrana. Anche qui, di solito, il risultato oscilla tra due estremi: “Oh!” e “Bleah!”, ma è più facile lasciarsi i fallimenti alle spalle e ricominciare.
Ecco perché i prudenti uomini e le sagge donne delle CE, che per inclinazione sceglierebbero sempre la via del “finché macero non vi separi”, si ritrovano spesso costretti a fare i libertini.
Senza neppure un Leporello che tenga i conti.

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03

12 2008

Barche contro corrente

Buffo mestiere, quello di chi lavora in una CE. Tra l’acquisto di un libro e la sua pubblicazione possono passare anche un anno e mezzo, due anni (e, per alcuni libri, pure di più). Diciotto-ventiquattro mesi: ecco il tempo in cui sei stato accanto a quelle pagine, a quelle idee, a quella ispirazione; in cui hai discusso, corretto, approvato; in cui hai promosso, spinto, esaltato. Anche il lancio di un nuovo modello di lavatrice prende tempi lunghi, ma l’oggetto finale è “unico”, inequivocabile. Il libro, invece, è tutt’altro che unico e certamente non è inequivocabile. Buffo mestiere, quello che ti chiede di scegliere adesso il campo futuro in cui l’immaginazione si dovrà confrontare con la realtà – o la realtà con se stessa – senza neppure darti la possibilità di stuzzicarla, quell’immaginazione (avete mai visto una campagna pubblicitaria per un libro che fosse anche solo vagamente paragonabile a quella per certi film?), e senza sapere come sarà la realtà.
È per questo che molti trovano faticoso leggere? Perché il libro è un oggetto carico di una (breve o lunga) storia/Storia e visionario nel contempo?
“Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.” Come al solito, difficile dirlo meglio di Fitzgerald.

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21

11 2008

Lastricata

La Library of Unwritten Books è composta soltanto da libri “in potenza”, raccolti attraverso interviste – casuali – a persone che “spiegano” quale libro sognano di scrivere (di vedere pubblicato).
La versione letteraria della proverbiale strada per l’inferno, insomma.
Al di là dell’indubbia suggestione dell’idea in sé, mi sembra che Shirley Dent, in questo articolo sul Guardian, abbia ben colto l’atteggiamento mentale che emerge da questa (non)biblioteca:

Instead of peddling the lie that we are all authors now and that the only tale that matters is our own, why not put trust in that literary culture? Beyond the individual, beyond community, society needs to believe in and recognise great literature. This belief is about reading not writing, it is about society rather than community.

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14

11 2008

Nel tuo futuro…

La fisso. Una paginetta in bianco e nero. Una pitch in fondo abbastanza simile a quella che la segue e quella che la precede. La foto dell’autrice, una donna del tutto normale, con uno sguardo un po’ impallato. Brevi recensioni positive – riferite ai suoi libri precedenti – tratte da quotidiani e periodici non di primo piano. Informazioni tecniche: codice ISBN, pagine, dimensioni, prezzo, data di pubblicazione.
Facendo pulizia, mi è capitato tra le mani il catalogo della CE straniera che ha pubblicato uno dei più grandi bestseller degli ultimi tempi. E la presentazione del suddetto.
Anonima, banale, trascurabile.
Quasi quasi mi riciclo come “Catriona la bibliomante“.
Non ci azzeccherei comunque, ma farei certamente più soldi.

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10

11 2008

Nothing more than feelings

Talvolta ho la sensazione che La cognizione del dolore, La luna e i falò e Il grande Gatsby che tengo nel mio ufficio mi guardino con un’aria a metà tra l’offesa e la compassione.

Talvolta mi viene voglia di prendere in mano un libro “sfortunato” e chiedergli: “Si può sapere perché non hai venduto una cippa? E’ colpa mia o è colpa tua? Parliamone, dai. Pacatamente. Serenamente.”

Talvolta vedo un libro che mi piaceva ma che è stato pubblicato da qualcun altro e mi viene da dire alla prima persona che passa: “Compra quello. Vuol dire che la prossima volta, per ringraziarmi, ne comprerai due dei miei.”

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31

10 2008

Prendere/perdere

Avanti il prossimo.
Come sempre, l’ho guardato con diffidenza, l’ho scorso, rapida, sono andata un po’ avanti e un po’ indietro e poi, sì, ho deciso di leggerlo. E, piano piano, scalando pareti di dubbi e di domande, di perplessità e di paure, mi sono vista mentre ne parlavo agli altri, mentre sceglievo la copertina, mentre scrivevo la presentazione, mentre lo difendevo o lo esaltavo, mentre cercavo di staccarlo dalla massa, mentre lo citavo con fintissima disinvoltura a un giornalista…
Così, alla fine… Va bene, lo prendo.
Avanti il prossimo.

Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d’altro aprezze.

Se devo perderlo (e succederà, come succede a quasi tutti), oggi mi va bene perderlo anche in questo modo.

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29

10 2008

Order, red?

Scusate, ma oggi vado particolarmente di fretta (cling! Oh, che bello, è arrivato un altro manoscritto!) e il programma editoriale per il 2010 [sì, il 2010] si stende davanti a me come un terreno roccioso da dissodare). Vi lascio quindi a riflettere su un bell’articolo sulla traduzione che avevo messo da parte e quasi dimenticato. Sarebbe bello trovare un luogo in cui raccogliere tutte le definizioni del mestiere del traduttore…
Ah, già che sono in vena di consigli di lettura, prima o poi procuratevi questo libro: Cesare Pavese, Officina Einaudi. Lettere editoriali 1940-1950, pubblicato da Einaudi. Uno sguardo al mondo editoriale “da dentro”, doloroso come un’operazione chirurgica e tagliente come un diamante. In più, non è che le cose siano granché cambiate, neh?

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28

10 2008

Occhio di lince drago

“Ah, questo l’abbiamo fatto stampare in Cina.”
“Bello, mi sembra venuto davvero bene. Ci sono stati problemi?”
“No, tutto liscio. Anche se… Be’, sì, è stata un’esperienza un po’ umiliante, in un certo senso.”
“Umiliante? Perché?”
“Noi abbiamo dato il visto si stampi. Abbiamo visto le ciano, insomma, e le abbiamo mandate indietro. E a quel punto è arrivata un’email dallo stampatore.”
“Qualcosa non andava?”
“Ecco… lui… aveva trovato due refusi.”
“Lo stampatore cinese aveva trovato due refusi nel testo italiano?”
“Già.”
“Oh.”

[L'ho sentita per caso a Francoforte, quindi non chiedetemi spiegazioni e/o approfondimenti. Certo che un po' inquieta...]

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27

10 2008

Pitch

In America e in Inghilterra, all’interno del mondo delle CE, la parola pitch identifica quella descrizione (un po’) a effetto che l’autore (o l’AA o la CE) fa di un libro per “venderlo”. Deve essere chiara, sintetica,  allettante, andare al punto, incuriosire, svelare qualcosa ma non troppo. Un vero tour de force, insomma.
Ecco due pitch diverse per lo stesso, celeberrimo romanzo.

  1. “Murder! Intrigue! An insular circle of wealthy friends play a more and more dangerous game, resulting in deadly consequences for all. A must-read political thriller.”
  2. “A jaded but witty look at the shell-shocked ‘Lost Generation’ after WW1, examining the apathy and nihilism of the age through a clever noir plot and tight minimalist dialogue.”

