Archive for the ‘varie’Category

A chi vuoi più bene?

Di solito, accetto con buona grazia le critiche sui miei libri.
No, non è vero. Mi irrito profondamente. Però fingo. Perché anche questo particolare “scambio sociale” ha le sue regole, le sue forme, i suoi balletti. Come li hanno tutti gli “scambi sociali”.
Ecco perché non sopporto l’aggressione. La persona che non sa neppure come ti chiami e che inizia la conversazione dicendo: “Ah, lei è della CE XYZ? Allora, senta, a pagina 634 di Feromoni per un delitto c’è un “sé” senza accento. E’ un vero scandalo! Non bastano i calciatori e le ballerine a far scempio della lingua italiana, eh? Adesso ci si mettono pure gli scrittori! Per non parlare delle CE!” E via cantando sulle note di “Ai miei tempi…” “Non c’è più attenzione (stile, cura…)” “Adesso scrivono cani e porci, soprattutto porci” eccetera.
Come reagisco? Ovvio, mi scuso. Anche se penso quel “sé” senza accento sia seguito da “stesso”, quindi perfettamente autorizzato a non averlo, l’accento. (Verifica: è proprio così.)
Ecco perché, talvolta, noi delle CE vogliamo più bene ai libri che alle persone.

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30

06 2008

Picture yourself on a train…

“Così l’hai preso tu, quello grosso.”
“Eh, lo so, per essere grosso è grosso. Ma sai che soddisfazione prenderlo.”
“Lo volevano tutti.”
“Anche Marcello?”
“Era disposto a fare qualsiasi cosa per prenderlo.”
“Però adesso si tratta di farlo uscire.”
“Mah, non ho mica fretta. Lo tengo lì per un po’.”
“Certo, se fosse un po’ più piccolo…”
“Ma è il suo bello, essere grosso!”

Certo, il vero soggetto sarebbe un libro “conquistato” da poco.
Ma gli altri passeggeri del treno non lo saprebbero mai.
Prima o poi trovo una complice e lo faccio.

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26

06 2008

E tu, che fai?

Talvolta qualcuno mi chiede che lavoro faccio e, alla mia risposta, vedo prima apparire sulla sua faccia un velo di curiosità e poi alzarsi un muro di sconcerto. Di solito segue un silenzio imbarazzato, uno degli imbarazzi più tipici delle società “avanzate”: la fuga dalla necessità di chiedere spiegazioni. Allora cerco di spiegare io e non ci riesco quasi mai, perché, nella descrizione, tutto sembra rallentato e astratto. La progressiva montagna di libri, fogli, PDF; la lotta per portare un libro sui banchi di una libreria; la fatica quotidiana sul testo… Parlando, tutto sembra leggero, quasi divertente. E, d’altronde, come si può pretendere che un chimico industriale si appassioni alla narrazione dei mille ostacoli che hai superato per rivedere quel determinato saggio? O al fatto che un certo romanzo ti sia piaciuto tanto da doverlo assolutamente pubblicare?
Ecco perché, da qualche tempo a questa parte, mi sono arresa.
“Ah, allora leggi tutto il giorno!”
“Guarda, stavo proprio cercando un libro… [Titolo di un'altra CE] Non è che potresti procurarmelo?”
“Ma allora conosci X [autore di un'altra CE]!”
“Mah, secondo me ci sono troppi libri in giro. Però, senti, non l’ho mai detto a nessuno… Io ho scritto un romanzo davvero bellissimo. Te lo posso mandare?”
E io rispondo sempre sì.

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24

06 2008

Lutto e melanconia

Tutti, nel proprio lavoro, hanno cose che odiano in maniera tanto illogica quanto viscerale.
Nel mio caso, sono le cianografiche.
Forse ho già spiegato che le cianografiche sono l’ultimo stadio “controllabile” di un libro, il momento in cui si dà il famigerato “visto si stampi”. E’ l’ultimo pezzo di legno cui aggrapparsi per capire se c’è un concreto orizzonte alle viste (l’uscita), l’ultima speranza di vedere il refuso maligno o l’errore marchiano.
In primo luogo, le cianografiche puzzano. Terribilmente. Un odore di ammoniaca che ti entra dentro come uno spirito demoniaco e non ti molla per ore. Ti danno un immediato senso di ospedale, come se il libro che stai “licenziando” fosse un malato gravissimo, senza la minima speranza di sopravvivere.
In secondo luogo, sono difficili da maneggiare. O sono lunghe lunghe (immaginate l’estensione di due libri sovrapposti e uniti a blocchi di sedicesimi, diciottesimi eccetera) o sono sfuggenti come bisce (fogli singoli o quartini, su cartaccia, tagliati male).
In terzo luogo, richiedono un tipo di lettura straniante: verifica della successione dei numeri di pagina, verifica che l’ultima riga di una pagina continui nella prima riga della pagina seguente, verifica delle pagine bianche eccetera. E, in tutto ciò, c’è sempre la paura che l’occhio “cada” sull’errore.
Insomma non c’è niente in loro che dia un minimo di soddisfazione.
E non mi venite a dire che adesso non puzzano più (sono semplici stampate del file consegnato), che sono fogli sciolti e quindi meglio gestibili, che il maggiore controllo sul testo ha reso quasi inutile la lettura straniante.
E non m’importa neppure che, di cianografiche, io non me ne occupi quasi più.
Io continuo a odiarle.
E so benissimo che nonno Sigmund avrebbe qualcosa da dire al riguardo.

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18

06 2008

Vorrei e non vorrei

Che poi mi piace anche, intendiamoci. Sapere che un nutrito gruppo di papaveroni mi ascolterà tessere le lodi dei miei libri non può non essermi gradito. Il fatto che ciò divori tempo ed energie, invece, mi piace un po’ meno. Più di due giorni di lavoro persi fra trasferimenti (perché bisogna fare queste cose nei posti chic) cene “raffinate” (perché se non c’è il tartufo si muore di fame), chiacchiere vane fin dalle prime parole (“Ah, piacere…”). E uno show che, se va bene, dura quindici minuti (e Andy Warhol non c’entra niente).
E’ che talvolta il mondo delle CE vuol far vedere che non ha nulla da invidiare agli altri mondi, quelli in cui girano davvero un sacco di soldi. Mondi che, per altro, ovviamente, se ne fregano delle CE.
Cosa ci volete fare? Oggi sono così, in modalità “artigianale”. Vorrei assoldare attori in grado di magnificare con voce impostata i miei libri, mentre io me sto a leggerne altri. Vorrei che le teleconferenze fossero una realtà concreta. Oppure vorrei parlare con quei papaveroni a uno a uno, ascoltando le loro domande e replicando a obiezioni (o a lodi) concrete.
Invece mi farò ispirare da Dorothy Fields e Jerome Kern “… Work like a soul inspired until the battle of the day is won. You may be sick and tired, but you be a man, my son.”
Va be’, sono donna, ma vale lo stesso, no?

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16

06 2008

Vanitas

Potrà pure essere l’autore/l’autrice più pacato/a, umile e gentile, meno incline a contestarti anche le modifiche più massicce (“Massì, hai ragione: tagliamole, quelle quaranta pagine…”), ma ci sarà sempre un momento del percorso in cui diventerà uno strazio trattare con lui/lei: la foto.

