Archive for the ‘varie’Category

A viribus impressis

Non c’è. Il che è piuttosto strano, bisogna ammetterlo, però capita. Eppure per lei è stato un autentico shock. Era entrata con piglio marziale, puntando dritta alla cassiera; intorno potevano esserci dei saponi o dei biscotti, e lei non se ne sarebbe accorta. Poi il dramma: il libro in cima alla classifiche, quello di cui tutti parlano, quello che bisogna avere, è esaurito. Domani arriva, sì, sì, ma adesso, stasera… La botta è stata tale che lei non ha neppure protestato. E ha cominciato ad aggirarsi tra i banchi, troppo sconvolta (o imbarazzata o timida o chissà cosa) per chiedere aiuto.
E allora, mentre la guardavo di sottecchi, mi è venuto in mente Newton: «Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare.»*
E ho sperato che valesse anche per le persone e per i libri.

* No, non la so a memoria.

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26

02 2009

Tirarsela

L’ho cercato per mesi.
E l’avevo anche trovato. A 375 dollari.
[Va bene la passione, però ci sono dei limiti.]
Poi, d’improvviso, eccolo.
Intatto, completo, a un prezzo accettabile.
Ordine inoltrato.
Pacco arrivato.
Pacco aperto.
E’ lui!
Testa che gira.
Ma non per l’emozione.
Per la puzza.

Insomma ho trovato e comprato e ricevuto un libro che inseguivo da tempo. E adesso non mi ci posso neanche avvicinare, pena l’asfissia. E io che ci avevo pure scherzato su…
In rete, si consigliano aceto, candele, lettiere per gatti, lampade Berger, deodoranti dry, borotalco… Insomma, soluzioni che puzzano (ehm) quasi più di stregoneria che di scienza.
Intanto però lui, solo e negletto, giace sul balcone di casa mia. Almeno finché i vicini non cominceranno a protestare.

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24

02 2009

Indicativo futuro

Sarò più tollerante con chi lascia un refuso abnorme dopo la terza lettura di un testo di venti righe.
Sarò più clemente con chi mi spedisce un manoscritto di genere “misto giallo-thrilling-misteri-suspence”.
Sarò più buona con l’autore che mi manda la versione “DEFINITIVA” del suo libro due giorni dopo avermi mandato quella “definitiva”.
Sarò più paziente con l’autore che mi vorrebbe al lavoro sul suo testo benché sappia che sto così male da non riuscire neppure a usare correttamente il congiuntivo.
Sarò più mite con il traduttore che mi consegna il lavoro in ritardo di un mese senza avvertirmi e dopo essersi reso irreperibile nel suddetto mese.
Ma ai buoni propositi di inizio anno non ci crede nessuno.
Quindi temo (?) che sarò la solita.

stormynight

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05

01 2009

Ritenta

Già è difficile dire quello che si fa. Figuriamoci poi, nel mio mestiere, trovarsi a dire quello che non si fa.
Almeno, però, chiedimi direttamente cosa faccio, ammetti che non lo sai, invece di annaspare.
No, non scrivo libri (ti ho detto che sono un autore?)
No, non li impagino (ti ho detto che sono un impaginatore?)
No, non correggo le bozze con la matita rossa e blu (per quanto…)
No, non disegno le copertine (per quanto…)
No, non stampo libri (ti ho detto che sono uno stampatore?)
No, non li vendo (ti ho detto che sono un libraio?)
Pausa.
L’interlocutore è comunque troppo educato per andare al di là di uno sgranamento di occhi in cui passa in sovrimpressione la domanda: “Ma allora che diamine fai?”
Così lo anticipo. “Accompagno il libro da quando viene ideato fino al suo arrivo in libreria.”
“Sei una specie di baby-sitter, allora. Oppure…” Si illumina, ridacchia, ride. “O, se l’autore è un cane, di dog-sitter!”
Non credo che sarà l’inizio di una bella amicizia.

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15

12 2008

Bilancio

Guardando le classifiche dei titoli più venduti di fine anno, viene fuori che il (piccolo) popolo dei lettori desidera sapere tutto di vampiri glabri, di sfigati solitari e di criminali incalliti, ma anche di potenziali suicidi, di topi sedentari e di draghi blu. Idolatra la televisione e gli oroscopi, eppure è religiosissimo. Vuole togliersi il vizio del fumo mangiando a quattro palmenti. Ama ridere, ma diventa serissimo se si parla di calcio, di magia o di bagna caôda.
E adesso ditemi voi se il mio è un lavoro che può essere fatto da persone normali.

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12

12 2008

The best time of the year

Email n. 1 [autore straniero, mai incontrato]

Cara Catriona,
la mia CE mi ha passato il tuo indirizzo email […] Sono felicissimo che pubblicherete il mio libro e sono convinto che sarà un successo […] Volevo dirti che sarò in Italia dal 23 al 27 dicembre e mi farebbe molto piacere incontrarti e magari parlare con qualche giornalista per promuovere il mio libro anche se so che uscirà a maggio 2009 […]

Email n. 2 [autore italiano, ben conosciuto]

Sono stufo e vado via per un po’ e non sarò raggiungibile per un bel pezzo, almeno fino a fine gennaio credo. Lo so che abbiamo quel progetto, ma tu fanne pure quello che vuoi. Ci darò un’occhiata quando torno. Ma non stancarti, capito?

E poi dicono che non c’è più fiducia nel mondo…

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08

12 2008

Dolenti declinare

Per solidarietà o per cattiveria.
Per nutrire o affondare la speranza.
Per curiosità o per essere preparati.
Literary Rejections on Display. A vast public collection of real-life rejection
Due esempi:
La scarpa di Andy
Una persona sincera
Io, ovviamente, le userò come ispirazione.

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05

12 2008

In Italia 640

Con le copertine, grosso modo, succede così. O si adotta lo stile matrimoniale (“Tutti i libri sono fedeli a un’impostazione e a una soltanto”) o si adotta lo stile playboy (“Ci provo con una nuova ogni volta”). Il primo è assai allettante, perché fa balenare la speranza di chiudere una volta per tutte l’odiato, faticoso, snervante processo decisionale. Certo, l’iniziale scelta del colore passerà attraverso un’analisi di tutti i pantoni conosciuti, mentre quella dei segni grafici richiederà una conoscenza della geometria iperbolica e di qualsiasi font dall’Helvetica al Kitchen Kapers II (regular). Quanto al risultato, non ci sono mezze misure: trionfo (la copertina trasformata in un marchio di eccellenza) o disfatta (la copertina trasformata in un marchio d’infamia). Va da sé, tuttavia, che la prima eventualità è piuttosto rara.
Nel secondo caso, invece, ci si tuffa nel tempestoso mare dei tentativi, delle varianti e delle incomprensioni. E si affronta un battaglione di grafici decisi a scrivere autore e titolo in un corpo leggibile solo con un microscopio elettronico a scansione; a usare proprio quell’immagine che costa come una manovrina correttiva; a intestardirsi su una combinata font+immagine declinata in tutti i viraggi possibili e impossibili e a puntare sempre nella direzione opposta a quella indicata in riunioni in cui la ridondanza concettuale ha regnato sovrana. Anche qui, di solito, il risultato oscilla tra due estremi: “Oh!” e “Bleah!”, ma è più facile lasciarsi i fallimenti alle spalle e ricominciare.
Ecco perché i prudenti uomini e le sagge donne delle CE, che per inclinazione sceglierebbero sempre la via del “finché macero non vi separi”, si ritrovano spesso costretti a fare i libertini.
Senza neppure un Leporello che tenga i conti.