Non l’avete indovinato? La soluzione è in questo post di Jason Pettus sul blog Authonomy. Se l’avete indovinato, leggetevi lo stesso il post ( e magari date un’occhiata all’intero progetto di Authonomy). Neppure io (!) avrei saputo illustrare così bene “the fine art of the book pitch”.
E poi non dite che non vi svelo i segreti del mestiere, eh?

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23

10 2008

Barzellette, certezze, accozzaglie

La cronaca della mia serata notte di lettura potrebbe essere l’inizio di una barzelletta scema: “C’erano un inglese, un francese e un americano…” Per la cronaca, il paracadute non si è aperto per nessuno.

Fino a ieri, avevo la certezza che, tra i manoscritti arrivati sulla mia scrivania in questo periodo, non ce ne fosse nessuno di un possibile Premio Nobel. Oggi non ne sono più così sicura. Mi sa che s’impone un repêchage.

Chissà come, ho mischiato i fogli di due manoscritti. E non me ne sono accorta se non dopo qualche pagina. Se qualcuno, in quel preciso istante, mi avesse chiesto: “Cosa leggi?”, probabilmente gli avrei risposto con la massima serietà: “Una cosa di suore de menare“.

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10

10 2008

Ieri, oggi, domani

L’altro giorno mi imbatto in una “lettera al direttore” di un lettore ventiseienne. Che si lamenta del fatto che i libri sono troppo cari e che le biblioteche non sono un’alternativa praticabile, perché le liste d’attesa per certi libri sono interminabili e, quando finalmente si arriva in cima, quel libro è già “passato di moda”.

Ieri sera, una giornalista ha lanciato in diretta televisiva il suo grido di dolore contro le librerie, luoghi desolati in cui ormai si trovano in prevalenza volumi inutili se non spregevoli, per di più corrotti da errori di grammatica e di ortografia. Il rimedio? Rieditare un certo romanzo russo “esaurito ma non fuori catalogo” (sic) di 858 pagine.

Oggi contemplo queste due posizioni con la voglia di prendere il ventiseienne e la giornalista a calci nel sedere e, nel contempo, di dar loro ascolto. Com’è possibile che si applichi l’etichetta “caro” a un prodotto che può costare 5, 6, 7 euro? Com’è possibile che un libro “passi di moda” come una Pinko Bag? Com’è possibile che si dipinga la libreria come un posto così squallido? Com’è possibile che il piacere della lettura si debba incarnare in un unico libro, per quanto bello e importante?

Eppure entrambi sono lettori, i miei veri datori di lavoro. Quindi, da qualche parte, in qualche piega del loro ragionamento, ci deve essere un granello di verità. Posso soltanto promettere che cercherò di trovarlo.

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06

10 2008

Partenze, party, latinorum

  • Il nuovo trend della Fiera è non prendere appuntamenti al sabato. Ovviamente io ne ho un po’ e temo che, in qualche caso, mi troverò a fissare un tavolino vuoto dopo aver fatto una corsa mozzafiato tra i padiglioni. E la sensazione sarà quella di essere arrivata a un appuntamento al buio senza trovare nessuno perché l’altra parte – che ti ha osservato di nascosto – non ti ha ritenuto degna neppure di un anodino scambio di convenevoli.
  • Quest’anno mi do alla mondanità: (almeno) due party. Per essere ammessi, bisogna presentare l’invito, il pass e un documento con fotografia. Probabilmente si viene pure perquisiti. Date le premesse, come minimo mi aspetto di trovarmi accanto a George Clooney, Al Gore e Britney Spears. Oppure a un sacco di arabi.
  • No, caro AA, non mi lascio impietosire dal fatto che mi mandi un’email con le ultime recensioni del libro-che-vuoi-piazzare-a-tutti-i-costi-prima-della-Fiera alle 23.43 di sabato sera. E che me ne mandi un’altra alle 8.12 di domenica mattina. E che il lunedì mattina alle 8.15 mi dici che l’hai venduto in Ungheria. Gutta cavat lapidem, certo. Ma anche A posse ad esse non valet consequentia. Rassegnati.
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23

09 2008

Beata te

“Beata te, che leggi tutto il giorno!”
A parte che non è vero, vorrei proprio vederlo, quello che dice così, a leggere tutto il giorno. Soprattutto a leggere libri che ti arrivano così, nudi, magari lontani anni luce dai propri “gusti”. E a farlo con davanti il bivio “scegli o scarti”. Nel giro di un’ora (sono buona) comincerebbe ad agitarsi, a sbuffare, a distrarsi.
Ammettiamolo, una buona volta: leggere è faticoso.
È faticoso come incontrare una persona nuova, della quale devi (vuoi) conoscere magari non tutto, però qualcosa; come arrivare in un Paese straniero senza cartina o guida; come ritrovarsi circondato da individui che parlano una lingua di cui tu conosci i rudimenti, ma non le sottigliezze.
È bello, tutto ciò?
Indubbiamente. È più che bello.
Ma è anche faticoso.
E tu che adori leggere, che vorresti un libro in mano a ogni persona sopra i sette anni, che esalti il ruolo della parola scritta in questa società dominata dagli stimoli visivi e sonori, sì, proprio tu (mon semblable, mon frère!), non devi dimenticarlo mai. In particolar modo quando ti lanci in una delle tue giustissime, sacrosante tirate a difesa del libro.
Non nascondere mai che leggere è fatica. Ma poi aggiungi che è una delle poche fatiche a essere sempre premiate.

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18

09 2008

Scoperte, ritorni, inizi, versioni

Il torrente di proposte pre-F si sta ingrossando.

  • Con incredibile ritardo, gli americani hanno scoperto l’astrologia. E si sono scatenati – librescamente parlando – al punto che un autore si presenta come esperto di “medieval and renaissance-horary astrology”.
  • Sono martoriata da AA che mi offrono il terzo (o il quarto, o il decimo) libro di una serie dopo che ho rifiutato i primi due (tre, nove) rispettivamente nel 2007, nel 2006, nel 2005 eccetera. Probabilmente contano sul mio progressivo rimbambimento senile. (E non è detto che sbaglino.)
  • “Lo so che questo personaggio/tema non è molto conosciuto/diffuso in Italia…” Quando le email iniziano così, possono soltanto peggiorare.
  • “Ti mando il manoscritto completamente editato…” … di un libro che ho rifiutato due mesi fa. In questo caso, porgo i miei più sentiti ringraziamenti a Word e alla funzione “confronta versioni”. Spietata, ma indispensabile per accorgersi che “completamente editato” in questo caso significa: “abbiamo aggiunto qualche virgola”.
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16

09 2008

Classe

“Vuoi tu, rappresentante di vendita della CE, prendere in matrimonio questo libro, esaltarlo, promuoverlo e chiederne ristampe finché macero non vi separi?”
“Ehm… Sì, in linea di massima, sì. Prima, però, posso rileggere il contratto prematrimoniale?”