Io: Mi mandi una tua foto? [Te l'ho già chiesta almeno venti volte, ma pazienza]. Ne abbiamo bisogno per la promozione.
Lui/Lei: Uh, ma vengo sempre così male!
Io: Ma non è vero! Ho visto quelle della presentazione alla libreria Tuttilibrieanchepiù: sembravi George Clooney/Nicole Kidman.
Lui/Lei: Va be’, adesso ne cerco una… Ma sarà difficile…

[Passano tre giorni]

Io: Scusa, ma avrei bisogno della foto…
Lui/Lei: Senti, avevo pensato… E se te ne dessi una di quando avevo sei-sette mesi? Ero così bellino/a…
Io: Non ti sembra un po’… inadatta al tuo saggio sulla storia del Gambia nel Sedicesimo secolo?
Lui/Lei Eh, forse sì.

[Passano altri due giorni]

Io: Mi spiace davvero disturbarti, ma la foto sta diventando urgente…
Lui/Lei: Guarda sono giusto andato/a dal barbiere/dall’estetista [In realtà anche lui è andato dall'estetista, ma non lo dice] e adesso arriva un mio amico fotografo bravissimo che mi fa un po’ di scatti. Poi te li mando, eh?
Io: Va bene.

E, in effetti, un paio di ore dopo, arrivano le foto. L’autrice pacata e gentile sembra una leonessa stanca di farsi bistrattare da Moira Orfei e decisa a prenderne il posto: kajal come se piovesse – e infatti sembra che le sia piovuto in faccia -, pettinatura cotonata e posa aggressiva con tanto di mani adunche. L’autore pacato e gentile sembra il braccio violento di Lucifero o qualcuno a cui hanno appena chiuso le dita in una portiera: grugno minaccioso – con tanto di sopracciglia unite – che spunta da un maglioncino dolcevita nero, braccia incrociate sul petto e gambe in un’inequivocabile posa da “mi scappa”.

Sapranno entrambi soltanto a cose fatte che mi sono fatta mandare le foto della presentazione in libreria in cui appaiono pacati, gentili e soprattutto loro stessi. E che ho usato quelle.

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12

06 2008

Moltiplicazioni e sparizioni

Non c’è verso. Non appena ti distrai, la carta si moltiplica. Da sola. Ti allontani per dieci secondi dalla scrivania e, quando ci torni, sopra le bozze che avevi lasciato – 428 pagine, mica una sillogetta di poesie, eh? – si sono improvvisamente materializzati:
1) Due manoscritti arrivati per posta.
2) Tre libri che hai già letto e rifiutato, ma che l’AA ti rimanda insieme a una trentina di fotocopie di articoli usciti sull’autore, perché forse la recensione positiva del North-South-West Journal ti farà cambiare idea…
3) Un layout di copertina che ti fa puntualmente esclamare: “Ma chi ha scelto quest’immagine orribile?” (Ovvia risposta: l’hai scelta tu.)
4) Un paio di patinatissimi cataloghi oversize di CE straniere.
5) Un post-it con sopra scritto: “Sono arrivati i quattro romanzi bulgari che avevi chiesto. Vuoi leggerli?”
6) Un pacco di altre bozze (564 pagine).
E mentre smonti quella torre precaria, pezzo per pezzo, sei certa soltanto di una cosa: la pagina di bozze più tempestata di correzioni, quella che hai impiegato un quarto d’ora per mettere a posto, sparirà dentro uno dei due manoscritti o in mezzo agli articoli fotocopiati o dentro un catalogo o all’interno del nuovo pacco di bozze. E tu la ritroverai soltanto a libro stampato e pubblicato.

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11

06 2008

Sonde

Negli ultimi tempi, stanno aumentando quelle che io chiamo “sonde”: “Ho buttato giù questa idea…” “Mia mamma mi ha detto che dovevo inviare questo racconto…” “Vorrei soltanto sapere cosa pensate del mio stile…” “Mi piacerebbe sapere se ho un futuro, quindi vi mando le prime due pagine di un romanzo che non ho ancora finito, ma che è il primo capitolo di una trilogia…”
A parte che nessuno si sognerebbe di andare da un avvocato, chiedergli un parere e poi andarsene senza aver pagato la parcella (capite cosa voglio dire, vero?), mi colpisce quanto sia vago il concetto di (nostro) tempo disponibile e di (nostra) professionalità che emerge da queste proposte. E’ l’audizione della velina-scrittore, quello che cercano? Ti sventolo sotto gli occhi due chiappe righe, balbetto qualche banalità e tu mi scegli perché faccio “sensazione”? Mah. Talvolta mi viene un impulso perverso: e se, a una di quelle filiformi “proposte”, dicessi di sì? Cosa proverebbe il/la prescelto/a? E, soprattutto, cosa scriverebbe?
Ma mi passa subito, eh.

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09

06 2008

Endorsement

Prima che qualcuno mi accusi di voltagabbanismo, annuncio il perché del cambio del mio (ovviamente del tutto inutile) endorsement, testimoniato dal nuovo widget. In realtà, non era poi così importante che, a ottenere la nomination, fosse Barack Obama o Hillary Clinton. Semplicemente mi sembrava che fosse arrivato il momento di una donna presidente degli Stati Uniti, se non altro per meriti di guerra (lottiamo da molto più tempo della minoranza nera, insomma).
Ecco, adesso potete tornare alle vostre occupazioni con rinnovata tranquillità, vero?

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04

06 2008

Saudade

Ecco fatto. Il 2008 è chiuso. No, non sono impazzita definitivamente. E’ che, a parte qualche piccolo aggiustamento, la strada è decisa, segnata e asfaltata.
E’ arrivato il momento di guardare indietro.
Sì, anche avanti, ma soprattutto indietro.
Perché, nei cavernosi magazzini, ci sono le torri nere.
I libri invenduti e tornati alla CE.
E’ ora di capire quante torri vanno abbattute e bruciate e quante invece vanno semplicemente ridotte di uno o più piani.
Riunioni fatte di sospiri, silenzi e scaricamenti di barile a raffica. “Era un libro difficile…” “Uh, che brutta copertina aveva…” “Ha avuto poche recensioni…”
Così i cavernosi magazzini si svuotano. Momentaneamente.
E tu ti riempi di una saudade così intensa che ti senti il figlio (illegittimo) di Amália Rodrigues e Vinicius de Moraes.

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04

06 2008

Spett. CE Sigmund Freud

Lo so, nei soltanto oggi scherzo spesso su chi mi manda proposte bizzarre o addirittura senza capo né coda. Ma sempre più spesso mi trovo veramente in imbarazzo perché non è raro che quelle proposte “letterarie” abbiano tutto l’aspetto di trascrizioni di una seduta psicanalitica. Il desiderio di parlare di se stessi è così forte e gli strumenti espressivi sono così deboli che la maschera della terza persona, del nome diverso dal proprio, cade quasi all’istante, rivelando come l’impalcatura della storia sorregga (ok, vorrebbe sorreggere…) soltanto una volontà di descrivere atti sessuali, normali o trasgressivi che siano. E, come dicevo, la cosa mi imbarazza, e ovviamente non per le descrizioni in sé, ma per quello che ci sta dietro, per la sottesa speranza dell’autore di condividere con il mondo queste (sue) pulsioni.
Ho letto Freud, ho osservato per anni la dottoressa Melfi, ho visto tutto In treatment… ma davanti a questo tipo di arruffata sublimazione mi sento intellettualmente disarmata. E anche un po’ guardona.