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03

12 2008

Della perduta arte

Quando si parla delle cose imparate a scuola, c’è sempre qualche giovane virgulto che esclama: “Che me ne faccio, nella vita, delle equazioni parametriche?” “Perché mai dovrei ricordarmi le coltivazioni principali del Burkina Faso?”[1] “E una volta che so quando Cesare ha fatto la campagna di Lerida, cosa me ne viene in tasca?”
Si possono dare risposte semplici o complesse, convincenti o incerte.
Ma c’è (almeno) una cosa che s’impara a scuola e la cui utilità dovrebbe risultare ovvia, lampante, gloriosa.
Il riassunto.
L’umile, onnipresente riassunto. Che ci hanno imposto in tutte le sue forme: “Esponi la trama dei Promessi sposi in dieci righe”, “Descrivi cosa succede nel canto V dell’Inferno”, “Tratteggia le vicende che portarono Napoleone a diventare imperatore” eccetera.
Ne abbiamo fatti tanti, tantissimi, sbuffando e faticando.
E ne facciamo ancora, tutti i giorni, raccontando un film, un incontro, una vacanza…
Ma, se si arriva al riassunto scritto, allora sembra che anni e anni di sintesi, di compendi, di epitomi e di riepiloghi siano stati tristemente inutili.
Ho a che fare con riassunti ogni giorno. Perché non posso leggere tutto quello che mi arriva, dunque ho bisogno che qualcun altro mi dica di cosa parla un certo libro. In una-due paginette di riassunto. Perché – ribadisco – quel libro io non l’ho letto.
Invece arrivano riassunti di quindici pagine, in cui ogni sospiro del protagonista viene riportato con precisione maniacale. Oppure riassunti di poche righe, in cui la frase più pregnante è: “Un giallo con un investigatore americano che indaga su un omicidio” (evidentemente è l’”americano” che dovrebbe fare la differenza). O riassunti in cui il finale non viene spiegato (per il timore di rovinarmi le sorprese nascoste in un libro che non ho letto). O riassunti che ripercorrono ogni azione nel modo esatto in cui l’autore l’ha scritta, anche se la storia si svolge su quattro piani temporali che s’intersecano continuamente.
Molte sono le arti perdute, ma quella del riassunto è quella che mi manca più spesso.

[1] “Millet, sorghum, rice, peanuts and cotton.” (The West Wing, stagione 2, The Drop-in)

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26

11 2008

Effetti collaterali

Se rivedi un libro per 12 ore consecutive, alla fine non soltanto scrivi come l’autore, ma pensi addirittura come lui. E la tua psiche potrebbe non esserne troppo contenta. Anche perché è improbabile che tu abbia assorbito l’immaginario di un novello Proust.

Se esclami: “Ah, proprio come succede in quel romanzo, no?” e ti accorgi che nessuno capisce a quale libro ti riferisci, è meglio che torni a leggere qualche testo pubblicato e accessibile a tutti.

Se qualcuno ti parla e tu continui a fare piccoli cenni nervosi, pensando: Avrei sostituito “umile” con “modesto”… Avrei girato la frase per renderla un po’ più chiara… Qui avrei messo il trapassato e non il passato prossimo… forse è arrivato il momento di accendere un bel falò. Con le bozze.

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19

11 2008

Piccolo mondo antico

Sarà che al centro della nostra vita quotidiana c’è qualcosa di “nobile” come il libro, sarà che gli autori vengono spesso guidati da una scintilla di follia, sarà che la nostra immaginazione gira a mille per via delle letture continue… fatto sta che le CE talvolta somigliano a un “piccolo mondo antico”, in cui possono ancora avere un senso cose un po’ démodée come la fiducia, l’attaccamento, la fedeltà. Un autore che ti affida senza timore il suo libro, sebbene ti abbia conosciuto da poco e magari sia reduce da esperienze non positive; un traduttore che ti chiama per dirti: “A maggio sono libero. Prima che si faccia vivo qualcun altro, volevo sapere se hai tu qualcosa da darmi”; un AA che ti ha venduto un libro difficile e che ti rassicura: “Non importa quando lo pubblichi, anche tra un anno va bene. Sono contento che ci hai creduto.”
Sarà pure un’illusione, un minuetto sociale, non discuto. Però, in quell’istante, ci si sente davvero un po’ fuori da questo mondo così individuale e individualistico. Ed è una bella sensazione.

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18

11 2008

Bozza

Benvenuti alla 23454a puntata del nostro corso Perché #@§! scrivere?
Oggi trattiamo una cosa importantissima, che a quanto pare non vi è ancora entrata nella zucca ben chiara: l’insicurezza.
Ne parlo perché è una piaga caratteristica della stragrande maggioranza degli scritti che mi trovo a esaminare. Inconsapevole delle Ancora incerto nel gestire le più elementari efficaci strutture narrative, l’autore esordiente sembra troppo spesso convinto che la semplice ridondanza di elementi caratterizzanti (dai tratti somatici del protagonista ai suoi tic linguistici; dalle condizioni atmosferiche alle sensazioni psicologiche) costituisca, di per sé, un tratto stilistico di grande presa sul povero lettore. Abbiamo così romanzi in cui splende costantemente un sole “abbagliante” (73 ripetizioni su 240 pagine) personaggi che “si lanciano all’inseguimento” (52/180), brividi che corrono lungo molteplici schiene (103/380) eccetera.
Tutto ciò evidentemente nasce da una forma radicata d’incapacità d’insicurezza, di giustificata scarsa fiducia nei propri mezzi espressivi. Se si mira a un protagonista “tenebroso”, non si raggiunge lo scopo evidenziando a ogni piè sospinto che ha occhi “scuri e profondi” e poi facendolo agire come un deficiente in modo incredibilmente goffo.
Per fortuna, c’è un rimedio a questa insicurezza. Smettere di scrivere. Ed è un rimedio che voi ben conoscete, perché ne abbiamo parlato fino alla nausea molto spesso durante il nostro corso: leggere. Leggere molto e di tutto, scoprire come altri veri autori hanno affrontato e risolto il problema. Magari per imitarli prima e per superarli poi.
Non che abbia qualche speranza, eh? Ma almeno si limitano i danni…
Grazie e alla prossima.

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17

11 2008

M et moi

M “Ciao, sono un manoscritto e sono molto felice di essere qui perché sono convinto che tu sia la persona più adatta per… Scusa, ti disturbo, per caso?”
Catriona “Be’, dipende. Prima di tutto mettiti in coda. Non hai notato, lì, tutti i tuoi simili?”
M “Oh, è vero. Guarda quello… veniamo dalla stessa casa, sai? [Abbassa la voce] Ma io sono meglio.”
Catriona “E chi lo dice?”
M “Hai letto la mia presentazione? ‘Una voce fresca e innovativa… Una storia affascinante…’”
Catriona “Non mi sembra poi così originale. La presentazione di ‘quello’ comprende anche una frase molto lusinghiera di Charlie Charles.”
M “Charlie Charles? Ormai è così disperato che scrive bene di chiunque!”
Catriona “Ehi, Charlie Charles è un mio autore! Però, a dirla tutta, negli ultimi tempi mi sono arrivati ben sette manoscritti con suoi giudizi positivi. Ed erano sette schifezze. Li ho buttati via dopo venti pagine.”
M [Rabbrividisce] Oh. Ragione di più per dare un’occhiata prima a me, no?”
Catriona “Hmmm…”
M “Dai, ti chiedo solo pochi minuti. Ma ti avverto: una volta che avrai cominciato, non potrai smettere.”
Catriona “Sei davvero testardo. Va bene, vieni qui.” [Tra le proteste degli altri manoscritti, comincia a leggere. Venti minuti dopo...] “Hmmm… Ma sei tutto così?”
M “Oh, sì. Anzi andando avanti divento ancora più…”
Catriona “Ti rendi conto di essere la copia di una copia di una copia?”
M “Nel senso che prendo un po’ da questo e un po’ da quello? Certo, ma prendo solo il meglio e lo elaboro…”
Catriona “… male.”
M “Ma non vedi che…”
Catriona “No, non lo vedo proprio. Addio.”
M “Ma chi ti credi di essere, sputasentenze che non sei altro? Mi hai dato solo un’occhiata distratta, ti sei interrotta due volte per rispondere al telefono… Sei cieca, forse? E’ impossibile non cogliere l’incisività del mio stile e lo straordinario potere commerciale della mia storia, da cui però traspare una ficcante metafora della società odierna e…”
Catriona “Ho detto addio.”
M “Te ne pentirai!”
Catriona “Fosse la prima volta…”
[Offeso, M se ne va.]
Catriona [Sospira] “Avanti un altro…”

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11

11 2008

[OT] Cantilene

Sono cresciuta – di certo non unica – al ritmo di “nessuno ti dà niente per niente” (frase che non pochi problemi logici scatenò nella mia mente infantile), “non è tutto oro quello che luccica”, “tra il dire e il fare…” eccetera. Con le cantilene sentenziose va spesso così: cerchi di cancellarle, ma sempre troppo tardi, quando ormai hanno formato una patina appiccicosa sulla tua razionalità. L’importante, ovvio, è sapere che c’è, quella patina.
Quindi capisco i cinici, quelli che “vedrete”, “in realtà”, “non crediate che” e persino quelli più amari ancora, quelli del “ma non vi rendete conto che”. E’ un atteggiamento che ha radici profonde, sempre nella propria esperienza e talvolta pure nel fango italico.
Sono spesso anch’io tra i cinici, i disincantati. Non tiro fuori le cantilene – non più – ma sento che in molti casi la patina del cosiddetto buonsenso si ispessisce.
Ecco: oggi no.
Magari solo per oggi, ma oggi no.