Se un libro va male, la CE (tutte le CE?) prende la cosa con una certa classe. A meno che quello non fosse l’unico, assoluto, incontestabile libro su cui si giocava il destino di un anno intero, non ci sono di solito processi pubblici, ma c’è un dolore silenzioso, esplicitato in profondi sospiri o in esclamazioni poco ortodosse. Sarà il tempo a mettere su quel libro l’etichetta “disastro”, a dargli un posto nelle leggende dei babau editoriali e – si spera – a farlo cadere all’oblio.
Soltanto una parte della CE darà voce al dolore. Quella formata dai rappresentanti di vendita, che non avranno timore di rammentarti lo smacco, soprattutto se recente. Di chiedertene conto, ragione, genesi. Eppure anche loro lo faranno (spesso) con rispetto e preoccupazione, come se raccontassero di un parente che scoppiava di salute e che poi si è ammalato in modo tanto inspiegabile quanto grave. Te ne parleranno abbassando la voce, scuotendo la testa, dolenti e confusi.
Forse non ammetteranno la loro (eventuale) parte di colpa, ma va bene così.
Perché i libri da sposare non finiscono mai.
E qualche matrimonio, in fondo, riesce davvero bene.

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12

09 2008

Cortocircuiti

Ieri, un AA mi ha scritto che, se un’altra CE deciderà di non pubblicare più un certo autore, allora proporrà a me i libri di quell’autore. Il problema è che l’altra CE è la mia CE.

Oggi, ci ha scritto un “affezionatissimo” lettore, sperticandosi in lodi nei nostri confronti, enumerando i nostri libri presenti nella sua biblioteca e chiedendo se per favore gli procuriamo quel certo nostro libro, che lui sta cercando da moltissimo tempo e che non riesce a trovare. E che non è pubblicato da noi.

Ho deciso: la prossima tappa del mio percorso professionale sarà lo sdoppiamento della personalità. E della CE.

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11

09 2008

Corde

La diplomazia non è nelle mie corde.
Ecco perché già mi preparo mentalmente a quello che dovrò fare tra un mesetto, alla Fiera.
Sorridere all’AA che mi ha venduto un libro al triplo di quanto avrei dovuto pagarlo perché “Oh, l’altra CE chissà come ha saputo che lo volevi e io no-no-no non volevo darglielo, ma sai, dato che chissà come l’altra CE l’ha saputo, proprio non me lo spiego no-no-no, ho dovuto mettervi in gara…”
Rammaricarmi con l’editore straniero perché l’unico libro che mi ha venduto in tutti questi anni è stato una frana. “E neanch’io capisco perché… E’ così bello… Eh, il mercato dei libri in Italia…”
Spiegare all’AA che, anche se quel libro va fortissimo in Olanda, non è detto che la cosa si debba ripetere in Italia.
Insomma: tutto un sorridi-rammaricati-spiega.
La diplomazia non è nelle mie corde.

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08

09 2008

Mestiere

Si può insegnare questo mestiere?
Ovvio che sì: è un mestiere.
Talvolta però mi sembra di no.
Lo so, è un’affermazione che suona subito un po’ superba e altezzosa, e che sembra discendere in linea diretta da quella superbia e da quella altezzosità tutte “intellettuali” che, secondo il pensiero comune, caratterizzano (quasi tutti) quelli che lavorano in una CE.
Ma è l’esatto contrario.
Alla fine, dopo aver studiato, elaborato, assimilato; dopo aver letto il leggibile ed esserti sentito in colpa per non aver letto il resto; dopo aver sognato prima e lottato poi, ti rendi conto che l’unico modo per affrontare questo mestiere apparentemente così intellettuale ed etereo è un assoluto pragmatismo.
Perché il libro è innanzitutto una cosa. Un oggetto. E va costruito, fatto, pezzo per pezzo.
E, se non sei pragmatico, concreto, pronto a “sporcarti le mani”, non soltanto ti sarà impossibile farlo bene, ma non ne ricaverai neppure la minima soddisfazione.

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03

09 2008

Insapore

I libri ricominciano a fluire, soprattutto dall’estero. E ci si ritrova in un botto uguali a prima, cioè piuttosto cinici, disincantati, giudicanti all’occhiata: poliziotto buono e ottuso contro assassino cattivo e geniale; mamma infelice e malatissima ma indomita (anche se con figlia stronza); cosa vogliono i cani (i gatti, i pappagalli, le cimici); dove va l’economia mondiale (nazionale, regionale, di Poggio Versezio); biografie “definitive”, autorizzate, semiautorizzate, “mi-ha-detto-che-se-la-pubblico-mi-strozza”… Si mastica e non si sente sapore. Poi si addenta qualcos’altro.
L’ho sempre detto che non bisognerebbe mai andare in ferie. Si perde l’abitudine all’insapore quotidiano.

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02

09 2008

Stare fuori

“Vorrei fare il correttore di bozze o l’editor.”
Avessi un respiro in più per ogni volta che ho letto questa frase in un curriculum, sarei certa di campare fino a 130 anni. Ci sono giorni in cui capisco chi scrive cose del genere. Per chi “sta fuori”, l’editoria può somigliare a un sogno psichedelico. E’ un indistinto fruscio di fogli vergati, una cacofonia di ruoli. Talvolta è difficile capire chi fa cosa.
Però ci sono momenti in cui prende corpo un pensiero maligno: non sarà che l’ambizione di lavorare in una CE equivale allo spirito con cui si affrontano certi esami universitari, quelli del tipo “lo preparo in due giorni”? Esistono ancora? Credo di sì. Qualche lezione distratta, qualche concetto assimilato e poi un confronto rapido, dall’esito quasi certamente positivo. Fuor di metafora: non è che si pensa di voler lavorare in una CE perché, in realtà, non si lavora davvero? Leggere bozze? E che ci vuole? Scegliere un libro? Uh, sai che fatica! Rivedere un testo? Mah, qualche virgola qua e là…
Non dico che lavorare in una CE equivalga al proverbiale lavoro in miniera né a fare il camionista o il fornaio. Però una CE non è un serpentone meccanico manovrato da persone che si limitano a spingere il testo dall’autore al lettore.
Sì, lo so, non è facile da spiegare. Sì, lo so, l’apparenza può essere quella.
Mettiamola così: lavorare in una CE è un po’ come essere un atleta. Dieta ferrea (parole a colazione, pranzo e cena), esercizio costante (limatura, lettura, elaborazione…) e concentrazione sull’obiettivo (il libro). Dimmi un po’, tu che scrivi “vorrei fare il correttore di bozze o l’editor”: sei veramente disposto a fare tutto ciò e non soltanto per qualche settimana? Oppure pensi di sederti a una scrivania e di limitarti a spingere fogli da un capo all’altro del serpentone?

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29

08 2008

69 & 163

Charlotte Stretch sul Guardian rilancia una teoria che avevo già sentito, ma di cui mi ero dimenticata. Secondo Marshall McLuhan (ma qualcuno lo legge ancora?) per capire se un libro può piacere, basta leggere la pagina 69. Vi convince? Allora comprate il libro (e/o leggetelo). Ignoro se esistano elementi scientifici a sostegno di questa teoria. Però cercherò di verificarla, magari coi manoscritti italiani che ricevo, se non altro per non buttarli via dopo la lettura della pagina 1. Vi terrò aggiornati.