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30

05 2008

You wanna know why, and there’s no why

Il Signore, creato che ebbe ogni cosa, “siate felici” disse ai suoi figlioli Adamo ed Eva. Ma pochi giorni dopo il Signore si batté la fronte. Ho creato il sole, il mare, gli alberi, gli animali e mi sono dimenticato di creare… il libro. Oh, che distratto.”
Adamo si fece rosso e disse: “Signore, se me lo pubblica, ne avrei pronto uno.”

Questa bellissima “vignetta” (lo so che non è disegnata, ma mi sembra la migliore definizione) l’ho recuperata non dalla sua fonte originaria [l'Almanacco letterario Bompiani (1931)], ma da un libro uscito da pochissimo: I mestieri del libro di Oliviero Ponte di Pino (Milano, TEA, 2008), che mi ha tenuto compagnia in questi giorni di “missione”. E’ sempre straniante (e singolarmente istruttivo) vedere scritto e de-scritto quello che fai tutti i giorni, quindi ve lo consiglio se volete dare un’occhiata alla macchina che sbuffa, stride e macina parole (ma non solo), stando ben nascosta dietro la pagina stampata.

Ah, il titolo del post. E’ una battuta di Destini incrociati (Random Hearts, 1999): perché lunedì è morto Sydney Pollack, un artista che ha lavorato col cuore e con la testa, che non si è mai vergognato a mostrare emozioni e sentimenti, che ha voluto sempre scommettere sulla possibilità di raccontare i rapporti umani (e spesso ha vinto). Uno degli ultimi, veri registi, insomma. Peccato.

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29

05 2008

Giorni così

No, perché ci sono dei giorni così. Dei giorni che hai giusto una pausa-twitter (140 secondi) perché da domani a giovedì devi andare in doppia missione per la CE e quindi oggi ti devi “portare avanti” (ma avanti dove?)
Poi scopri che, nello stesso giorno così, ThePetunias e Soncini ti rubano il blog-lavoro (i link li metto dopo, la pausa sta per finire). E lo fanno molto meglio di te.
Inoltre, sempre nello stesso giorno così, ti arriva l’ennesimo pacco con l’ennesimo manoscritto. Ma senza nome, senza indirizzo. Soltanto con un numero di cellulare. E tu non hai nemmeno la forza di ridere.
Ma soprattutto, nello stesso giorno così, sai che ce ne saranno molti altri, di giorni così.
E che non ti sarai neppure “portata avanti”.
Cordiali ossequi (cit.) e a presto.

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22

05 2008

Ameno*

“Ameno” definirei il correttore di bozze che “bisciola” (segna con un lungo, ondeggiante tratto a matita) una pagina e mezza di un romanzo straniero e, a fianco, scrive: “Mi sembra che questa parte sia superflua”.

“Amena” definirei la traduttrice che, in ritardo di più di un mese sulla consegna del lavoro e dopo essere scomparsa come non riuscirebbe a fare neanche un tic-tac nella calotta artica, ci manda una email dicendo: “Scusate, ma ho avuto molto da fare e mi sono ricordata soltanto ieri della traduzione.” Non della consegna, ma della traduzione.

“Ameno” definirei il curriculum che arriva per email senza oggetto e senza firma e, se provi ad aprirlo, ti chiede la password.


* No, non è La Settimana Enigmistica, dunque non mi sto riferendo al Lacco.

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20

05 2008

Transforming rats in translation

At the Words without Borders weblog Arnon Grunberg describes his experiences at Dutch Translation Workshops in Italy — highlighting yet more translation issues:
In Naples the students pointed out a sentence in my second novel Silent Extras. In this sentence I use the word “rat” three times.
My Italian translator translated the first “rat” with “rat,” the second “rat” with “mouse” and the third “rat” with “small mouse.”
The students explained that word repetition in the Italian language is problematic; according to some students it is something that cannot be done in the written language.
On the one hand, I respect the choices my Italian translator made. On the other hand, it is puzzling how a rat can become a small mouse in the space of one sentence.

Mah, forse non ha tutti i torti…
(via the Literary Salon)

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17

05 2008

Pensaci

“A person who publishes a book willfully appears before the populace with his pants down…. If it is a good book nothing can hurt him. If it is a bad book nothing can help him.”

Edna St. Vincent Millay

“Writing is like getting married. One should never commit oneself until one is amazed at one’s luck.”

Iris Murdoch

“When you publish a book, it’s the world’s book. The world edits it.”

Philip Roth

No, così, tanto per far riflettere prima di mettere il francobollo sulla busta o premere send.

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14

05 2008

Verità

Sto fissando l’email che mi è appena arrivata. Un messaggio precario nei contenuti ed esitante nella forma, a causa anche della brutta abitudine (la definisco così perché la vedo sempre più spesso) di lasciare uno spazio prima del segno di punteggiatura (così , vedete ?)
Cosa posso dire? Sì, ho voglia leggere il tuo romanzo? Certo, mandamelo?
Cosa mi aspetto?
Cosa aspetti tu, che ti firmi con “cordiali ossequi” e scrivi il cognome prima del nome?
Be’, una cosa è certa: io non sono convinta che “se l’hai scritto, deve essere pubblicato”.
Quindi: sì, mandamelo.
Prometto che ti dirò la verità. Non assoluta, non definitiva, ma almeno verità.

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13

05 2008

Scoramen-to

La curiosità vorace, il naso affondato nelle pagine, il sorriso beato che dice: “Oh, l’ho trovato!”, gli occhi sgranati davanti all’ennesimo stand… No, quest’anno ho visto consumarsi raramente questi riti. In più sono scomparse le borse. Certe CE le davano ugualmente, ma in giro non c’erano quei bei sacchettoni gravidi di carta, trascinati con fatica pari soltanto all’orgoglio. Persino la tradizionale corsa al catalogo è stata annullata per mancanza di concorrenti.

Frase più frequente: “Questo lo compro dopo.”

Frase più incredibile: “No, non prendo niente, perché non c’è niente che mi attira davvero.”

Ci sono sempre quelli che, nello stand della CE più grande d’Italia, dopo aver passato le forche caudine delle mamme che tengono la mano al figlioletto, dopo aver subito un trapianto di fegato per via delle gomitate, dopo aver rischiato il soffocamento da valanga cartacea, s’impadronscono della copia del libro-in-cima-a-tutte-le-classifiche e se ne vanno in giro come se avessero acquistato un autografo di Dante (peraltro presente… l’avete visto?).

Mr Potts, al contrario, è uno di quelli che dà soddisfazione a una CE. A un certo punto, è arrivato con un sorriso trionfante, brandendo Gli articoli di Smalcalda. I fondamenti della fede (1537-38). In appendice: Trattato sul primato e l’autorità del papa (1538) , volume che, come tutti sapete, sebbene sia il bestseller di Martin Lutero e Filippo Melantone, inspiegabilmente non viene spesso ristampato.