[La foto è stata presa da qui]

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05

11 2008

Loro già

If Santos wins the presidency, he would be the first Hispanic to do so, on TV or otherwise. And, says Smits, it’s about time life started imitating art. “There are some wonderful politicians out there who are, first of all, good public servants who have dedicated their lives to doing better for the community [and who] happen to be Hispanic. I don’t see a problem with that kind of transition happening in this country, and that goes whether they be Hispanic or a woman or an African-American. “I think there are a lot of Latino public servants that I know who are ready to make that leap. It’s gonna happen.” – Jimmy Smits

“Will Smits stay in D.C.?”
by Marisa Guthrie
March 24, 2005
New York Daily News

[da qui]

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05

11 2008

Aspetta, aspetta

[pagina 5]

  • citazione [colta]
  • citazione [camp]
  • citazione [oscuro poeta del XVIII secolo]

[pagina 6]

  • dedica ["A mia cugina"]

[pagina 7]

  • brano evocativo [in corsivo - autore ignoto]

[pagina 8]

  • citazione [canzone rock - 1969]
  • citazione [canzone pop - 1982]
  • citazione [canzone rock (italiana) - 2001]

[pagine 9-11]

  • Ringraziamenti

[pagina 12]

  • “… e a Ciccipucci per tutto.”

Per tutti i fucili di Hemingway, ma lo vuoi cominciare, ’sto libro, oppure no?

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03

11 2008

Con parole tue

Con la scuola non c’entro più da molto tempo (benché anche lì sia stata spesso a un “secondo piano”. Vedi un po’ il destino).
Mi occupo di parole. Della loro chiarezza, del loro essere adatte al contesto in cui appaiono e soprattutto del loro significato.
Perciò, se leggo un testo, mi chiedo anzitutto: “Cosa vuol dire?”
Vediamo:

Nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.

E interpreto così:

“In seguito a una legge che parla di tagli del 17 per cento del personale della scuola, ogni classe elementare sarà affidata a un unico insegnante, che assicurerà 24 ore settimanali. Il resto sarà gestito dalla singola scuola.”

E sintetizzo:

Meno soldi, meno insegnanti, meno tempo. A meno che non abbiate i soldi.

C’è qualcosa di difendibile in questo?
Non credo.

N.d.R. Lo so, la sto facendo semplice, parziale, affrettata e banale. Perdonatemi: è soltanto un piccolo sfogo.

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30

10 2008

Prendere/perdere

Avanti il prossimo.
Come sempre, l’ho guardato con diffidenza, l’ho scorso, rapida, sono andata un po’ avanti e un po’ indietro e poi, sì, ho deciso di leggerlo. E, piano piano, scalando pareti di dubbi e di domande, di perplessità e di paure, mi sono vista mentre ne parlavo agli altri, mentre sceglievo la copertina, mentre scrivevo la presentazione, mentre lo difendevo o lo esaltavo, mentre cercavo di staccarlo dalla massa, mentre lo citavo con fintissima disinvoltura a un giornalista…
Così, alla fine… Va bene, lo prendo.
Avanti il prossimo.

Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d’altro aprezze.

Se devo perderlo (e succederà, come succede a quasi tutti), oggi mi va bene perderlo anche in questo modo.

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29

10 2008

Höhepunkts 2

La cosa più divertente di F08 (almeno per me)? L’incontro con due agenti (donna) norvegesi che si muovevano in sincrono, tenendo gli occhi sbarrati e senza quasi dire una parola. Insomma: due lemuri.

La cosa più difficile di F08 (in realtà di tutti i tempi)? Far parlare inglese ai francesi.

La cosa più straniante di F08 (in realtà di tutti i tempi)? I grandi, eleganti e deserti stand arabi, popolati soltanto da testi (suppongo) sacri o da saggi sull’estrazione del petrolio. Ci sono passata davanti mille volte e, dall’alto della scala mobile, non ho mai visto altri esseri umani se non i due compostissimi addetti.

E infine, a grande richiesta, live from my hotel room, la cosa più trendy di F08: THE bag.

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21

10 2008

Höhepunkts

La cosa più ambita di F08? La Granta bag. Squadrata, capiente, elegante, semplice e di classe. Chiunque riusciva a metterci le mani sopra la usava all’istante, tra gli sguardi invidiosi del resto del mondo. Ah, io ce l’ho.

La cosa più bizzarra di F08? Il trolley in cartone della Istanbul Chamber of Commerce, per trascinarsi appresso libri o da usare come sedile improvvisato. A un certo punto, ho sentito un urletto lontano e mi sono convinta che qualche malcapitato abbia sopravvalutato la solidità del trolley, finendo rovinosamente a terra proprio durante il meeting per lui più importante.

La cosa più frequente di F08? I pianti sulla crisi economica. Abbiamo pianto tutti, in un lungo abbraccio che ha annullato ogni differenza di sesso, religione, nazionalità e genere letterario. Carta vincente per rompere il ghiaccio all’inizio dell’appuntamento oppure ottimo argomento per concluderlo.

La cosa più inquietante di F08? L’invasione di cosplayer del sabato. Sopraffatta da una valanga di simil-emo, simil-Harry Potter e simil-fatine dai capelli striatini, non ho voluto approfondire, anche perché la massa rutilante marciava verso verso il padiglione tedesco, una mossa che, al sabato, equivale a offrirsi volontario per scoprire cosa si prova ad attraversare un tritacarne.

I libri? Ah, sì, c’erano anche quelli :-)

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20

10 2008

Barzellette, certezze, accozzaglie

La cronaca della mia serata notte di lettura potrebbe essere l’inizio di una barzelletta scema: “C’erano un inglese, un francese e un americano…” Per la cronaca, il paracadute non si è aperto per nessuno.

Fino a ieri, avevo la certezza che, tra i manoscritti arrivati sulla mia scrivania in questo periodo, non ce ne fosse nessuno di un possibile Premio Nobel. Oggi non ne sono più così sicura. Mi sa che s’impone un repêchage.

Chissà come, ho mischiato i fogli di due manoscritti. E non me ne sono accorta se non dopo qualche pagina. Se qualcuno, in quel preciso istante, mi avesse chiesto: “Cosa leggi?”, probabilmente gli avrei risposto con la massima serietà: “Una cosa di suore de menare“.

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10

10 2008

Overdose

E’ che le storie ti consumano. Perché non riesci a leggerle senza usare una parte di te, fosse pure una manciata di pensieri distratti. Perché spostano qualcosa nella tua testa, come quei giochi a blocchetti mobili che, a un certo punto, ti viene l’impulso di smontare brutalmente. Perché anche le peggiori – anche quelle che hai buttato via a pagina 12 – hanno frantumato una scheggia di immaginazione non soltanto nell’autore, ma pure in chi le ha lette, lasciandosi dietro un pulviscolo che è impossibile spazzar via del tutto. Non importa se alla fine le confondi o le dimentichi. La sensazione che qualcosa sia andato perduto per sempre non te la scrolli di dosso.