Nello stesso articolo, si cita: How to Read A Novel: A User’s Guide di John Sutherland, autore che conosco per un altro libretto assai utile e istruttivo: Bestsellers: A Very Short Introduction. Secondo Sutherland, per leggere il mezzo milione di romanzi disponibili su Amazon.com ci vorrebbero 163 vite. Anche qui, i fondamenti matematici mi sono ignoti, però mi sentirei di puntualizzare una cosa: talvolta mi sembra che ci vogliano 163 vite soltanto per arrivare alla fine di un libro.

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28

08 2008

Viva Gibert, Giuseppe e il Giovane

Au bord de la Seine, sotto un magnifico cielo cangiante (alla faccia dei manifesti che evocano i pericoli della canicule), ascolto le lamentazioni di una mia autrice, donna tanto deliziosa quanto concreta nonché parigina da generazioni: le librerie stanno chiudendo, la gente non legge più, i libri sono in crisi… Poi faccio un giro nei dintorni (ma anche oltre): vicino all’Institut du Monde Arabe, su strade parallele, ci sono la Librairie Avicenne e la Librairie Averroès (saranno in feroce competizione?); lì accanto ci sono librerie di storia, di filosofia, di cinema… Molti passanti si fermano, alcuni entrano. In giro, nei caffè, sulle panchine, la gente legge, tanto, di tutto. Infine entro in quel tempio che è Gibert Joseph e lo trovo brulicante, turbinante, esaltante di persone. Guardo con stupore sempre uguale e sempre rinnovato la parete della Bibliothèque de la Pléiade, le file e file dei Folio, le classificazioni intelligenti, le segnalazioni puntuali e quasi mai scontate e, soprattutto, i volumi nuovi accanto a quelli con la striscetta gialla “Occasion” sul dorso. Non separati – confinati, esiliati – in tristi librerie “di seconda scelta”, ma accanto a quelli nuovi. E la stessa cosa si ripete nella libreria gemella, Gibert Jeune. Persino i giornali sono pieni di libri, con l’elenco dei più attesi per la rentrée. Forse la mia autrice ha ragione, forse questo è un fenomeno prettamente parigino, ma l’orlo del burrone per loro mi sembra ancora lontano.

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22

08 2008

La sindrome della pagina nera

Poveri inglesi: un quarto di loro non legge e anche quelli che leggono sono in grave difficoltà. Come racconta Stuart Jeffries sul Guardian molti non riescono a finire i libri, perché ne comprano troppi. E’ il reader’s block, conseguenza diretta della mancanza di un (adeguato) writer’s block. Capisco che la situazione sia davvero tragica, quindi, se anche voi siete affetti da questa terribile “sindrome della pagina nera”, ecco qui, in sintesi, i consigli di Jeffries:

  1. Siccome leggi per piacere, sei autorizzato a mollare un libro noioso.
  2. Va bene chiedere agli amici cosa leggere, ma, vivaddio, la vita è troppo breve per finire intrappolati in uno di quei gruppi di lettura formati da “bulli intellettuali”.
  3. Varia la tua “dieta di lettura”. Dopo aver banchettato a Philip Pullman, pulisciti la bocca con un sorbetto à la Novella 2000.
  4. Se hai una vita frenetica, quindi hai poco tempo per leggere, non iniziare mattoni tipo Guerra e pace. Una silloge di poesie è meglio.
  5. Leggi a voce alta. E’ un modo fantastico per coinvolgere gli altri.
  6. Usa gli audiolibri.

Eh, lo so è dura. Per fortuna, noi italiani siamo messi meglio: siccome il 40 % di noi non legge neanche un libro all’anno, l’incidenza di questa sindrome sulla popolazione è tollerabile. Per gli altri, poi, magari c’è già stato un certo Pennac che ha detto qualcosa al riguardo. Ma si sa, chiedere a un inglese di riconoscere l’esistenza di un francese è un’impresa davvero improba. Più che finire Guerra e pace senza annoiarsi.

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28

07 2008

Desisti

Il meccanismo di base è noto. Mettiamo che tu ti sia laureato con una tesi sull’uso degli aggettivi possessivi nei romanzi di Jean-Paul Sartre. Orbene, per il mondo, spesso ciò ti rende automaticamente esperto di qualsiasi cosa riguardi la Francia. “Scusa, dato che ti sei laureato su Sartre, mi sai dire dove posso mangiare una buona crêpe a Nantes?” Poco male, intendiamoci: il tempo farà pazientemente capire al mondo che Sartre e le crêpe non sono argomenti contigui e la vita tornerà a scorrere su binari normali.
Di recente, però, questo meccanismo sta subendo un’inversione. Sono sempre di più quelli che, avendo fatto una tesi di laurea, chessò, sui consumi alimentari durante le migrazioni vichinghe, si convincono di essere auctoritas sull’argomento “vichinghi” e affini, anzi sull’intera storia scandinava, e soprattutto provano l’incontrollabile impulso di scriverci sopra un romanzo. Come? Prendendo la tesi, togliendoci bibliografia ed eventuali grafici (poco “romanzeschi”) e infarcendola un po’ a casaccio con personalizzazioni improbabili (“‘Orsù, miei prodi’, tuonò Canuto il Piccolo, senza sapere che, dopo una serie di problemi di salute, avrebbe abdicato in favore del figlio Canuto il Minimo, rimasto poi sul trono per soli 2 anni.”)
Non bisogna mai disprezzare la passione. Però, dopo quindici pagine fitte fitte di quadro generale sui vichinghi (per tacer del prologo), dopo contestualizzazioni che non contestualizzano nulla, dopo l’entrata in scena di (pochi) personaggi che sembrano teletrasportati lì da un altro romanzo, dopo gli errori di ortografia non corretti, mi sento di dire: orsù, autore-tesista, desisti.

P.S. La superba gatta che adesso orna questa pagina è la regina incontrastata e imperturbabile di Shakespeare & Company, a Parigi.

24

07 2008

Ospiti

L’autore straniero viene in Italia perché gli abbiamo chiesto di promuovere il suo nuovo romanzo. E fa egregiamente il suo lavoro: è puntuale, preciso, cortesissimo coi giornalisti. Ma soprattutto è instancabile. Parla in continuazione, di tutto: racconta di sé, della sua famiglia, vuole sapere perché le nostre città sono coperte da cartelloni di donne nude, fa le sue proiezioni sulla situazione politica mondiale, poi domanda quale sia la situazione politica in Italia e si perplime adeguatamente ascoltando le risposte.
A mezzanotte, il suo uditorio è stremato. Lui invece è “fresco come un giglio, / o rosa colta allor di su la spina”.
Ed è in quel momento, il momento delle confidenze, quando dalle formalità si è passati (quasi) all’amicizia, che lui ti rivela la verità: vuole ambientare in Italia il suo prossimo romanzo. Ecco perché ha accettato con tanto slancio il nostro invito e perché si fermerà qualche giorno in più.
Puoi lasciarlo solo?
Certo che no.
Gli trovi una guida professionista, lo osservi scattare milioni di foto e prendere frenetici appunti su qualsiasi cosa. Gli traduci interi articoli di giornale o brani di un volume ottocentesco sulla storia delle Repubbliche Marinare. Lui si sforza costantemente di capire quello che dici e poi ti chiede di scrivere quello che hai detto.
Infine torna a casa e scrive.
Il romanzo risultante ha 1 scena ambientata in Italia per complessive pagine 2, con almeno 1 errore a pagina.
Eppure io lo difendo: perché evidentemente ha deciso che era meglio non ambientare il suo romanzo in Italia, perché ha comunque sfruttato il viaggio per ricavarne qualcosa e perché non è colpa sua se l’editor gli ha cambiato “berretta cardinalizia” in “beretta cardinalizia” forse per personale simpatia nei confronti di una certa ditta italiana nota anche all’estero.
E poi, vuoi mettere la soddisfazione di essere citati nei ringraziamenti di un romanzo straniero?

