CE, ma anche PH, V, MdE, U

Insomma, eravamo lì, pronti con la nostra valigia e la nostra list (mai dire «catalogo», fa subito remainder) e c’eravamo proprio tutti, non solo quelli delle CE, ma anche quelli delle PH, delle V, delle MdE, delle U, eccetera. Sì, ecco, eravamo tutti lì (ora, minuto, stand, tavolo, colazione di lavoro, lunch, party, dinner party, cocktail party, beverage point), pronti, quando è arrivata la cenere.
Farewell, London Book Fair 2010.
Ora: da tempo, la carta per noi è un di più. La buttiamo fuori a tonnellate, ma dentro cerchiamo di farne a meno. Anche noi – come tanti altri – siamo diventati funamboli dell’email, giocolieri dell’attachment, acrobati del Cc: e del Fwd:* soprattutto quando ci sono di mezzo le fiere, dato che sarebbe fisicamente impossibile stampare tutto quello che arriva. Potete quindi immaginare l’esplosione elettronica di venerdì/sabato/domenica e la fantasia che l’ha accompagnata: dai messaggi comici («CE vs. the Volcano») a quelli drammatici («Incontrarti era una delle poche cose che davano un senso alla fiera»), da quelli civettuoli («Avevo un vestito così bello per il party!») a quelli pratici («Sentiamoci per telefono all’ora fissata per l’appuntamento»).
Tutti, però, rivelavano la verità. Anche se nessuno ha avuto il coraggio di scriverla, bit nero su bit bianco.
Come abbiamo lavorato bene in questo weekend, mai prima.

*«You just said three things that all mean the same thing.» (I know)

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20

04 2010

Tempo dieci minuti

In ufficio ho due grosse pile di fogli. Libri, ovviamente. Stampati parecchio tempo fa, prima dell’arrivo del Kindle. Potrei buttarli via e forse lo farò.
Anzi lo faccio subito.
Tempo dieci minuti, mi passano davanti incontri, richieste, email; schegge più o meno grandi di storie, di idee, di personaggi; testi scartati dopo poche pagine e testi perduti dopo trattative brevissime o strazianti. Toh, questo invece l’ho comprato.
Tempo dieci minuti, le pile non ci sono più.
Guardo il Kindle.
Al momento, contiene 97 libri. Non tutti di lavoro, ma parecchi sì.
Dall’età di due anni, darmi un pezzo di carta è stato il modo migliore per conquistare la mia attenzione. Ho usato veline, quinterni, fogli protocollo, quaderni, bloc-notes. Ma soprattutto – da quando faccio questo lavoro – ho stampato. Decine (centinaia?) di migliaia di fogli. E, con una sicurezza che non smetterà mai di sorprendermi, sono sempre stata in grado di ricostruire il mio rapporto con un libro grazie a una semplice occhiata a uno di quei fogli stampati.
D’un tratto, mi accorgo di dover riconfigurare la mia memoria.
No, questo non lo avevo previsto.

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06

04 2010

No, peggio

La vedi, la studi, pianifichi, progetti, immagini, prepari valigie e beauty case e poi, il giorno prima, parte uno sciopero a tempo indeterminato di aerei, treni, traghetti, tassisti, facchini, camerieri e guide turistiche.
No, peggio.
Lo vedi, lo mostri alla mamma – che annuisce, sorridendo –, aspetti insonne la mattina di Natale e poi, nel pacco, ci trovi un grattoso maglione rosso con una renna ricamata.
No, peggio.
Lo vedi, ti innamori, palpiti, gli fai la corte, lui dice sì e poi, all’ultimo momento, scappa con uno più ricco.
No, peggio.
Perché potranno esserci altre vacanze, altri Natali, altri innamoramenti.
Ma quel libro lì l’avrai perso per sempre.

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23

03 2010

Tre motivi

Vuoi sapere la verità che nessuno ti dice? Vuoi sapere perché, in realtà, è meglio NON essere pubblicato?
Questi sono i primi tre motivi che mi sono venuti in mente.

1) Non potrai più fare conversazioni normali, perché tutti vorranno sapere soltanto di cosa parla il tuo libro. E la cosa, all’inizio, può essere piacevole, ma ben presto si trasforma in una specie di recita, in cui tu continui a ripetere lo stesso monologo, credendoci sempre meno (“No, niente, sai, è la storia di un ragazzo che scopre l’amore…”) e l’altro, dopo un tempo medio di 4′”, non ti ascolta più.