Scusate: effetti nefasti dell’overdose di manoscritti di questi giorni.

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09

10 2008

Finché

Mentre se hai più di quarant’anni la Fields Medal te la puoi scordare, ci sono casi illustri di autori e registi che scrivono/girano capolavori soltanto in tarda età. Ci pensavo ieri, scorrendo il manoscritto di uno scrittore (non italiano) che fa il suo esordio nella letteratura a sessant’anni suonati, dopo essersi occupato di tutt’altro, benché sempre in campo artistico. Sta forse qui – in parte – il fascino della letteratura? L’idea che, in qualsiasi momento della propria vita – a onta dell’inevitabile degrado – una pagina scritta possa essere il veicolo per comunicare qualcosa in grado di cambiare la percezione del mondo o, magari più umilmente, per trovare un diverso punto di vista sulle cose, per raccontare un’altra storia?
A prescindere dal risultato (nel mio caso non eccelso), questa mi sembra un’ottima spinta per continuare a leggere (e magari a scrivere) almeno finché la mano regge e il cervello continua a fare il suo lavoro.
Come diceva Troisi? “Mo’ me lo segno.”

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03

10 2008

Drammi

Lo so bene che la letteratura si nutre di drammi. Non esiste storia se non ci sono un cambiamento, una modifica, un rito di passaggio. Ma, soprattutto in questo periodo di flusso annegante di manoscritti, gli effetti rischiano di essere più drammatici per chi legge che per chi scrive (o ha scritto).

A: “Hai letto quello di Charlie Charles?”
B: “Qual è? Quello del tizio con il delirium tremens?”
A: “No, è quello della donna che perde le braccia in un incidente, ma ritrova se stessa… Un momento, io quello del delirium tremens non l’ho letto… com’è?”
B: “Mah, abbastanza scontato, direi. Alcol, visioni, incubi… non molto esaltante. Mentre la donna senza braccia non sembra male.”
A: “All’inizio sì, poi però diventa prevedibile. Insomma, ti puoi immaginare tutto, no? Invece quello dell’uomo che perde l’intera famiglia, nonna compresa, in un naufragio mi sta prendendo.”
B: “Io ho fatto un libro su un naufragio l’anno scorso ed è andato da schifo. Eppure morivano i più antipatici e c’era un bello slancio d’identificazione.”
A: “Ma anche qui si piange un sacco… Pensa che lui, il sopravvissuto, scopre poco dopo di avere una forma rarissima di cirrosi che…”
B: “Scusa, ma sei sicura che non abbia anche il delirium tremens?”
A: “Mah, forse. A me, a colpirmi, è stata la cirrosi…”

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01

10 2008

Te la sei voluta, però

Sarà la fretta, sarà l’incapacità di usare il computer, sarà la superficialità.
Fatto sta che sono sempre più numerosi i manoscritti stranieri che arrivano senza che i commenti e le revisioni siano stati accettati e/o nascosti.
La parte crudele del mio cervello (peraltro assai sviluppata) non resiste.
Scopro così editor palesemente insofferenti a questo o a quel personaggio, annotatori gentili (“Potresti, per favore, cambiare…”) o brutali (“Taglia da qui fino alla fine del paragrafo. E’ assurdo.”), perplessità forse irrisolte o irrisolvibili (“Non capisco di cosa sta parlando questo tizio”), fili sospesi e chissà se riannodati (“Ma questo episodio ha un peso, dopo?”).
Strana situazione davvero, perché un po’ mi identifico e un po’ mi sento un voyeur.
Ma soprattutto, se rifiuto il libro, mi sembra che la mia decisione sia più giustificata. E, a quell’editor “distratto”, mi verrebbe proprio da dire: “Sì, forse non ho capito la grandezza del tuo autore. E nemmeno la tua. Un po’ te la sei voluta, però.”

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29

09 2008

Oracoli e madonne

Ricordate come, al liceo, davanti a una versione particolarmente ostica, si cercavano le parole sul Georges-Calonghi (o sul Castiglioni-Mariotti) nella palpitante speranza di trovare proprio quella maledetta frase che sembrava senza senso? Ecco: è lo stesso approccio che vedo talvolta adottare dalle persone che mi circondano quando si parla di (o si usa) Internet oppure un normalissimo programma (Word su tutti). Nel primo caso, la ricerca può assumere contorni misticheggianti, come se soltanto pochi eletti avessero accesso al codice dell’oracolo-Google ed esso si rifiutasse di rispondere ai neofiti, escludendoli dunque dalla conoscenza suprema. L’idea che magari sia necessario pensare alle chiavi di ricerca, guardare con occhio critico i risultati, provare a rielaborare la richiesta non li sfiora nemmeno. Se il primo risultato non è la traduzione della frase bastarda, allora partono un sospiro e la frase: “Mah, non è mica vero che su Internet si trova tutto”.
Con Word, invece, scatta la “modalità Lourdes”. Il testo ricevuto (corpo 22, interlinea 4, margini 9 cm) non viene toccato, quasi si avesse paura di corrompere Santa Formattazione con la propria bassa umanità. A nulla serve far notare che quel testo, così impostato, si distende su ben 1074 pagine ed è di lettura piuttosto difficoltosa. A nulla serve segnalare che la barra degli strumenti (bella e intoccata come Mamma Microsoft l’ha fatta) può essere adattata alle proprie umili necessità. Anche qui, è come se si aspettasse l’intervento di qualcuno in grado di leggere nel pensiero e di adattare il testo ai propri desideri. In grado di tradurti l’intera versione.
E adesso capirete perché ieri, quando, nel giro di pochi minuti, prima mi hanno chiesto: “Tu che sei brava a trovare le cose su Internet…” e poi mi hanno bloccato la stampante centrale con un documento di 868 pagine che poteva essere ridotto almeno della metà, capirete perché ieri, insomma, mi sono gonfiata come un tacchino e mi è uscito un minaccioso sbuffo di fumo verde dalle orecchie. E non sarà l’ultima volta.

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26

09 2008

Ai punti

Ci hanno detto che bisogna targettizzare.
Ma hanno aggiunto che non c’è nulla di male a differenziare.
Ci hanno indicato i lettori forti, riservando un sospiro a quelli deboli e un vago cenno di speranza a quelli morbidi.
Ci hanno parlato prima di “nobiltà”, poi di cose “popolari”.
Hanno tracciato curve che andavano sempre, inesorabilmente, tristemente verso il basso.
Hanno ammesso che è difficile far centro, però, insomma, dai, mica è impossibile.

L’altro giorno, il mondo-CE ha ascoltato quello non-CE, quello che ha la “visione d’insieme”. E si è sentito un po’ sotto processo. Aggrappato a una zattera che diventa sempre più piccola. Un po’ miope e senza occhiali con un’adeguata correzione.
Però non è andato al tappeto. Diciamo che ha perso ai punti.