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22

07 2008

La (nostra) fantasia al potere

Il prossimo che si lamenta della bruttezza delle copertine italiane lo mando a farsi un giro su Bad book covers (covers e non books, eh?) Un’esposizione davvero istruttiva, che insegna come i libri di genere più definito (horror, science-fiction…) siano evidentemente quelli più difficili da “comunicare”. Ma che spiega anche come sia cambiato – le copertine sono un po’ datate – il modo di attirare il lettore verso il libro (o il genere). Siamo diventati più raffinati, insomma: non abbiamo più la necessità di vedere l’oggetto/il soggetto del libro, perché ce lo immaginiamo da soli o facciamo ricorso alle infinite sollecitazioni esterne al libro per immaginarcelo.
Qui potrebbe partire un discorso sulla purezza della fantasia nel lettore d’antan, sulla sua disponibilità a farsi catturare dalla magia del libro, ma sarebbe un discorso tanto nostalgico quanto sbagliato. Personalmente sono contenta della libertà concessa dall’astrazione (se così si può chiamare) nelle copertine attuali, perché credo che parlino a voce più alta e chiara e che siano molto più fiduciose nei lettori e nelle loro capacità.
Inoltre, scusate, ma la scelta di una copertina come questa probabilmente indurrebbe i miei colleghi a farmi prendere un appuntamento con lo psicanalista. E pure in fretta…

Herbert

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07 2008

Un’immagine vale +

Le banche d’immagini davvero utili sono pochissime. E i temi dei libri non sono poi così variati.
Ecco perché le copertine sembrano (e talvolta sono) tutte uguali.
Ed ecco perché ricevo con sempre maggiore frequenza email o telefonate di questo tenore:

Ciao, ho cercato albero+strada+dinosauro+bandiera+uomo e non ho trovato niente. Avresti qualche altra idea per la copertina? Altrimenti siamo bloccati.

Ciao, ho cercato donna+casa e ho trovato 85.000 risultati. Passeresti da me per fare una selezione?

Ciao, l’immagine che ti piaceva è già stata venduta a un’altra CE. Vuoi che la usiamo lo stesso, virandola in magenta oppure in giallo? O dobbiamo proprio cercarne un’altra?

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14

07 2008

Bambini

Certi autori sono come bambini.
Si esaltano a ogni telefonata che ricevono e si adombrano per ogni critica, poi ci ripensano e ti ringraziano.
Ti lusingano (“Ma certo, in mano tua…”) e poi s’insospettiscono (“Ma se cambi le virgole, me lo dici, vero?”)
Ti chiedono “ancora cinque minuti” e poi passano tre settimane. Passano tre settimane e poi chiedono “ancora cinque minuti”.
Ti mandano email a orari impossibili per vedere se rispondi subito.
Ti raccontano il loro libro (600 pagine) per telefono, soltanto per capire se afferri il senso di “quel personaggio secondario che però è importante perché…” (E tu non ci azzecchi mai.)
Sbalordiscono davanti a qualsiasi materiale che tu abbia preparato per la promozione del libro, si schermiscono, poi lo mandano anche allo zio d’America che non vedono da trent’anni.
Prendono in mano il libro finito come se non fosse stato voluto, pensato e scritto da loro e dicono: “Però è bello.”
Certe volte mi piacerebbe lavorare sempre con gli autori americani, quadrati, efficienti, iper-professionali. Altre volte, tuttavia, mi diverto un sacco a giocare con i bambini di casa nostra.

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10

07 2008

Biciclette o cubi

Scrivere una bandella è quasi come andare in bicicletta.
Nel senso che più ci vai (più scrivi) e più ti viene facile.
Ma in bicicletta tutti, prima o poi, riescono ad andarci. Scrivere bandelle, invece, non riesce proprio a tutti. Senza contare che, ogni volta, bisogna scoprire dove sono i pedali e come si usano, cioè come e cosa scrivere.
Negli anni, ho letto bandelle così assurde da rasentare il grottesco: rivelazioni inopinate (“E, nell’ultima pagina, il protagonista muore…”), scivoloni recensoriali (“L’autore si sforza di essere vivace e, in alcuni punti, ci riesce…”), contorsioni pseudo-letterarie (“L’organicità semantico-strutturale del romanzo si connota di elementi pre-avulsi…”), eccetera eccetera.
Prima di mettervi a ridere, però, provateci. Salite in bicicletta… cioè scegliete un romanzo (con la narrativa è un po’ più facile), uno qualsiasi, dal classico più classico a quello che oggi è in testa alle classifiche. Ecco, adesso, in 1500-2000 battute al massimo, provate a raccontare la trama (ma non troppo, sennò il lettore si irrita), a descrivere i personaggi (mica tutti, sennò vi viene fuori un lenzuolo), a definire l’atmosfera, lo stile, il genere, la forma. Tutto ciò cercando di convincere – con eleganza – il potenziale lettore di avere in mano esattamente il romanzo che stava cercando.
Ecco, sì, così… no… no… frena, frena, frena!!
Talvolta mi piace pensarla così: la bandella è un cubo di Rubik che tu risolvi per il lettore. Gliela mostri per qualche istante, ordinata, coerente, armoniosa, e poi la ri-scombini, lasciando a lui il piacere di risolverla di nuovo. Leggendo il libro.
Comunque, biciclette o cubi, rimane una faticaccia.

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03

07 2008

Pigro

Talvolta basta che un paio di colleghi vadano in vacanza perché il fremito incessante del secondo piano si smorzi. E, come se volessero approvare quella pausa, le e-mail si diradano, le telefonate diventano meno insistenti, gli autori autorizzano in silenzio, i traduttori sudano in casa loro e i revisori limano nella propria.
Hai quasi paura a pensarlo: “Ma davvero? E’ arrivato? E’ lui?”
Ebbene sì, è lui: il pigro giorno di lettura.
Manoscritti colpiti dalla maledizione del “lo leggo dopo” salgono alla ribalta.
Testi urgenti vengono esaminati con rapidità.
Libri coperti dalla polvere del tempo riemergono dagli scaffali.
Rapporti di lettura risorgono dall’oblio.
Così il pigro giorno di lettura avanza, lasciando dietro di sé un ufficio rinato, con meno carta e con un ordine invidiabile.
E, anche se non hai trovato neppure una riga degna di essere pubblicata, lo ringrazi, perché ti ha riconciliato – almeno un poco – con il tuo lavoro.