Per l’ennesimo anno, assenti ingiustificate panchine, sedie o altre superfici “sedenti”. Ma si sa, il pubblico è ggiovane e si accoccola per terra. E infatti il pubblico “vecchio” si faceva coccolare sui divanetti del Meridien, l’albergo-dentro-la-fiera-dentro-l’albergo. A un certo punto, si sono materializzati: Valentino Parlato, Raffaele La Capria, Javier Marías, Edoardo Sanguineti e un super-super dirigente editoriale. Aggiungeteci la sottoscritta e gli autori della sottoscritta, e capirete perché l’aria era così densa di cultura da mozzare il respiro.

Assioma di Torino: I miei autori sono i più simpatici.

Teorema di Torino: la persona che hai evitato per un anno intero e che credi di essere riuscito a evitare grazie a studiatissimi percorsi labirintici, sarà quella dietro di te nella fila per il bagno.

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12

05 2008

Appuntamento

Ogni anno arriva Torino e ogni anno si sbuffa. Perché per noi delle CE è come entrare in un supermercato… grande cinquanta volte quello in cui facciamo abitualmente “la spesa”. A differenza di Francoforte, poi, non c’è neppure il brivido del libro ungherese “che nessuno ha letto e che noi faremo diventare un bestseller”, non c’è il briciolo di soddisfazione nel vedere il megaposter col ritratto dell’autore che hai amato, pubblicato e che in Germania è diventato un bestseller (ma in Italia no), non c’è la roulette russa delle offerte sul prossimo libro spacca-classifiche.

E’ tutto tranquillo: incontri fra amici, passeggiate oziose, sguardi elegantemente pacati sulle copertine (e sui successi) degli altri. L’unico sussulto lo provi quando osservi il passante distratto che prende in mano il libro su cui hai versato lacrime e sputato sangue per poi rimetterlo a posto con aria vagamente annoiata. Allora vorresti corrergli dietro e gridargli: “Si può sapere cosa non ti è piaciuto? La copertina? La bandella? Il nome dell’autore? Il titolo? Il formato? Il carattere? Vuoi meno interlinea? Vuoi margini più ampi? Vuoi un giallo più giallo? Un rosa meno rosa? Un saggio che non sembra un saggio ma sembra un romanzo che sembra un saggio? Dimmelo, maledizione!”

Questo per dire che, da oggi, sono lì. Per trovarmi, basterà andare in giro inalberando un cartello con su scritto “CATRIONA!” (Le maiuscole sono fondamentali). Mi materializzerò all’istante. ;-)

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08

05 2008

Quasi

Massì, in fondo ha ragione. Chi? Ma il grigiocrinito, l’autore dalla parlata dolce e dallo sguardo ammaliante che ha generato più tentativi d’imitazione della Settimana enigmistica. E’ vero che oggi (quasi) tutto è a disposizione e che si legge di più – quantitativamente – rispetto al passato. I nostri genitori dovevano ordinare al libraio “il vincitore dello Strega”. Oggi manca poco che ti arrivi per email (non richiesto). Anche chi non vive in una grande città, sempre più spesso ha un centro commerciale (con libreria) vicino oppure ha internet. E trova (quasi) ogni cosa. Anzi, talvolta non può nemmeno evitare di trovarla. Pensate all’”ultimo” libro dell’autore grigiocrinito: è uscito a puntate su un importante quotidiano, poi allegato al giornale stesso, poi presso la CE X e adesso presso la CE Y. Con tanto di richiamo televisivo. Come ignorarlo?
No, non fate quella faccia. Non ho (quasi) niente contro l’autore grigiocrinito. Certo, se smettesse di parlare di cinema (allestendo una vera fiera delle banalità oltre che delle vanità) e se si dedicasse a diffondere la lettura invece della scrittura mi piacerebbe di più. Insomma, diciamo che mi va quasi bene. E’ già qualcosa.

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05

05 2008

Zac, zac!

In Italia (ma anche in molti altri Paesi) si fa così: il libro esce in edizione rilegata e, dopo qualche tempo, viene riproposto in edizione economica. In questo caso, può essere ristampato oppure vengono riutilizzate le copie invendute.
Mi sembra abbastanza semplice e intuibile. Una specie di riciclo, se volete.
E allora perché – perché? – c’è ancora gente convinta che il libro in edizione economica costi meno di quello rilegato perché ne sono stati tagliati via dei pezzi?
E perché deve esporre tale teoria, con sufficienza spocchiosa, quando io sono nei paraggi?

“Chiamatemi Ismaele.”
Hmmm… Tanto poi viene detto che nome ha, no? Via, zac, zac!

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a suo modo.”
Uh, che noia questi incipit sentenziosi! Via, zac, zac!

“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello…”
‘Sti scrittori, risalgono sempre al tempo che Berta filava… Via, zac, zac!

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30

04 2008

Desiderata

Una delle lamentele più insistenti sui libri riguarda le copertine. Troppo scure, troppo chiare, troppo esplicite, troppo criptiche, troppo generiche, troppo di nicchia, “Fa veramente schifo…”, “Se la davate a me ve la facevo meglio…” eccetera.
Capisco.
Ma vorrei dirvi una cosa: la copertina non esiste.
Esistono occhi e mani che la creano con un’idea in testa, un’idea carica di formazione, cultura, gusto personali. Esistono occhi che la approvano secondo la loro formazione, la loro cultura, il loro gusto. Ed esiste, ovviamente, un libro a cui essa si riferisce, un libro che è stato scritto con uno o più intenti, e pubblicato magari con gli stessi intenti oppure con altri. E infine (non è vero, ci sono altri elementi, ma semplifico) esiste un potenziale lettore che guarda quella copertina carico della propria formazione, della propria cultura, del proprio gusto.
La copertina non esiste. Esistono mille copertine per un unico libro. E spesso la copertina scelta stringe, comprime, assomma quelle mille.
La prova? Ecco la copertina russa, tedesca e serba dello stesso bestseller.

Belle? Brutte? Certo, dare un giudizio (magari senza conoscere il libro, ma anche conoscendolo) è un impulso tanto irrefrenabile quanto giusto. E che ha la stessa forza di quello che ha guidato la creazione della copertina. Talvolta i due impulsi coincidono, talvolta no. E l’unico arbitro è la speranza di offrire, con una copertina, qualcosa di adatto al libro e al pubblico a cui si rivolge.
Insomma: non se ne esce. Sapevatelo.

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24

04 2008

(spazi inclusi)

Caso 1: romanzo
pagine: 177
caratteri (spazi inclusi): 705.672
paragrafi: 2.902

Caso 2: saggio
pagine: 104
caratteri (spazi inclusi): 413.552
paragrafi: 2.536

Caso 3: manoscritto (romanzo)
pagine: 100
caratteri (spazi inclusi): 390.981
paragrafi: 140

Talvolta basta usare Word per capire che c’è qualcosa di fondamentalmente errato in un manoscritto che l’autore ha inviato alla CE insieme a una lettera in cui lo definisce: “frizzante, vivacissimo, con tanti dialoghi.”
Perché, arrivata alla terza pagina-colata-di-piombo, piena di elucubrazioni ombelicali, senza trama percettibile, senza protagonista rintracciabile e senza neppure un a capo, qualche dubbio viene, eh.