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24

09 2008

Partenze, party, latinorum

  • Il nuovo trend della Fiera è non prendere appuntamenti al sabato. Ovviamente io ne ho un po’ e temo che, in qualche caso, mi troverò a fissare un tavolino vuoto dopo aver fatto una corsa mozzafiato tra i padiglioni. E la sensazione sarà quella di essere arrivata a un appuntamento al buio senza trovare nessuno perché l’altra parte – che ti ha osservato di nascosto – non ti ha ritenuto degna neppure di un anodino scambio di convenevoli.
  • Quest’anno mi do alla mondanità: (almeno) due party. Per essere ammessi, bisogna presentare l’invito, il pass e un documento con fotografia. Probabilmente si viene pure perquisiti. Date le premesse, come minimo mi aspetto di trovarmi accanto a George Clooney, Al Gore e Britney Spears. Oppure a un sacco di arabi.
  • No, caro AA, non mi lascio impietosire dal fatto che mi mandi un’email con le ultime recensioni del libro-che-vuoi-piazzare-a-tutti-i-costi-prima-della-Fiera alle 23.43 di sabato sera. E che me ne mandi un’altra alle 8.12 di domenica mattina. E che il lunedì mattina alle 8.15 mi dici che l’hai venduto in Ungheria. Gutta cavat lapidem, certo. Ma anche A posse ad esse non valet consequentia. Rassegnati.
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23

09 2008

Beata te

“Beata te, che leggi tutto il giorno!”
A parte che non è vero, vorrei proprio vederlo, quello che dice così, a leggere tutto il giorno. Soprattutto a leggere libri che ti arrivano così, nudi, magari lontani anni luce dai propri “gusti”. E a farlo con davanti il bivio “scegli o scarti”. Nel giro di un’ora (sono buona) comincerebbe ad agitarsi, a sbuffare, a distrarsi.
Ammettiamolo, una buona volta: leggere è faticoso.
È faticoso come incontrare una persona nuova, della quale devi (vuoi) conoscere magari non tutto, però qualcosa; come arrivare in un Paese straniero senza cartina o guida; come ritrovarsi circondato da individui che parlano una lingua di cui tu conosci i rudimenti, ma non le sottigliezze.
È bello, tutto ciò?
Indubbiamente. È più che bello.
Ma è anche faticoso.
E tu che adori leggere, che vorresti un libro in mano a ogni persona sopra i sette anni, che esalti il ruolo della parola scritta in questa società dominata dagli stimoli visivi e sonori, sì, proprio tu (mon semblable, mon frère!), non devi dimenticarlo mai. In particolar modo quando ti lanci in una delle tue giustissime, sacrosante tirate a difesa del libro.
Non nascondere mai che leggere è fatica. Ma poi aggiungi che è una delle poche fatiche a essere sempre premiate.

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18

09 2008

Scoperte, ritorni, inizi, versioni

Il torrente di proposte pre-F si sta ingrossando.

  • Con incredibile ritardo, gli americani hanno scoperto l’astrologia. E si sono scatenati – librescamente parlando – al punto che un autore si presenta come esperto di “medieval and renaissance-horary astrology”.
  • Sono martoriata da AA che mi offrono il terzo (o il quarto, o il decimo) libro di una serie dopo che ho rifiutato i primi due (tre, nove) rispettivamente nel 2007, nel 2006, nel 2005 eccetera. Probabilmente contano sul mio progressivo rimbambimento senile. (E non è detto che sbaglino.)
  • “Lo so che questo personaggio/tema non è molto conosciuto/diffuso in Italia…” Quando le email iniziano così, possono soltanto peggiorare.
  • “Ti mando il manoscritto completamente editato…” … di un libro che ho rifiutato due mesi fa. In questo caso, porgo i miei più sentiti ringraziamenti a Word e alla funzione “confronta versioni”. Spietata, ma indispensabile per accorgersi che “completamente editato” in questo caso significa: “abbiamo aggiunto qualche virgola”.
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16

09 2008

[OT] Schizofrenia italiana

Mia sorella è andata in una delle più grandi città italiane per fare un corso da managèr.
Essendo arrivata di domenica, ha preso un taxi per raggiungere il centro della città e farsi un giro.
Dopo qualche tempo, si accorge di non avere più il portafoglio. Rubato? Perso? Non lo sa.
Un po’ agitata (ha tutto nel portafoglio, la stoltarella), si rivolge ai tutori dell’ordine. Ma ne ricava soltanto risposte generiche al limite dell’offensivo (“E noi che ci possiamo fare?”), indicazioni vaghe (“Eh, la denuncia… Segua quella strada là…”), suggerimenti assurdi (“Si faccia fare un bonifico!” “E poi, senza documenti, come li prendo, i soldi?”)
Un’illuminazione la salva: ha la ricevuta del taxi e chiama il centralino. E scopre che il taxista ha ritrovato in macchina il portafoglio. Nel giro di mezz’ora, il taxista la raggiunge e glielo restitituisce. E prende metà della mancia che lei gli vuole dare.
La domande che ci siamo fatte, a dramma scampato, sono state queste: se avesse detto che a rubarle il portafoglio era stato un extracomunitario, le cose sarebbero andate diversamente? E quale Italia schizofrenica viene fuori da quest’episodio, isolato, certo, ma forse sintomatico?
Un’Italia triste, direi.

P.S. Io non lo volevo fare, questo post, ma sono due giorni che rimugino su questa cosa terribile e non mi capacito dell’abisso in cui talvolta noi, esseri umani, cadiamo. Senza contare che, come sapete, David Foster Wallace si è suicidato. E quando uno scrittore decide di non voler più raccontare il mondo, a me passa la voglia di parlare di libri.

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14

09 2008

Cortocircuiti

Ieri, un AA mi ha scritto che, se un’altra CE deciderà di non pubblicare più un certo autore, allora proporrà a me i libri di quell’autore. Il problema è che l’altra CE è la mia CE.

Oggi, ci ha scritto un “affezionatissimo” lettore, sperticandosi in lodi nei nostri confronti, enumerando i nostri libri presenti nella sua biblioteca e chiedendo se per favore gli procuriamo quel certo nostro libro, che lui sta cercando da moltissimo tempo e che non riesce a trovare. E che non è pubblicato da noi.

Ho deciso: la prossima tappa del mio percorso professionale sarà lo sdoppiamento della personalità. E della CE.

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11

09 2008

Letteratura medica

Per sindrome di Ryoki Inoue (volgarmente nota anche come “sindrome del Fascinoso Torinese”, dal soprannome di uno dei personaggi responsabili della sua diffusione in Italia) si intende una situazione clinica caratterizzata da un’altissima febbre di scrivere. Il periodo d’incubazione è di estensione variabile, ma l’esordio può essere brusco e improvviso. Essa si manifesta prevalentemente (ma non esclusivamente ) nella popolazione adulta, senza differenze di sesso.

Eziologia
Sconosciuta. Alcuni studiosi hanno sostenuto la sua diffusione per via diretta (esposizione a celebrità letterarie, ma anche dello sport, dello spettacolo eccetera); altri enfatizzano una predisposizione genetica; altri ancora individuano responsabilità socio-ambientali. Tutti gli studi hanno però evidenziato nei soggetti più gravi una netta carenza di lettura intensa e consapevole.

Sintomatologia
Il soggetto presenta dolenzìa in sede mentale, che riesce ad attenuare soltanto grazie a una compulsiva e costante scrittura. L’accumularsi di fogli vergati o l’aumento delle dimensioni del file portano tuttavia ben presto all’alterazione del pensiero (convinzione di essere il più grande autore vivente), del comportamento (invio compulsivo dei fogli e/o dei file a innumerevoli CE perché devono leggere/pubblicare il più grande autore vivente) e dell’emozione (irritazione costante per non essere pubblicato benché si sia il più grande autore vivente). L’autoincensamento, la diminuzione di anticorpi autocensori (fino alla loro scomparsa) e la cecità progressiva verso i propri errori sono presenti in moltissimi casi.

Diagnosi e terapia
Spesso la diagnosi è piuttosto semplice, in quanto il soggetto non può nascondere il suo stato, anzi lo rivela a parenti e amici, diffondendo la sua opera e chiedendo con insistenza pareri su di essa. In questo caso, è importante agire subito con massicce dosi di sincerità, anche se risultano particolarmente dolorose per il soggetto. Se non si agisce in tempo, la dose dovrà essere ulteriormente aumentata ed essere somministrata direttamente dalla CE.

Prognosi
Se il soggetto accetta le somministrazioni di sincerità (anche ripetute), la prognosi per una guarigione completa è favorevole. Altrimenti bisogna aspettarsi sporadiche ricadute.

Signori medici all’ascolto: non fatemi le pulci, eh? Qui si scherza.
Ah, dimenticavo: questo blog ha compiuto un anno. Dico molto spesso “grazie” in questo periodo, e stavolta è ancora più sentito. Grazie a tutti quelli che mi leggono. Spero proprio che il secondo piano non vi sia (ancora) venuto a noia.