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01

07 2008

Lutto e melanconia

Tutti, nel proprio lavoro, hanno cose che odiano in maniera tanto illogica quanto viscerale.
Nel mio caso, sono le cianografiche.
Forse ho già spiegato che le cianografiche sono l’ultimo stadio “controllabile” di un libro, il momento in cui si dà il famigerato “visto si stampi”. E’ l’ultimo pezzo di legno cui aggrapparsi per capire se c’è un concreto orizzonte alle viste (l’uscita), l’ultima speranza di vedere il refuso maligno o l’errore marchiano.
In primo luogo, le cianografiche puzzano. Terribilmente. Un odore di ammoniaca che ti entra dentro come uno spirito demoniaco e non ti molla per ore. Ti danno un immediato senso di ospedale, come se il libro che stai “licenziando” fosse un malato gravissimo, senza la minima speranza di sopravvivere.
In secondo luogo, sono difficili da maneggiare. O sono lunghe lunghe (immaginate l’estensione di due libri sovrapposti e uniti a blocchi di sedicesimi, diciottesimi eccetera) o sono sfuggenti come bisce (fogli singoli o quartini, su cartaccia, tagliati male).
In terzo luogo, richiedono un tipo di lettura straniante: verifica della successione dei numeri di pagina, verifica che l’ultima riga di una pagina continui nella prima riga della pagina seguente, verifica delle pagine bianche eccetera. E, in tutto ciò, c’è sempre la paura che l’occhio “cada” sull’errore.
Insomma non c’è niente in loro che dia un minimo di soddisfazione.
E non mi venite a dire che adesso non puzzano più (sono semplici stampate del file consegnato), che sono fogli sciolti e quindi meglio gestibili, che il maggiore controllo sul testo ha reso quasi inutile la lettura straniante.
E non m’importa neppure che, di cianografiche, io non me ne occupi quasi più.
Io continuo a odiarle.
E so benissimo che nonno Sigmund avrebbe qualcosa da dire al riguardo.

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18

06 2008

Sonde

Negli ultimi tempi, stanno aumentando quelle che io chiamo “sonde”: “Ho buttato giù questa idea…” “Mia mamma mi ha detto che dovevo inviare questo racconto…” “Vorrei soltanto sapere cosa pensate del mio stile…” “Mi piacerebbe sapere se ho un futuro, quindi vi mando le prime due pagine di un romanzo che non ho ancora finito, ma che è il primo capitolo di una trilogia…”
A parte che nessuno si sognerebbe di andare da un avvocato, chiedergli un parere e poi andarsene senza aver pagato la parcella (capite cosa voglio dire, vero?), mi colpisce quanto sia vago il concetto di (nostro) tempo disponibile e di (nostra) professionalità che emerge da queste proposte. E’ l’audizione della velina-scrittore, quello che cercano? Ti sventolo sotto gli occhi due chiappe righe, balbetto qualche banalità e tu mi scegli perché faccio “sensazione”? Mah. Talvolta mi viene un impulso perverso: e se, a una di quelle filiformi “proposte”, dicessi di sì? Cosa proverebbe il/la prescelto/a? E, soprattutto, cosa scriverebbe?
Ma mi passa subito, eh.

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09

06 2008

Saudade

Ecco fatto. Il 2008 è chiuso. No, non sono impazzita definitivamente. E’ che, a parte qualche piccolo aggiustamento, la strada è decisa, segnata e asfaltata.
E’ arrivato il momento di guardare indietro.
Sì, anche avanti, ma soprattutto indietro.
Perché, nei cavernosi magazzini, ci sono le torri nere.
I libri invenduti e tornati alla CE.
E’ ora di capire quante torri vanno abbattute e bruciate e quante invece vanno semplicemente ridotte di uno o più piani.
Riunioni fatte di sospiri, silenzi e scaricamenti di barile a raffica. “Era un libro difficile…” “Uh, che brutta copertina aveva…” “Ha avuto poche recensioni…”
Così i cavernosi magazzini si svuotano. Momentaneamente.
E tu ti riempi di una saudade così intensa che ti senti il figlio (illegittimo) di Amália Rodrigues e Vinicius de Moraes.

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04

06 2008

Spett. CE Sigmund Freud

Lo so, nei soltanto oggi scherzo spesso su chi mi manda proposte bizzarre o addirittura senza capo né coda. Ma sempre più spesso mi trovo veramente in imbarazzo perché non è raro che quelle proposte “letterarie” abbiano tutto l’aspetto di trascrizioni di una seduta psicanalitica. Il desiderio di parlare di se stessi è così forte e gli strumenti espressivi sono così deboli che la maschera della terza persona, del nome diverso dal proprio, cade quasi all’istante, rivelando come l’impalcatura della storia sorregga (ok, vorrebbe sorreggere…) soltanto una volontà di descrivere atti sessuali, normali o trasgressivi che siano. E, come dicevo, la cosa mi imbarazza, e ovviamente non per le descrizioni in sé, ma per quello che ci sta dietro, per la sottesa speranza dell’autore di condividere con il mondo queste (sue) pulsioni.
Ho letto Freud, ho osservato per anni la dottoressa Melfi, ho visto tutto In treatment… ma davanti a questo tipo di arruffata sublimazione mi sento intellettualmente disarmata. E anche un po’ guardona.

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30

05 2008

You wanna know why, and there’s no why

Il Signore, creato che ebbe ogni cosa, “siate felici” disse ai suoi figlioli Adamo ed Eva. Ma pochi giorni dopo il Signore si batté la fronte. Ho creato il sole, il mare, gli alberi, gli animali e mi sono dimenticato di creare… il libro. Oh, che distratto.”
Adamo si fece rosso e disse: “Signore, se me lo pubblica, ne avrei pronto uno.”

Questa bellissima “vignetta” (lo so che non è disegnata, ma mi sembra la migliore definizione) l’ho recuperata non dalla sua fonte originaria [l'Almanacco letterario Bompiani (1931)], ma da un libro uscito da pochissimo: I mestieri del libro di Oliviero Ponte di Pino (Milano, TEA, 2008), che mi ha tenuto compagnia in questi giorni di “missione”. E’ sempre straniante (e singolarmente istruttivo) vedere scritto e de-scritto quello che fai tutti i giorni, quindi ve lo consiglio se volete dare un’occhiata alla macchina che sbuffa, stride e macina parole (ma non solo), stando ben nascosta dietro la pagina stampata.

Ah, il titolo del post. E’ una battuta di Destini incrociati (Random Hearts, 1999): perché lunedì è morto Sydney Pollack, un artista che ha lavorato col cuore e con la testa, che non si è mai vergognato a mostrare emozioni e sentimenti, che ha voluto sempre scommettere sulla possibilità di raccontare i rapporti umani (e spesso ha vinto). Uno degli ultimi, veri registi, insomma. Peccato.

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29

05 2008

Soltanto oggi (XXX)

In the cut
Era una notte bella e serena, ma io non potevo essere cont
ei era arrivata da qualche ora e aveva posato la grossa
nza dire neppure una parola. Poi mi aveva improvvisame
mandato: “Cosa fai domani? Perché non andiamo a Sant
n sapevo cosa rispondere. Forse era meglio andare a Li

[e via così per 120 pagine. Capolavoro ucciso da formattazione sbagliata?]