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23

04 2008

Prismi e antiprismi

Certo che deve essere davvero faticoso, per chi non legge, entrare in una libreria: un’infinita serie di parallelepipedi tutti uguali, differenti soltanto nel colore e nelle dimensioni: scatole chiuse, enigmatiche, impossibili da “provare”. Che differenza con i negozi d’abbigliamento, in cui si può sperimentare l’istantanea gratificazione dell’indossare, del vedere “se piace”. O con i negozi di alimentari, in cui persino le scatole ermeticamente chiuse evocano comunque qualcosa di conosciuto e, spesso, di gradevole.
Quindi pensavo: e se cambiassimo la forma dei libri? Se per esempio li incastrassimo tutti dentro prismi e antiprismi?
No, scusate, ma guardare i numeri delle vendite dei libri fa venire idee per lo meno bislacche…

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22

04 2008

Week-Continuum

Ma vi sembra possibile che la gente delle CE lavori di sabato e di domenica e per di più a orari assurdi, neanche ci dovessimo scambiare informazioni vitali? Ecco l’elenco delle e-mail trovate stamattina:

messaggio inviato sabato 19 aprile ore 19.20: comunicazione dai responsabili del marketing
messaggio inviato sabato 19 aprile ore 21.13: manoscritto di un autore già della CE (dall’Inghilterra)
messaggio inviato sabato 19 aprile ore 23.56: manoscritto (dalla Germania)
messaggio inviato domenica 20 aprile ore 9.34: manoscritto (da AA italiano)
messaggio inviato domenica 20 aprile ore 13.09: comunicazione dai responsabili del marketing (correzione della precedente)
messaggio inviato domenica 20 aprile ore 16.23: manoscritto (dall’Inghilterra)

Ovviamente nessuno di questi messaggi era particolarmente urgente. Mi chiedo se sia così ovunque, se in qualsiasi lavoro – e a qualsiasi livello – ci si trovi intrappolati in un simile continuum temporal-testuale. O è il troppo leggere che ci ha dato alla testa?

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21

04 2008

Bilancia

Lato positivo: Non li ho pagati, anzi sono pagata per leggerli.
Lato negativo: Non avrei mai pagato per leggerli (per leggerne la maggior parte, almeno).

Lato positivo: La CE non ha speso soldi per comprarli.
Lato negativo: E il prossimo anno cosa pubblichiamo?

Lato positivo: La definizione di “porcheria” si è arricchita di nuove, insospettabili sfumature.
Lato negativo: Ho buttato via parecchi giorni in letture inutili.

Lato positivo: Due o tre non erano poi così male.
Lato negativo: “Ma sei matta? Sono troppo cari!”

Lato positivo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.
Lato negativo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.

Così, ogni anno, passata la bufera burianesca di una fiera, si tirano le somme.
E la sensazione non cambia mai: il libro che non hai letto – o hai scartato – supererà le vendite della Bibbia.

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04 2008

Piccolismo

Ogni tanto vado in giro per siti. Sapete, quei siti che si offrono come vetrina agli esordienti scrittori per renderli, appunto, visibili. Ottima idea, in sé. E funzionante, pure, dato che una “professionale” come me ci va a curiosare. Così scorro qualche testo, animata da una flebile speranza… ed è allora che, diretta come un pugno in un occhio, mi colpisce l’assoluta vanità di quelle proposte. Non voglio neanche parlare degli intimisti, di quelli che vogliono scrivere l’Opera Letteraria. Parlo invece di quelli che si confrontano con i modelli narrativi più popolari e comuni (giallo, noir, rosa…) C’è un piccolismo (lo so, non esiste, ma rende l’idea) in quei testi che davvero mi turba. Come se, per dire, Georges Simenon, Dashiell Hammett e Barbara Cartland fossero sì famosi, ma per qualcosa che non ha nulla a che vedere con la pagina scritta. Come se qualcuno sostenesse di essere appassionato di montagna e, senza aver mai neppure visto di persona le Dolomiti, fosse sicuro di poter scalare l’Everest. Da zero a ottomila, insomma.
Poi mi fermo a riflettere e mi rendo conto che un unico filo unisce tutti quei testi: il desiderio, l’impulso, la voglia, la necessità di parlare di se stessi, però soltanto per proiettarsi in vicende misteriose o esaltanti, per sentirsi finalmente protagonisti di qualcosa, per dare un senso più “movimentato” alla propria normalissima esistenza. Ed è la cosa che mi rattrista di più.

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17

04 2008

Il verbo è “allegare”

“Vi annetto il mio manoscritto…”
“Qui in calce il mio romanzo…”
“Associo a questa mail il mio saggio…”
“Unisco alla Presente (sic!) la mia proposta di romanzo…”
“Connetto il mio testo a questa email…”

Oggi, su un importante quotidiano, leggo: “La frase che si scrive deve avere insomma un suo ritmo, una sua agilità, come il fraseggio di un grande compositore musicale; deve avere un’anima, deve vibrare.” E si parla di articoli di giornale, non di letteratura. E si parla di un corso che dovrebbe insegnare a scrivere. E allora un po’ mi irrito: dove caspita trovo l’anima se non so neppure riconoscere la forma, usare la singola parola?
Ma si sa: illudere la gente è sempre un ottimo modo per tenerla quieta.

Nota di servizio. Sì, ho cambiato le mensole e tinteggiato le pareti per rendere tutto più semplice e lineare. A poco a poco sistemerò pure i dettagli.

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16

04 2008

Torri

Qual è la cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto?
“E’ orribile”?
No.
“Non venderà una copia”?
No.
“Non lo pubblicherei [avrei pubblicato] neanche se fosse [fosse stato] l’ultimo testo scritto sulla Terra”?
No.
La cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto è:
“Lo leggo dopo.”
Pensateci. Avete comprato un libro per un qualsiasi motivo e siete convinti che lo leggerete. Magari non subito (ce ne sono altri!), però prima o poi… Eppure, a poco a poco, quel libro scivola sempre più in basso nella torretta che avete sul comodino o sulla scrivania. Ogni tanto guardate la costa e sì, rammentate il perché l’avete comprato. Ma è un pensiero sempre più vago, sempre meno pressante, che finisce con un “Mah, sì, però lo leggo dopo.” Passano i mesi e il libro è sempre lì. Non raccoglie polvere soltanto perché è alla base della torre, ma è come se fosse coperto da un velo di nebbia. E, alla fine, durante le pulizie di primavera o in un attacco di furore ordinativo, lo prendete e lo mettete su uno scaffale, pensando: “Eh, pazienza, vuol dire che lo leggerò in un altro momento.”
Anche con i manoscritti succede così ed è quasi più triste. Perché se un testo non riesce neppure a suscitare un minimo di curiosità, quel pizzico di interesse che ti fa dire: “Ne leggo qualche pagina, tanto per vedere com’è”, allora vuol dire che ha ben poche speranze di diventare un libro. Mi scuso dunque pubblicamente con i manoscritti (i libri) e con i loro autori, ma qualche volta il loro destino – almeno per quanto mi riguarda – non può che essere l’indifferenza.
E su questa nota allegra vi lascio: la mia missione al servizio di sua maestà dovrebbe durare fino a mercoledì. Se non mi faccio più viva, vuol dire che ho scelto l’esilio (e da come si prospettano certe cose, forse è un destino auspicabile). Intanto ragionate su quello che c’è scritto qui.