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10

09 2008

Corde

La diplomazia non è nelle mie corde.
Ecco perché già mi preparo mentalmente a quello che dovrò fare tra un mesetto, alla Fiera.
Sorridere all’AA che mi ha venduto un libro al triplo di quanto avrei dovuto pagarlo perché “Oh, l’altra CE chissà come ha saputo che lo volevi e io no-no-no non volevo darglielo, ma sai, dato che chissà come l’altra CE l’ha saputo, proprio non me lo spiego no-no-no, ho dovuto mettervi in gara…”
Rammaricarmi con l’editore straniero perché l’unico libro che mi ha venduto in tutti questi anni è stato una frana. “E neanch’io capisco perché… E’ così bello… Eh, il mercato dei libri in Italia…”
Spiegare all’AA che, anche se quel libro va fortissimo in Olanda, non è detto che la cosa si debba ripetere in Italia.
Insomma: tutto un sorridi-rammaricati-spiega.
La diplomazia non è nelle mie corde.

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08

09 2008

Chi? Cosa? (eccetera)

In un commento al post precedente, Vanamonde mi dice che sarei stata nominata per i Macchianera Blog Award.
Eh?
Chi? Come? Cosa? Dove? Quando? Perché?
E ancora: per chi? Per cosa? Per come? Per dove? Per quando? Per perché? O anche: da chi? Da cosa? Da come? Da quando? Da perché? Ed eventualmente: a chi? A cosa? A come? A quando? A perché? (lo so, a Bergonzoni viene meglio, ma lui è Bergonzoni).
Oddio, il discorso per il Nobel ce l’ho pronto, al mio necrologio ci sto lavorando… ma per questo sono del tutto impreparata.
Come si dice in questi casi?
Grazie a tutti quelli che mi hanno segnalato, anche a quelli che l’hanno fatto per ricattarmi (“Ti ho votato, quindi adesso il mio manoscritto lo leggi, vero?”). Ma soprattutto grazie a tutti quelli che sono passati di qui ogni giorno oppure ogni tanto oppure una volta sola.
E poi ringrazio Mr Potts, la mia mamma…
Datemi un po’ di tempo, dai.
Uh, com’è difficile scrivere…

08

09 2008

Colpevole

Io, la devotissima vestale sorkiniana, la Weiner-idolatrante, la Chase-dipendente,* ho peccato. Quest’estate mi sono concessa un vero guilty pleasure: le prime due stagioni di Brothers & Sisters. In massima sintesi: le vicende di una famiglia composta da tre fratelli, due sorelle, una madre e uno zio.
La conoscete? Bene.
Non la conoscete? Pazienza, non è necessario.
Una cosa colpisce subito, anche a una visione distratta. Tutto è prevedibilissimo, piano, “normale”: amori, amicizie, separazioni, incontri, coups de théâtre, coups de foudre… Abituata a ben altro, l’impulso è stato quello di chiudere dopo il primo episodio. Invece non sono riuscita a staccarmi, ammirata dalla fluida semplicità dell’insieme, dal ritratto sociale che andava tratteggiando, con pazienza e determinazione. Insomma era come se qualcuno stesse scrivendo – lì, sotto i miei occhi – un “manuale di vita”: come ci si comporta se succede qualcosa di grave a chi ci sta vicino? Quali errori evitare in una relazione? Come confessare una verità “scomoda”? Perché scegliere di rivelare qualcosa o di tenerlo nascosto? Come affrontare la droga o l’omosessualità?
Non è certo la prima volta che una serie americana offre risposte pratiche, frasi da ripetere, indicazioni da seguire, tutte già testate, già “modellate”. Ma il piglio quasi didattico di questa serie mi è parso singolarmente diretto ed esplicito.
Allora ho pensato: perché “faticare” su un libro per cercare una sola risposta a una sola domanda, quando molte risposte a molte domande sono già lì, pronte all’uso, per di più arricchite dall’occasionale lacrimuccia o del frequente sorriso?
E non ho trovato una risposta.
O, meglio, sì, l’ho trovata, però non mi ha soddisfatto per nulla.

* Se non avete cliccato i link, perché sapete di cosa sto parlando, avete vinto il Superpremio “Affetto e Stima Incondizionata di Catriona Potts”.

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04

09 2008

Mestiere

Si può insegnare questo mestiere?
Ovvio che sì: è un mestiere.
Talvolta però mi sembra di no.
Lo so, è un’affermazione che suona subito un po’ superba e altezzosa, e che sembra discendere in linea diretta da quella superbia e da quella altezzosità tutte “intellettuali” che, secondo il pensiero comune, caratterizzano (quasi tutti) quelli che lavorano in una CE.
Ma è l’esatto contrario.
Alla fine, dopo aver studiato, elaborato, assimilato; dopo aver letto il leggibile ed esserti sentito in colpa per non aver letto il resto; dopo aver sognato prima e lottato poi, ti rendi conto che l’unico modo per affrontare questo mestiere apparentemente così intellettuale ed etereo è un assoluto pragmatismo.
Perché il libro è innanzitutto una cosa. Un oggetto. E va costruito, fatto, pezzo per pezzo.
E, se non sei pragmatico, concreto, pronto a “sporcarti le mani”, non soltanto ti sarà impossibile farlo bene, ma non ne ricaverai neppure la minima soddisfazione.

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03

09 2008

Stare fuori

“Vorrei fare il correttore di bozze o l’editor.”
Avessi un respiro in più per ogni volta che ho letto questa frase in un curriculum, sarei certa di campare fino a 130 anni. Ci sono giorni in cui capisco chi scrive cose del genere. Per chi “sta fuori”, l’editoria può somigliare a un sogno psichedelico. E’ un indistinto fruscio di fogli vergati, una cacofonia di ruoli. Talvolta è difficile capire chi fa cosa.
Però ci sono momenti in cui prende corpo un pensiero maligno: non sarà che l’ambizione di lavorare in una CE equivale allo spirito con cui si affrontano certi esami universitari, quelli del tipo “lo preparo in due giorni”? Esistono ancora? Credo di sì. Qualche lezione distratta, qualche concetto assimilato e poi un confronto rapido, dall’esito quasi certamente positivo. Fuor di metafora: non è che si pensa di voler lavorare in una CE perché, in realtà, non si lavora davvero? Leggere bozze? E che ci vuole? Scegliere un libro? Uh, sai che fatica! Rivedere un testo? Mah, qualche virgola qua e là…
Non dico che lavorare in una CE equivalga al proverbiale lavoro in miniera né a fare il camionista o il fornaio. Però una CE non è un serpentone meccanico manovrato da persone che si limitano a spingere il testo dall’autore al lettore.
Sì, lo so, non è facile da spiegare. Sì, lo so, l’apparenza può essere quella.
Mettiamola così: lavorare in una CE è un po’ come essere un atleta. Dieta ferrea (parole a colazione, pranzo e cena), esercizio costante (limatura, lettura, elaborazione…) e concentrazione sull’obiettivo (il libro). Dimmi un po’, tu che scrivi “vorrei fare il correttore di bozze o l’editor”: sei veramente disposto a fare tutto ciò e non soltanto per qualche settimana? Oppure pensi di sederti a una scrivania e di limitarti a spingere fogli da un capo all’altro del serpentone?

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29

08 2008

69 & 163

Charlotte Stretch sul Guardian rilancia una teoria che avevo già sentito, ma di cui mi ero dimenticata. Secondo Marshall McLuhan (ma qualcuno lo legge ancora?) per capire se un libro può piacere, basta leggere la pagina 69. Vi convince? Allora comprate il libro (e/o leggetelo). Ignoro se esistano elementi scientifici a sostegno di questa teoria. Però cercherò di verificarla, magari coi manoscritti italiani che ricevo, se non altro per non buttarli via dopo la lettura della pagina 1. Vi terrò aggiornati.

Nello stesso articolo, si cita: How to Read A Novel: A User’s Guide di John Sutherland, autore che conosco per un altro libretto assai utile e istruttivo: Bestsellers: A Very Short Introduction. Secondo Sutherland, per leggere il mezzo milione di romanzi disponibili su Amazon.com ci vorrebbero 163 vite. Anche qui, i fondamenti matematici mi sono ignoti, però mi sentirei di puntualizzare una cosa: talvolta mi sembra che ci vogliano 163 vite soltanto per arrivare alla fine di un libro.