Mugshot
Vi interessa il mio profilo?
[segue firma]

21

05 2008

Maeve e Luciano

In teoria, cose come questa dovrebbero lasciarmi molto perplessa. Invece è esattamente il contrario. E la cosa che mi piace di più non è che un’autrice multi-milionaria e multi-venduta sia disposta a dare qualche suggerimento a chi intende scrivere. No, la cosa che mi piace di più è la concretezza che traspare dall’articolo: “scrivere è un lavoro”. Quindi impegno, tempo, sforzo. Per un testo di 3.500 parole (a spanne una decina di cartelle) “she spent one day planning it and four days writing it, at four hours a day.” Mi piace sempre quando qualcuno ricorda la fatica, lo scavo, lo stridor di denti dello scrivere. In buona sostanza, The Maeve Binchy’s Writers’ Club non l’ho ancora letto, ma credo che lo leggerò.
Intanto, non fatevi scappare la prima e la seconda parte di Come si diventa un intellettuale di Luciano Bianciardi, che trovate qui, insieme ad altre cose interessanti. Avete presente quando fuori ci sono quaranta gradi e voi entrate in una casa piacevolmente fresca? Ecco, la scrittura di Bianciardi fa questo effetto. Essenziale, precisa, ironica e convincente. E, dopo la lettura, siete autorizzati a farvi un piantino sullo stato attuale delle patrie lettere.

15

05 2008

Appuntamento

Ogni anno arriva Torino e ogni anno si sbuffa. Perché per noi delle CE è come entrare in un supermercato… grande cinquanta volte quello in cui facciamo abitualmente “la spesa”. A differenza di Francoforte, poi, non c’è neppure il brivido del libro ungherese “che nessuno ha letto e che noi faremo diventare un bestseller”, non c’è il briciolo di soddisfazione nel vedere il megaposter col ritratto dell’autore che hai amato, pubblicato e che in Germania è diventato un bestseller (ma in Italia no), non c’è la roulette russa delle offerte sul prossimo libro spacca-classifiche.

E’ tutto tranquillo: incontri fra amici, passeggiate oziose, sguardi elegantemente pacati sulle copertine (e sui successi) degli altri. L’unico sussulto lo provi quando osservi il passante distratto che prende in mano il libro su cui hai versato lacrime e sputato sangue per poi rimetterlo a posto con aria vagamente annoiata. Allora vorresti corrergli dietro e gridargli: “Si può sapere cosa non ti è piaciuto? La copertina? La bandella? Il nome dell’autore? Il titolo? Il formato? Il carattere? Vuoi meno interlinea? Vuoi margini più ampi? Vuoi un giallo più giallo? Un rosa meno rosa? Un saggio che non sembra un saggio ma sembra un romanzo che sembra un saggio? Dimmelo, maledizione!”

Questo per dire che, da oggi, sono lì. Per trovarmi, basterà andare in giro inalberando un cartello con su scritto “CATRIONA!” (Le maiuscole sono fondamentali). Mi materializzerò all’istante. ;-)

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08

05 2008

1888-2008

Egregio signor editore,
il Crepuscolo degli idoli mi piace molto, e questo rafforza la mia convinzione, come Le dicevo nell’ultima lettera, che è bene mantenere la stessa veste tipografica di Ecce homo […]

***

Egregio signor editore, La dovrò pregare di rispedirmi ancora una volta la seconda parte del ms., dato che voglio inserirvi ancora alcune cose. Altrimenti potrebbe crearsi della confusione. Dunque tutta la seconda parte del ms., a partire dal capitolo che ha come titolo «Così parlò Zarathustra». Suppongo che questo non ritarderà di un attimo la stampa, visto che vi rispedirò immediatamente il ms.

***

Ms. indietro. Tutto rielaborato.

***

Mi saranno necessarie traduzioni in tutte le principali lingue europee: non appena l’opera uscirà, calcolo come prima edizione un milione di copie in ogni lingua.

***

Soltanto col mio Zarathustra si potrebbe diventare milionari: è l’opera più decisiva che esista.

Non è che Nietzsche, a Torino, nel 1888, fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Ciononostante, la lucidità di queste richieste e indicazioni (il volume ne è pieno) dimostra che, in 120 anni, ben poco è cambiato nel rapporto autore-CE. Chissà se è un bene o un male. Comunque, anche per questo, il libro è straordinario e lo consiglio di cuore.

[Brani tratti da Friedrich Nietzsche, Lettere da Torino, traduzione di Vivetta Vivarelli, Milano, Adelphi, 2008]

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07

05 2008

Quasi

Massì, in fondo ha ragione. Chi? Ma il grigiocrinito, l’autore dalla parlata dolce e dallo sguardo ammaliante che ha generato più tentativi d’imitazione della Settimana enigmistica. E’ vero che oggi (quasi) tutto è a disposizione e che si legge di più – quantitativamente – rispetto al passato. I nostri genitori dovevano ordinare al libraio “il vincitore dello Strega”. Oggi manca poco che ti arrivi per email (non richiesto). Anche chi non vive in una grande città, sempre più spesso ha un centro commerciale (con libreria) vicino oppure ha internet. E trova (quasi) ogni cosa. Anzi, talvolta non può nemmeno evitare di trovarla. Pensate all’”ultimo” libro dell’autore grigiocrinito: è uscito a puntate su un importante quotidiano, poi allegato al giornale stesso, poi presso la CE X e adesso presso la CE Y. Con tanto di richiamo televisivo. Come ignorarlo?
No, non fate quella faccia. Non ho (quasi) niente contro l’autore grigiocrinito. Certo, se smettesse di parlare di cinema (allestendo una vera fiera delle banalità oltre che delle vanità) e se si dedicasse a diffondere la lettura invece della scrittura mi piacerebbe di più. Insomma, diciamo che mi va quasi bene. E’ già qualcosa.

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05

05 2008

Zac, zac!

In Italia (ma anche in molti altri Paesi) si fa così: il libro esce in edizione rilegata e, dopo qualche tempo, viene riproposto in edizione economica. In questo caso, può essere ristampato oppure vengono riutilizzate le copie invendute.
Mi sembra abbastanza semplice e intuibile. Una specie di riciclo, se volete.
E allora perché – perché? – c’è ancora gente convinta che il libro in edizione economica costi meno di quello rilegato perché ne sono stati tagliati via dei pezzi?
E perché deve esporre tale teoria, con sufficienza spocchiosa, quando io sono nei paraggi?

“Chiamatemi Ismaele.”
Hmmm… Tanto poi viene detto che nome ha, no? Via, zac, zac!

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a suo modo.”
Uh, che noia questi incipit sentenziosi! Via, zac, zac!

“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello…”
‘Sti scrittori, risalgono sempre al tempo che Berta filava… Via, zac, zac!

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30

04 2008

Forbice

Da un lato, un romanzo semplice (non in senso negativo). Frasi brevi, storia “facile”, azioni ben descritte e iterate così che nessun lettore venga lasciato indietro.
Dall’altro, un romanzo complesso (non in senso negativo). Costruzioni sintattiche non lineari, storia intricata, azioni ridotte al minimo, concetti arditi.
Nel breve spazio di un fine settimana lungo, mi sono trovata a leggere due bestseller. E nel mio cervello si è aperta una forbice che non si vuole chiudere. Forse è vero che in Italia il gruppo dei lettori è sempre quello (piccolo e selettivo), ma è possibile che ci siano anche altri lettori, un po’ più difficili da raggiungere eppure disposti ad ascoltare testi molto diversi per stile, forma e finalità narrativa. E’ un’idea consolante, perché significa che, a onta di ciò che si crede, forse si può fare qualcosa per la lettura.
E va bene, mi avete convinto: vado a esplorare la lama di qualche forbice che avevo lasciato fino a oggi nel cassetto. Se mi taglio, non sarà la prima volta. E neanche l’ultima.