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11

04 2008

Oddest title of the year

Ovviamente c’è un premio anche per questo.
Il vincitore del Diagram Prize for Oddest Title of the Year di quest’anno, con 8500 voti, è If You Want Closure in Your Relationship, Start With Your Legs di Big Boom (che dite, è uno pseudonimo?) con 2870 voti. Il secondo posto è andato a I Was Tortured By the Pygmy Love Queen, il terzo a Cheese Problems Solved e il quarto a How To Write A How To Write Book. (Per qualche informazione in più, vi rimando all’articolo del Guardian).
Bah, a me è sembrato un anno fiacco. Nel 2003, per esempio, i contendenti erano:
227 Secrets Your Snake Wants You To Know
Celtic Sex Magic: For Couples, Groups and Solitary Practitioners
Design for Impact: 50 Years of Airline Safety Cards
Hot Topics in Urology
The Voodoo Revenge Book: An Anger Management Program You can Really Stick With
E il vincitore?
The Big Book of Lesbian Horse Stories.

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08

04 2008

Classificando

Mi sto divertendo molto a leggere le polemiche sulla classifica di BlogBabel, e non per le polemiche in sé, ma perché mi hanno fatto pensare a come potrebbe essere un diverbio tra scrittori riguardo alle classifiche di vendita. Direi più o meno così:

Autore 1: Tu sei alto in classifica, ma sei privo di contenuti!
Autore 2: Lo dici soltanto per invidia.
Autore 1: Nel mio libro, ho messo tre citazioni di Baudrillard e due – occulte – di Derrida. E un mio amico ha detto che gli ho ricordato il primo Henri Fauconnier.
Autore 2: Nientemeno. Scusa, ma… quante recensioni hai avuto?
Autore 1: Le recensioni non contano. Conta il consenso popolare.
Autore 3: Ah, se per quello, ne ho avuto di più io!
Autore 2: Zitto tu, che nella classifica di Popoloscopia sei al 66° posto.
Autore 1: Ah, adesso la classifica di Popoloscopia ti va bene? Perché allora, in quella classifica, io sono 23° e tu sei 54°.
Autore 2: Anzitutto tu parli della classifica della settimana scorsa. Vedrai come cambieranno le cose, in questa. E poi quella classifica va pesata. Spesso un 54° posto con tre recensioni vale più di un 23° con zero recensioni.
Autore 3: Tre recensioni? Un boxino su Valdiniente oggi, un articolo su Casasemprepiùpulitaebella e quattro righe su Eleganzz!
Autore 2: Eh, io mica mi faccio pubblicità. Tutte recensioni spontanee, quelle. Vedo che ci sei stato attento, comunque, eh?
Autore 3: Quello di Eleganzz voleva darmi una pagina intera, ma qualcuno si è opposto.
Autore 1: Si è opposto perché il tuo libro è privo di contenuti!
Autore 2: E basta, con ’sti contenuti! Cos’è, vuoi farti sponsorizzare da qualche ditta di pelati?
Autore 3: Aspettate che la gente abbia letto tutto il mio libro, e poi vedremo come cambia la classifica!

(e via così, ad nauseam…)

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26

03 2008

Classificazione

Readers may be divided into four classes

  1. Sponges, who absorb all they read and return it nearly in the same state, only a little dirtied.
  2. Sand-glasses, who retain nothing and are content to get through a book for the sake of getting through the time.
  3. Strain-bags, who retain merely the dregs of what they read.
  4. Mogul diamonds, equally rare and valuable, who profit by what they read, and enable others to profit by it also.

Samuel Taylor Coleridge (1772-1834)

E’ forse un modo un po’ antiquato di concepire la lettura, frutto di un’epoca in cui le sollecitazioni intellettuali arrivavano in massima parte dalla parola scritta e orale. Però questa classificazione continua a piacermi come la prima volta in cui l’ho letta. Anche perché mi trovo a mio agio in qualsiasi categoria, pure in quella delle sand-glasses. Ma soprattutto mi piacciono – e ovviamente m’identifico con – le parole usate da Coleridge: quel rilasciare la conoscenza acquisita only a little dirtied e persino quel trattenere soltanto i dregs mi sembrano ben rispecchiare il modo in cui legge chi legge per lavoro. Anche se chi legge per lavoro s’illude ogni tanto di poter diventare – almeno una volta – un mogul diamond.

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21

03 2008

Meno è meglio

Ma per quale motivo i manoscritti americani sono in corpo 16, con interlinea doppia e con intestazioni alte 12 centimetri? E spesso sono manoscritti di autori già pubblicati, che quindi non devono dimostrare di aver scritto tanto per impressionare l’editor di turno. L’unico vantaggio – per me – è che quando riesco a passare da 450 pagine a 150 (leggibilissime) mi sento sempre molto “verde”. Purtroppo non sono in molti a farlo. Ecco perché trascorro lunghi, interminabili minuti a fissare la stampante centrale, che sputa fuori pagine deliziosamente candide a parte 10-12 righe di testo. E, quando mi stanco di aspettare, annullo la mia stampata e leggo a video. Una cosa che, vi assicuro, non è affatto stancante come molti credono.

Ma per quale motivo chi ti manda un curriculum per diventare traduttore deve mettere tutte le sue esperienze lavorative, compreso che dal 15 gennaio 2001 al 19 febbraio 2001 ha fatto il cameriere nel ristorante Un Ovale sul Mare (tutto maiuscolo!), che nei weekend della primavera 2003 è stato incaricato di porgere le bottigliette d’acqua ai ciclisti della Polisportiva Ruota e Cavalletto (tutto maiuscolo!) e che adesso è docente di un corso serale di Definizione e Tecnica della Pratica Fittile (tutto maiuscolo!)?

Ma per quale motivo chi ti fa un’intervista ti blocca un’ora al telefono, ti fa parlare fino a sgolarti, ti fa raccontare pure dei primi dentini che hai messo e della prima parola che hai detto, ti chiede dati antropometrici, radici quadrate di numeri a nove cifre, quali sono tue verdure preferite e che forma hanno i bottoni del tuo pigiama e poi riporta soltanto la frase più insulsa e banale che ti è scappata in un breve istante di calo di zuccheri (e di pazienza)?

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20

03 2008

Mantra

I am only one, only one, only one. Only one being, one at the same time. Not two, not three, only one. Only one life to live, only sixty minutes in one hour. Only one pair of eyes. Only one brain. Only one being. Being only one, having only one pair of eyes, having only one time, having only one life, I cannot read your MS three or four times. Not even one time. Only one book, only one look is enough. Hardly one copy would sell here. Hardly one. Hardly one. Many thanks. I am returning the MS by registered post. Only one MS by one post.

(lettera di rifiuto scritta a Gertrude Stein dalla sua editor, A. J. Fifield)

Ogni volta che pensate male di una CE, o del fatto che non abbiano ancora risposto al vostro manoscritto, pensate anche che questo è il nostro mantra.
Anzi, visto che ieri sono uscita dalla CE alla 19.49 accompagnata da tre manoscritti urgenti da leggere, direi che al momento è soprattutto il mio.

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19

03 2008

Soundtrack

Per consolarmi dell’incidente, una gentile collega mi ha passato questa “cosa”. Magari è vecchissima e voi l’avrete fatta un sacco di volte, ma io no.