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28

08 2008

Coda/queue

Bambino italiano (sui cinque anni): “Papà, ma perché fanno la coda?”
Padre (sui trentacinque): “Mah…”
Bambina (sui sette anni, sorella del bambino): “Ma non vedi che fanno la coda per il cinema, scemo? Uff!”
La madre (sui trentacinque), come falena attratta dalla luce, si avvicina al cinema e fissa alternativamente l’ingresso e la coda che c’è davanti. Ma l’intera famigliola è come ipnotizzata da quello spettacolo, uno stupore che si trasforma in sconcerto quando la donna si rende conto che il film per cui quelle persone stanno facendo la coda è vecchio, vecchissimo. “Guarda, fanno un film di Hitchcock”, mormora al marito, ancora incapace di muoversi. Poi anche i bambini si avvicinano e studiano la gente, come se si aspettassero qualcosa di eclatante. Infine tutti e quattro trotterellano via, lanciandosi però ancora qualche occhiata alle spalle.
Per la cronaca, il film era Dial M for Murder (Il delitto perfetto, 1954) e veniva proiettato non solo in lingua originale (cosa piuttosto ovvia, in un Paese civile), ma addirittura in 3D, proprio come zio Alfred lo aveva girato.
E, sì, in quella coda c’eravamo pure io e Mr Potts. Che non abbiamo più fiatato finché, riconsegnati gli appositi occhialini, non ci siamo nascosti nel relativo anonimato delle strade di Parigi.

P.S. Ho visto pure Wall-e (sì, nei Paesi civili certi film escono in estate). Imperdibile, anche se un po’ troppo lineare rispetto agli standar Pixar.

25

08 2008

Viva Gibert, Giuseppe e il Giovane

Au bord de la Seine, sotto un magnifico cielo cangiante (alla faccia dei manifesti che evocano i pericoli della canicule), ascolto le lamentazioni di una mia autrice, donna tanto deliziosa quanto concreta nonché parigina da generazioni: le librerie stanno chiudendo, la gente non legge più, i libri sono in crisi… Poi faccio un giro nei dintorni (ma anche oltre): vicino all’Institut du Monde Arabe, su strade parallele, ci sono la Librairie Avicenne e la Librairie Averroès (saranno in feroce competizione?); lì accanto ci sono librerie di storia, di filosofia, di cinema… Molti passanti si fermano, alcuni entrano. In giro, nei caffè, sulle panchine, la gente legge, tanto, di tutto. Infine entro in quel tempio che è Gibert Joseph e lo trovo brulicante, turbinante, esaltante di persone. Guardo con stupore sempre uguale e sempre rinnovato la parete della Bibliothèque de la Pléiade, le file e file dei Folio, le classificazioni intelligenti, le segnalazioni puntuali e quasi mai scontate e, soprattutto, i volumi nuovi accanto a quelli con la striscetta gialla “Occasion” sul dorso. Non separati – confinati, esiliati – in tristi librerie “di seconda scelta”, ma accanto a quelli nuovi. E la stessa cosa si ripete nella libreria gemella, Gibert Jeune. Persino i giornali sono pieni di libri, con l’elenco dei più attesi per la rentrée. Forse la mia autrice ha ragione, forse questo è un fenomeno prettamente parigino, ma l’orlo del burrone per loro mi sembra ancora lontano.

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22

08 2008

Surplus

Per capire, lo capisco.
Il carburante, lo spazio…
Ma la prossima volta parto con un cappottone da spia anni ‘50 – del tipo “c’ho mille tasche interne più una” – e le riempio tutte.
E, ai controlli di sicurezza, sono dispostissima a dire agli addetti, in tono di sfida: “Non sto mica portando liquidi, no? E non è neppure bagaglio a mano. Che volete farci, in volo mi annoio…”
E poi, non sarebbe il caso di fare un’eccezione? Con tutti gli scontrini alla mano, certo, così da dimostrare che in valigia, a parte qualche calzino sporco e il regalino per la mamma, ci sono soltanto quelle cose lì, che pesano un accidente. Avrei pronto anche lo slogan per una simile iniziativa: “La cultura non ha (sovrap)prezzo!”
Invece no.
Tutto questo per non dirvi quanto abbiamo dovuto pagare di surplus bagaglio io e Mr Potts. In sintesi, è stato come comprare un terzo biglietto aereo.
Tutta colpa delle maledette librerie parigine, luoghi di perdizione cartacea e di abbuffate a-caloriche nonché super-appaganti.
Bentornati, eh.

21

08 2008

Ne rimarrà uno solo

“Scusa, sai, ma siamo a Parigi e forse c’è qualcosa da vedere…”
“Sì, sì, arrivo, arrivo.”
[mezz'ora dopo]
“Certo che ti sta prendendo un sacco.”
“Hmm…”
“Però non credi che…”
“Shhh… che mi sta morendo Fantine.”
“Ah.”

Qualche anno fa, durante una vacanza francese, decisi di portarmi appresso un solo libro. E quel libro era I miserabili. La mia inqualificabile lacuna culturale venne colmata con grande soddisfazione, ma il prezzo da pagare fu forse un po’ eccessivo, soprattutto per Mr Potts.
Questo per dire che, se vedete in giro per l’Europa una tizia con il Meridiano di Stendhal (volume III: La Certosa di Parma, Cronache italiane e Lamiel), fatele un fischio. Perché anche quest’anno ho deciso che mi porterò dietro un solo libro, ma almeno si tratterà di una rilettura, facilmente interrompibile (credo).
Grazie per aver passeggiato con me al secondo piano in tutti questi mesi.
Se volete, ci si rilegge più in là, col fresco.

31

07 2008

Le scarpe di Topolino

Benché qualcuno mi abbia decisamente battuto sul tempo (e lo stia facendo molta più classe di me), è da un po’ che anch’io volevo parlare di Wikipedia o, meglio, del rapporto che noi delle CE intratteniamo con essa. Lasciando perdere qualsiasi polemica (“Sei affidabile? Ma quanto sei affidabile? Hai quell’informazione? Ma quanto ne hai, di quell’informazione?”), bisogna avere il coraggio di dire la verità: Wikipedia per noi è un autentico pericolo. Prova a convincere il passante casuale che stai consultando la voce Bondage perché il romanzo che stai leggendo descrive una pratica così bizzarra che devi verificare se sia vera o inventata. Persuadine un altro che hai aperto la pagina su Topolino perché l’autore scrive che il topo ha le scarpe gialle e tu non ricordi se sia vero. Cancella il sorrisetto furbo dalla faccia del terzo perché ti becca mentre stai guardando la voce Maldive, da te aperta per capire cosa diamine sia la lingua divehi. E così via.
Il secondo pericolo è l’ipercorrettismo spinto. Un tempo, le verifiche sul bondage, su Topolino e sulla lingua divehi erano affidate all’onestà dello scrittore o, eventualmente, ai libri e agli amici del revisore. Adesso, invece, (quasi) tutto è automaticamente verificabile, quindi finisci per incaponirti su problemi che, in passato, affrontavi con più disinvoltura. Perché la pratica descritta dal primo autore corrisponde in linea di massima alla descrizione riportata, però non è esattamente così. Perché sì, Topolino ha le scarpe gialle, ma l’autore sta parlando di The Karnival Kid, un corto del 1929 in bianco e nero. Perché hai capito cos’è la lingua divehi, però la sua trascrizione non è proprio una passeggiata.
E ovviamente, nel preciso istante in cui hai davanti una pagina in divehi in cui si vede Topolino (senza scarpe) legato a un palo della luce mentre Minnie lo frusta, ti arriva alle spalle l’amministratore delegato ed esclama: “Allora, di quale futuro bestseller ti stai occupando?”
E allora non ti resta che aprire Wikipedia per capire se la parola “futuro” ha ancora un senso applicabile alla tua presente condizione.