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28

04 2008

Desiderata

Una delle lamentele più insistenti sui libri riguarda le copertine. Troppo scure, troppo chiare, troppo esplicite, troppo criptiche, troppo generiche, troppo di nicchia, “Fa veramente schifo…”, “Se la davate a me ve la facevo meglio…” eccetera.
Capisco.
Ma vorrei dirvi una cosa: la copertina non esiste.
Esistono occhi e mani che la creano con un’idea in testa, un’idea carica di formazione, cultura, gusto personali. Esistono occhi che la approvano secondo la loro formazione, la loro cultura, il loro gusto. Ed esiste, ovviamente, un libro a cui essa si riferisce, un libro che è stato scritto con uno o più intenti, e pubblicato magari con gli stessi intenti oppure con altri. E infine (non è vero, ci sono altri elementi, ma semplifico) esiste un potenziale lettore che guarda quella copertina carico della propria formazione, della propria cultura, del proprio gusto.
La copertina non esiste. Esistono mille copertine per un unico libro. E spesso la copertina scelta stringe, comprime, assomma quelle mille.
La prova? Ecco la copertina russa, tedesca e serba dello stesso bestseller.

Belle? Brutte? Certo, dare un giudizio (magari senza conoscere il libro, ma anche conoscendolo) è un impulso tanto irrefrenabile quanto giusto. E che ha la stessa forza di quello che ha guidato la creazione della copertina. Talvolta i due impulsi coincidono, talvolta no. E l’unico arbitro è la speranza di offrire, con una copertina, qualcosa di adatto al libro e al pubblico a cui si rivolge.
Insomma: non se ne esce. Sapevatelo.

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24

04 2008

Prismi e antiprismi

Certo che deve essere davvero faticoso, per chi non legge, entrare in una libreria: un’infinita serie di parallelepipedi tutti uguali, differenti soltanto nel colore e nelle dimensioni: scatole chiuse, enigmatiche, impossibili da “provare”. Che differenza con i negozi d’abbigliamento, in cui si può sperimentare l’istantanea gratificazione dell’indossare, del vedere “se piace”. O con i negozi di alimentari, in cui persino le scatole ermeticamente chiuse evocano comunque qualcosa di conosciuto e, spesso, di gradevole.
Quindi pensavo: e se cambiassimo la forma dei libri? Se per esempio li incastrassimo tutti dentro prismi e antiprismi?
No, scusate, ma guardare i numeri delle vendite dei libri fa venire idee per lo meno bislacche…

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22

04 2008

Bilancia

Lato positivo: Non li ho pagati, anzi sono pagata per leggerli.
Lato negativo: Non avrei mai pagato per leggerli (per leggerne la maggior parte, almeno).

Lato positivo: La CE non ha speso soldi per comprarli.
Lato negativo: E il prossimo anno cosa pubblichiamo?

Lato positivo: La definizione di “porcheria” si è arricchita di nuove, insospettabili sfumature.
Lato negativo: Ho buttato via parecchi giorni in letture inutili.

Lato positivo: Due o tre non erano poi così male.
Lato negativo: “Ma sei matta? Sono troppo cari!”

Lato positivo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.
Lato negativo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.

Così, ogni anno, passata la bufera burianesca di una fiera, si tirano le somme.
E la sensazione non cambia mai: il libro che non hai letto – o hai scartato – supererà le vendite della Bibbia.

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04 2008

Piccolismo

Ogni tanto vado in giro per siti. Sapete, quei siti che si offrono come vetrina agli esordienti scrittori per renderli, appunto, visibili. Ottima idea, in sé. E funzionante, pure, dato che una “professionale” come me ci va a curiosare. Così scorro qualche testo, animata da una flebile speranza… ed è allora che, diretta come un pugno in un occhio, mi colpisce l’assoluta vanità di quelle proposte. Non voglio neanche parlare degli intimisti, di quelli che vogliono scrivere l’Opera Letteraria. Parlo invece di quelli che si confrontano con i modelli narrativi più popolari e comuni (giallo, noir, rosa…) C’è un piccolismo (lo so, non esiste, ma rende l’idea) in quei testi che davvero mi turba. Come se, per dire, Georges Simenon, Dashiell Hammett e Barbara Cartland fossero sì famosi, ma per qualcosa che non ha nulla a che vedere con la pagina scritta. Come se qualcuno sostenesse di essere appassionato di montagna e, senza aver mai neppure visto di persona le Dolomiti, fosse sicuro di poter scalare l’Everest. Da zero a ottomila, insomma.
Poi mi fermo a riflettere e mi rendo conto che un unico filo unisce tutti quei testi: il desiderio, l’impulso, la voglia, la necessità di parlare di se stessi, però soltanto per proiettarsi in vicende misteriose o esaltanti, per sentirsi finalmente protagonisti di qualcosa, per dare un senso più “movimentato” alla propria normalissima esistenza. Ed è la cosa che mi rattrista di più.

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17

04 2008

Torri

Qual è la cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto?
“E’ orribile”?
No.
“Non venderà una copia”?
No.
“Non lo pubblicherei [avrei pubblicato] neanche se fosse [fosse stato] l’ultimo testo scritto sulla Terra”?
No.
La cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto è:
“Lo leggo dopo.”
Pensateci. Avete comprato un libro per un qualsiasi motivo e siete convinti che lo leggerete. Magari non subito (ce ne sono altri!), però prima o poi… Eppure, a poco a poco, quel libro scivola sempre più in basso nella torretta che avete sul comodino o sulla scrivania. Ogni tanto guardate la costa e sì, rammentate il perché l’avete comprato. Ma è un pensiero sempre più vago, sempre meno pressante, che finisce con un “Mah, sì, però lo leggo dopo.” Passano i mesi e il libro è sempre lì. Non raccoglie polvere soltanto perché è alla base della torre, ma è come se fosse coperto da un velo di nebbia. E, alla fine, durante le pulizie di primavera o in un attacco di furore ordinativo, lo prendete e lo mettete su uno scaffale, pensando: “Eh, pazienza, vuol dire che lo leggerò in un altro momento.”
Anche con i manoscritti succede così ed è quasi più triste. Perché se un testo non riesce neppure a suscitare un minimo di curiosità, quel pizzico di interesse che ti fa dire: “Ne leggo qualche pagina, tanto per vedere com’è”, allora vuol dire che ha ben poche speranze di diventare un libro. Mi scuso dunque pubblicamente con i manoscritti (i libri) e con i loro autori, ma qualche volta il loro destino – almeno per quanto mi riguarda – non può che essere l’indifferenza.
E su questa nota allegra vi lascio: la mia missione al servizio di sua maestà dovrebbe durare fino a mercoledì. Se non mi faccio più viva, vuol dire che ho scelto l’esilio (e da come si prospettano certe cose, forse è un destino auspicabile). Intanto ragionate su quello che c’è scritto qui.

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04 2008