Il soundtrack della tua vita

Metti il tuo lettore mp3 in modalità shuffle e schiaccia play. Quindi scrivi il titolo della canzone accanto al primo “avvenimento”. Passa alla canzone successiva e scrivi il titolo accanto al secondo “avvenimento” e così via. Ovviamente è vietato saltare una canzone per andare a un’altra più “adatta” (io però ho saltato i pezzi di musica classica). Altrettanto ovviamente si possono aggiungere, togliere e modificare gli “avvenimenti”… L’importante è non barare.

Titoli di testa The hardest part (Coldplay)
Nascita Bethena (Scott Joplin)
Prime parole/primi passi Octopus’s Garden (The Beatles)
Scuola You may be right (Billy Joel)
Primo amore Rubycon-Part One (Tangerine Dream)
Pene d’amore I still haven’t found what I’m looking for (U2)
Amicizia Belleville (Django Reinhardt)
Lavoro Weisses Fleisch (Rammstein)
Matrimonio (o simili) Here There and Everywhere (The Beatles)
Figlio/i Exausted (Foo Fighters)
Carriera It’s raining man (The Weather Girls)
Vecchiaia You make me real (The Doors)
Marcia funebre Going to my Home Town (Rory Gallagher – Live)
Titoli di coda Long Time Comin’ (Bruce Springsteen)

Che dire? No good deed goes unpunished?

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17

03 2008

Succede (reloaded)

“Scusa, Catriona…”
“Si?”
“Mi hanno detto del refuso nel saggio di Ravapanza Bobunanda…”
“Sì?”
“Be’… hmmmm… ehhh… ce n’è un altro. E’ piuttosto bruttino…” [avanza titubante col libro spalancato] “… perché è alla terza riga di un capitolo e… come dire? spicca.”
“Oh. Ah. Uh. Ma porc… Eccolo . Eh… Che ti devo dire? E’ già una fortuna che non sia alla terza riga dell’introduz…”
Gli strappo il libro di mano.
Lui – saggio – batte in ritirata.
Passano cinque minuti. Di assoluto, tombale silenzio.
No, non c’è. L’introduzione scorre liscia liscia. Senza refusi, almeno lei.
Ma in CE stanno ormai circolando strane voci su questo libro. L’addetto stampa vuole spedire le copie il prima possibile. Chi lo ha ricevuto, me lo restituisce dicendo: “Sai, non ho più posto in ufficio…” Si mormora che il traduttore sia irrintracciabile e che il correttore di bozze sia stato colpito da una brutta influenza intestinale.
Qualcuno di voi ha per caso l’indirizzo di padre Merrin?

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14

03 2008

Succede

Oh, è già successo e succederà ancora.
E magari, in un altro caso, nessuno se ne accorgerà (né oggi, né domani, né mai).
Però quando apri il libro appena arrivato…
E lo aprì così, a una pagina qualsiasi
E ci trovi un refuso incredibile
Un refuso che ti fissa, manco fosse Norman Bates nel finale di Psycho
Hai voglia a ripassarti le bozze e dare la colpa al correttore.
Hai voglia ad aprire il file e dare la colpa al traduttore.
Hai voglia a ripeterti che, per amor di precisione, hai scritto Viṣṇu (coi suoi bei puntini sotto) e Mahāsthāmaprāpta (con le sue belle righine sopra).
L’unica realtà è che qualcun altro lo noterà di sicuro e te lo farà notare.
E probabilmente ne troverà altri.
E ti scriverà un’e-mail dicendoti che, in quel libro, ci sono “un pò troppi refusi.”

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03 2008

Fischi o applausi

Non so voi, però io mi sto veramente scocciando delle cosiddette “recensioni”, siano esse di libri, CD o film. Mi sto scocciando perché è sempre più raro che un recensore prenda veramente posizione su quello che ha letto, visto o sentito. Non parlo neppure di quelle innumerevoli recensioni di libri che prendono la bandella e, senza “cucinarla” neanche un po’, la trascrivono pari pari (se avessi un centesimo per ogni volta che mi è successo….); parlo proprio delle recensioni “originali”, magari di firme autorevoli, che si limitano a raccontare o a descrivere e, alla fine, ti fanno esclamare: “E allora? Si può sapere cosa pensi tu di quel libro, di quel CD, di quel film?” Il vuoto assoluto. Un vuoto, che per di più, ha numerose sfumature: il vuoto marchetta (“Non avevo nessuna intenzione di parlare di questo, ma devo farlo”); il vuoto a furor di popolo (“Ne parlano tutti, quindi devo parlarne anch’io”); il vuoto di posizione (“Non ho niente da dire, però qualcosa devo scrivere”). E’ ovvio che il risultato non cambia: nel migliore dei casi, il lettore ne esce intoccato (ne sa come prima); nel peggiore, apprende cose che sarebbero dovute emergere dalla lettura o dalla visione (si becca degli spoiler, insomma). Insomma, non so voi, ma io preferisco veri fischi o veri applausi, magari anche di parte, magari anche segnati dai pregiudizi, ma, appunto, veri.

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10

03 2008

Cinica piangente

In questi giorni siamo bombardati (ehm…) dal trailer di un film tratto da un libro ormai celeberrimo.
Scusate il cinismo, ma sono soltanto io a irritarmi ogni volta che lo vedo?
Musica lagnosissima, debitrice dalle peggiori colonne sonore anni ‘50.
Slogan reboanti, scanditi da un voce che, se fosse più impostata, sarebbe una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Immagini montate in modo da raggiungere un tasso glicemico da dattero (secco)*.
Brandelli di dialogo che neanche Carolina Invernizio in Anime di fango.
Insomma, ogni volta che vedo quel trailer, piangiamo in due: io e il libro. E credo per lo stesso motivo.

* 103±21. Tenete conto che, per dire, i croissant stanno a 70.

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07

03 2008

Non è un paese per lettori

Ci sono delle volte in cui ci si chiede davvero cosa pensano, là fuori. Nella massa di domande comprensibili (“Perché non pubblicate più saggi di Kimmie Kims?” “Quando esce il prossimo libro di Charlie Charles?”) ci sono infatti alcune richieste di una tale protervia da lasciare abbastanza stupefatti. Non si vuole un’informazione su un libro, si esige il libro stesso (magari addirittura consegnato a casa); non si chiede aiuto per una tesi, si pretende che qualcuno della CE la riveda e la corregga; non ci si propone come traduttori, si reclama un libro in traduzione. Lo so, viviamo in un mondo arrogante. Ma chi chiede o si propone in questo modo a una CE dovrebbe sapere, proprio grazie ai libri, che ci sono situazioni in cui l’arroganza è controproducente. Così mi viene il sospetto che quelle persone non leggano e, forse, non abbiano mai letto veramente. Ma allora perché intestardirsi su un libro come se non si potesse vivere senza di esso? Perché fare una tesi “letteraria”? Perché non gettare una base reale per quello che potrebbe diventare un lavoro?
No, non rispondetemi. Evidentemente sono una vecchia lettrice e questo non è un paese per me.

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06

03 2008

Voi

… che girate per gli stand mordicchiando un panino
… che ve ne andate in giro sparlando di quel certo libro o di quel determinato autore
… che vi sedete tranquilli ad ascoltare una conferenza
… che vi riempite di cataloghi
… che fate incetta di libri con lo sconto

… insomma voi non sapete quanta fatica e quante persone ci sono dietro una fiera come quella di maggio nella capitale sabauda.