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30

07 2008

La sindrome della pagina nera

Poveri inglesi: un quarto di loro non legge e anche quelli che leggono sono in grave difficoltà. Come racconta Stuart Jeffries sul Guardian molti non riescono a finire i libri, perché ne comprano troppi. E’ il reader’s block, conseguenza diretta della mancanza di un (adeguato) writer’s block. Capisco che la situazione sia davvero tragica, quindi, se anche voi siete affetti da questa terribile “sindrome della pagina nera”, ecco qui, in sintesi, i consigli di Jeffries:

  1. Siccome leggi per piacere, sei autorizzato a mollare un libro noioso.
  2. Va bene chiedere agli amici cosa leggere, ma, vivaddio, la vita è troppo breve per finire intrappolati in uno di quei gruppi di lettura formati da “bulli intellettuali”.
  3. Varia la tua “dieta di lettura”. Dopo aver banchettato a Philip Pullman, pulisciti la bocca con un sorbetto à la Novella 2000.
  4. Se hai una vita frenetica, quindi hai poco tempo per leggere, non iniziare mattoni tipo Guerra e pace. Una silloge di poesie è meglio.
  5. Leggi a voce alta. E’ un modo fantastico per coinvolgere gli altri.
  6. Usa gli audiolibri.

Eh, lo so è dura. Per fortuna, noi italiani siamo messi meglio: siccome il 40 % di noi non legge neanche un libro all’anno, l’incidenza di questa sindrome sulla popolazione è tollerabile. Per gli altri, poi, magari c’è già stato un certo Pennac che ha detto qualcosa al riguardo. Ma si sa, chiedere a un inglese di riconoscere l’esistenza di un francese è un’impresa davvero improba. Più che finire Guerra e pace senza annoiarsi.

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28

07 2008

La gente sotto il cielo sopra Berlino

L’abbiamo visto tutti e un po’ ci ha colpito, dai, non fate i cinici. In questa estate italiana stretta di lodi e lasca di pensieri, uno spettacolo come quello di Berlino fa riflettere almeno per qualche minuto. Poi, stamattina, aprendo Repubblica a pagina 2-3 ho visto una foto (la trovate anche qui, ma più piccola), e le mie riflessioni hanno preso un’altra strada. Perché tutte le persone in quella foto hanno in mano una macchina fotografica. Tutte vogliono – ovviamente – marcare la loro presenza (la loro compresenza) in quello spazio e in quel tempo. Un gesto non nuovo, non originale, ma singolarmente, positivamente unitario.
E allora ho pensato che forse questo è un altro motivo per cui il libro è considerato “vecchio”: non appaga una sete di condivisione  (avete mai provato a leggere un libro insieme a qualcuno, spalla contro spalla?), impone un’elaborazione per essere “passato ad altri” e comunque viene “passato” in modo sempre indiretto. Tutte cose intellettualmente positive, ovvio, che permettono all’individuo di crescere. Ma, senza dubbio, tutte cose che portano all’isolamento.
Banalità, direte voi. Certo. Però ieri, davanti a quel muro di obiettivi, a quella volontà di segnare – come singolo e come folla – un momento significativo, ho avuto la netta sensazione di combattere una battaglia di retroguardia. E di non avere armi così affilate.

Update: la foto grande la trovate da scriptingnews. (Grazie a pusic.)

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07 2008

Fragmenta

  • Ho perso un autore. Non risponde più al telefono né alle e-mail. Il primo caso di “fuga col malloppo” dove per “malloppo” s’intende un libro.
  • Come sempre in questo periodo, impazzano le e-mail incrociate per gli appuntamenti della Fiera di ottobre. Ci vediamo alle tre di giovedì, no, alle tre e mezzo di mercoledì, no, anzi, non potresti fare venerdì alle cinque? I messaggi più divertenti sono quelli degli americani, che si sentono sempre obbligati a scrivere 3:00pm, 3:30pm o 5:00pm. Ma perché invece non ci vediamo alle 3:00am per concludere l’”affare della Fiera”? Poi si potrebbe fare un bel pigiama-party…
  • L’altro giorno, nel momento esatto in cui venivo a sapere che non ero riuscita ad acquisire un certo libro, Last.fm ha intonato You Can’t Always Get What You Want. Mancava giusto che qualcuno si affacciasse alla mia porta dicendo: “Cicca, cicca, cicca” e poi la giornata sarebbe stata completa.
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    23

    07 2008

    Title-time

    I numeri…
    “No, c’è già quell’altro.”
    “Appunto: tira.”
    “Appunto: copia.”
    “Uh, quante storie! Non c’ha mica il copyright!”
    “E poi non mi piace.”
    “Be’, allora… I sogni di…”
    Sogno porta sfiga.”
    “E da quando?”
    “Da quando l’abbiamo usato per il libro di Robby Robbs”
    “Quello che ha le vendite con il segno negativo?”
    “Sì, tornano indietro più copie di quante ne siano andate fuori.”
    “Ma il titolo originale?”
    “No.”
    “Brutto? Intraducibile?”
    “Peggio. E’ uguale a quello di due libri già usciti.”
    “Con lo stesso travolgente successo di Robby Robbs?”
    “Più o meno.”
    “Senti, ma come si chiama la protagonista?”
    “Hmmm… Luana Frederickburg.”
    “E allora chiamiamolo I gioielli di Luana.”
    “Sì, e come sottotitolo mettiamo ‘Tutta bona e tutta tana’. Dai, ci vuole qualcosa di più raffinato, evocativo…”
    “Hai chiesto alla traduttrice se ha qualche suggerimento?”
    “No, caspita, l’ho dimenticato! Lo faccio subito!”
    “Così, se il libro va male, possiamo sempre dire che il titolo era sbagliato per colpa sua.”
    “Mi sembra un’idea geniale.”

    Ci sono momenti in cui emerge la parte peggiore degli individui: il Title-time è uno di questi.
    P.S. Ecco il post di ThePetunias’ segnalato da Zia Bisbetica nei commenti. Come sempre, merita assai.

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    17

    07 2008

    E invece non posso scriverlo

    Gentile XYZ,
    sto per dirti una cosa crudele, lo so, ma lo faccio per il tuo bene. Se non hai proprio niente – né una forma né uno stile né uno scopo né un senso purchessia – non dovresti accanirti. Ti fai del male. Fai del male a te e agli altri. Ma, credimi, soprattutto fai del male a te stesso. Perché finisci per crederti un genio in attesa di una lampada, a sua volta in attesa di essere sfregata (e, invece, nei casi più tristi, sarai tu a essere fregato). Non buttar via così le speranze (perché ne hai, vero?). Vivile in un’altra dimensione, anche onirica, magari. O fai delle foto, allenati per correre la maratona, vai in moto, impara a cucinare. Oppure ruba la grammatica di tuo figlio e, di notte, mentre lui dorme, scopri il magico mondo delle proposizioni relative o addirittura emozionati davanti all’inattesa (per te) armonia della consecutio temporum.
    Però, ti prego, non scrivere. Mai più.
    Senza rancore,
    Catriona Potts

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    08

    07 2008

    Pigro

    Talvolta basta che un paio di colleghi vadano in vacanza perché il fremito incessante del secondo piano si smorzi. E, come se volessero approvare quella pausa, le e-mail si diradano, le telefonate diventano meno insistenti, gli autori autorizzano in silenzio, i traduttori sudano in casa loro e i revisori limano nella propria.
    Hai quasi paura a pensarlo: “Ma davvero? E’ arrivato? E’ lui?”
    Ebbene sì, è lui: il pigro giorno di lettura.
    Manoscritti colpiti dalla maledizione del “lo leggo dopo” salgono alla ribalta.
    Testi urgenti vengono esaminati con rapidità.
    Libri coperti dalla polvere del tempo riemergono dagli scaffali.
    Rapporti di lettura risorgono dall’oblio.
    Così il pigro giorno di lettura avanza, lasciando dietro di sé un ufficio rinato, con meno carta e con un ordine invidiabile.
    E, anche se non hai trovato neppure una riga degna di essere pubblicata, lo ringrazi, perché ti ha riconciliato – almeno un poco – con il tuo lavoro.

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    07 2008