Se lo sapeste, ci vorreste un po’ più di bene, a noi delle CE.

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28

02 2008

!?.,;:

Pensavo, di essere, una virgola, invece, sono un punto esclamativo!
What Punctuation Mark Are You?

(sì, lo so, come post è da buttare, ma c’ho una febbriciattola infame, un libro due libri enormi da leggere e una bandella che, per quanto cerchi di corromperla con promesse altisonanti ["Sarai letta da milioni di persone..."], non vuol saperne di scriversi da sola.)

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20

02 2008

Book momentum

[...] US political commentators are suggesting Clinton must capture the Texas and Ohio primaries on 4th March to stay in the race. Sales patterns in these states suggests the results could go down to the wire. In the Dallas-Fort Worth region, during the week under analysis, Obama outsold Clinton by 135 copies to four copies, while in Cincinnati just a single copy of Living History was sold, compared to 68 editions of The Audacity of Hope.

(via TheBookseller, 14 febbraio 2008)

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15

02 2008

Giuro

Il primo che, in mia presenza, riferendosi alle elezioni, le chiama election day lo picchio con la Treccani (volume dopo volume dopo volume dopo volume…)

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07

02 2008

Profezia

Ieri mi sono convinta che, prima o poi, ci conquisteranno. Con sublime indifferenza calpesteranno ogni nostra residua dignità linguistica. Parleranno un pidgin englitalian forse neppure a loro completamente comprensibile. Eppure si capiranno, almeno tra loro. Oppure faranno soltanto finta di capirsi e tireranno avanti.
Perché loro hanno i razzi terra-aria-acqua-fuoco e noi abbiamo l’arco e le frecce.
Perché loro sono i comunicatori.
Perché loro sono i signori del marketing.
E parlano così:

“Bisogna incentivare il prodotto con battuta di cassa molto alta.”
“Ci hanno costretto a tardivizzare l’uscita.”
“E’ un prodotto da gamma impulso.”
“Perché il bambino è emozionabile e il papà si scoccia.”
“Le cose si definiranno in un rapporto one-to-one.”
“Questa sagra [saga (n.d.r)] ha un grosso appeal.”
“La chiave sta nel creare un evento certamente notiziabile.”

Resistance is futile.
O come forse direbbero loro: “Contrastare un trend stabilito impatterebbe in maniera indifferently sulla reportistica di vendita.”

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06

02 2008

E compralo, ’sto dizionario!

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(via The List Universe; per la precisione qui e qui)

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02

02 2008

Son cose… seller

Dato che il post precedente si è attestato nella classifica degli altovendenti, direi che è il caso di stilare un glossario.
highseller = altovendente. Se della propria CE, si può chiamare semplicemente “Tiè!” (accompagnando l’esclamazione con gesto denigratorio nei confronti delle altre CE). Se di un’altra CE, non possiede denominazione specifica, ma viene di solito evocato con un sospiro affranto.
bestseller = migliorvendente*. Le denominazioni equivalenti sono le stesse dell’highseller, ma nel caso 1 il gesto è più netto (e ripetuto quotidianamente) e nel caso 2 il sospiro è più affranto (e talvolta accompagnato da punizioni corporali autoinflitte).
longseller = longovendente. Se della propria CE, non possiede denominazione specifica, ma si individua subito perché citato con sussurrata reverenza, di solito abbreviando il titolo (p. es. Meglio tardi…, Tanto tuonò…, Di riffe…). Se di un’altra CE, si ricorre a una colorita perifrasi: “Ma-’sto-libro-del-c-non-esce-più-dalla-classifica?”
no seller = rasovendente. Ma anche buco, bufala, ciofeca, pacco, sòla, botta. Usato nella frase: “Ragazzi, che -!” (se della propria CE). Se di un’altra CE, viene indicato semplicemente con: “Ih, ih, ih…” (seguito da risolino irrefrenabile).

*definizione a cura di paolo beneforti. La differenza tra highseller e bestseller direi si situa nel fatto che un high non è necessariamente un best.

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01

02 2008

Uffa

Ci sono giorni in cui comprendo gli scrittori “incompresi”. E non perché abbiano scritto il capolavoro della letteratura italiana che nessuno vuole pubblicare, ma perché annuso l’aria della nostra cultura e mi prende un subitaneo sconforto. Qualche giorno fa, per esempio, l’inserto culturale di un prestigiosissimo quotidiano ha dedicato la pagina di apertura alle lettere d’amore di Ugo Foscolo. Il motivo di quel “lancio” era politicamente chiaro (no, non ve lo dico) e la mia immarcescibile passione foscoliana ha avuto modo di rinfocolarsi. Ma il mio animo di lettrice curiosa ne è uscito sconfitto, una sensazione diventata ancora più forte mentre scorrevo le pagine seguenti, tutte coltissime, quasi marmoree nella loro alterigia.
Perché mai io, lettore occasionale e magari alla ricerca di qualche occasione di lettura in più, dovrei leggere qualcosa che mi fa sentire così sfacciatamente escluso dal circolo della parola scritta? Perché si continua a difendere la nicchia e non si pensa al mondo?
Insomma: uffa.

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30

01 2008

Varie ed eventuali

  • Non è facile trovarsi circondati da stranieri il giorno dopo quello che è successo al senato. La cosa più gentile che fanno è dare un’occhiata alle foto dei giornali italiani e poi guardarti con un’espressione tra lo sconcertato e il dispiaciuto. Per fortuna, dopo, ci si ritrova insieme a piangere sul fatto che non si legge abbastanza, che si rischia l’analfabetismo di ritorno, eccetera.
  • Sullo stesso tema: il viaggio in treno di ritorno dalla missione è durato il doppio del previsto. Battuta vincente nello scompartimento: “Quando c’era Prodi, i treni arrivavano in orario”. Perplessità diffusa nello stesso scompartimento alla notizia che il treno si era fermato per un guasto a(lla stazione di) Romano…
  • Il libro più “highly original” di tutti è stato venduto in America per più di un milione e mezzo di dollari. Scannamento europeo (a colpi di euro) a seguire.
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28

01 2008

Rumori in scena

“Mah…”
“Eehh…”
“Grunt!”
“Seee…”
“Argh!”
“Boh…”
Se passaste davanti al mio ufficio, in questi giorni, sentireste in prevalenza questi rumori. Seguiti dall’inequivocabile “Fssshhh… sciap!” dei fogli che atterrano nel cestino. Il fatto è che arranco nella marea (crescente) dei libri definiti “highly original”, un’etichetta che si traduce con: “E’ senza capo né coda, non ho la minima idea del perché lo pubblichiamo, però magari tu sei così folle da fartelo piacere”. Talvolta mi sembra di avere a che fare con certi agenti immobiliari che ti sussurrano: “Ho la cosa giusta per lei. E’ una mansarda piena di carattere…” e tu traduci all’istante: “Adesso ti frego. Ti propongo un sottotetto rovente d’estate e gelido d’inverno, in cui non puoi neppure stare in piedi e te lo faccio pagare uno sproposito.”
Vi saluto fino a lunedì, perché vado in missione per conto di Dio… ehm… della CE.
Nel frattempo “Fssshhh… sciap!”

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24

01 2008