Possibili sottoscenari:

1.1) Hai scritto La dinastia sumera di Lagash / Gli insetti olometaboli, amici dell’uomo / Herpes: mito o realtà? e ciò scatena occhiate tra il perplesso e il terrorizzato oppure esclamazioni del tipo “Ah” / “Oh”, che vogliono dire: “Ma allora non è un vero libro.” In più, da quel momento in poi, sarai considerato un esperto di qualsiasi argomento storico (fossero pure le circostanze della morte di Tarquinio Prisco) o scientifico (fosse pure la meccanica dei quanti);
1.2) Valanga di domande e/o esclamazioni del genere: “Maddai, non avrei mai pensato che tu sapessi scrivere!” “Su, dimmi, si guadagna un sacco, vero?” “Allora ti vedremo in TV da Vespa, eh?” “Ma un libro-libro? Con la copertina e tutto?” “Cioè, io vado in libreria e trovo il tuo libro? Magari solo nelle librerie davvero grandi, eh?”
1.3) Indagini approfondite su quali siano gli elementi autobiografici, anche se il tuo libro parla di un operaio tessile dell’Oklahoma con sei figli e una passione smodata per le armi e tu sei un insegnante, sei scapolo, non ti sei mai allontanato da Sansummano di Sotto e hai appeso al balcone la bandiera della pace. È ovvio che tali indagini nascondono pensieri del tipo: “Mi avrà messo nel suo libro? E, se sì, come? Be’, se non altro mi aspetto che mi citi nei ringraziamenti, anche se sarebbe meglio nella dedica…”
1.4) Immediata controffensiva: “Sai, anch’io ho scritto un libro. Un romanzo bel-lis-si-mo. Ehi, ma tu con quale CE pubblichi? Sai, una buona parola…”

2) Nessuno ti riconoscerà più, perché la foto in quarta di copertina è venuta così male (o così bene) da non somigliarti affatto.

Possibili sottoscenari:

2.1) Lettore che ti si avvicina, guarda la quarta, guarda te e ripete il tutto dalle tre alle dieci volte. Poi, con un’aria tra il perplesso e lo schifato, ti porge la copia per fartela firmare;
2.2) Lettore che ti scruta da lontano, che si avvicina un poco, poi se ne va, gridando: “Non è lui! È troppo brutto!”;
2.3) Amici che inventano nuovi, atroci soprannomi ispirandosi a quella foto (e a mo’ di vendetta perché non li hai citati nei ringraziamenti e non hai dedicato loro il libro).

3) Non potrai più aprire una lettera o un’email senza temere che venga…

3.1) dalla tua insegnante d’italiano del liceo, la quale ti segnala i refusi a pagina 3, 56, 98, 123, 263, 298 e 312, ti corregge la citazione a pagina 197 (“Non sei mai stato bravo in latino, mi ricordo, sai?) e, tra le righe, esprime il suo rammarico per non essere stata citata nei ringraziamenti (anche se una dedica sarebbe stata più adeguata);
3.2) dal notissimo critico letterario (che ti stronca) o dal critico letterario dell’Eco di Sansummano di Sotto (che ti stronca);
3.3) dalla CE che ti chiede di presentare il libro ad Aosta, a Trapani, ad Ancona e a Oristano (non nei capoluoghi, ma in provincia) nell’arco di due giorni;
3.4) da qualcuno che sostiene di aver scritto un libro sugli insetti olometaboli prima di te e meglio di te;
3.5) da qualcuno che ha comprato Herpes: mito o realtà? e t’insulta perché credeva che fosse un romanzo.

- continua (?) -

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10

03 2010

Spigolature (V)

Dell’intraducibilità: The Mistake on Page 1,032: On Translating Infinite Jest into German;

Delle regole: Ten rules for writing fiction (ispirate al decalogo di Elmore Leonard);

Del futuro (ma anche del presente): Do You Really Need an Editor at a Publishing House?;

Della chiarezza: Common Misconceptions About Publishing # 1, # 2, # 3, #4 (dal blog di Charles Stross);

Della verità, ovvero:  ”The part where we Google you” (Bad Blog! No Cookie for You).

05

03 2010

Sono (stata) una persona orribile

A parte gli ex voto, posso affermare che il mio lavoro è (ed è sempre stato) tranquillo.
Però una volta, molto, molto tempo fa…
[suono di arpa e dissolvenza incrociata]

Mattina presto. Una collega si affaccia alla porta del mio ufficio: “Catriona, c’è un signore che vuole vederti…” In un lampo, la collega viene scavalcata da un uomo che si piazza sulla sedia davanti alla scrivania, posa a terra una borsa e mi fissa. In silenzio.
Catriona: “Scusi, ma…”
Sconosciuto: “Dovevo vederla oggi.”
C: “Mi perdoni, ma noi non avevamo un appuntamento, vero? Lei è…”
S: “Lo sa benissimo, chi sono.”
C: “Davvero?”
S [si guarda intorno]: “Vedo che lo ha nascosto.”
C [spazientita]: “Senta, io non so…”
S: “Eh, ha fatto bene perché…”
E qui parte un discorso di almeno mezz’ora. Definirlo “irrefrenabile” è fargli torto. E’ una colata lavica, una cascata niagariana (niagarica? niagaresca?) di parole da cui emergono, a intervalli regolari, le espressioni “complotto”, “alieni”, “tengono tutti all’oscuro” e “rivelazioni”, unite allo sventolamento di fogli che emergono dalla borsa e ci ritornano subito. Verso la fine, però, cominciano a emergere altri termini: “esclusivo”, “scoperta” e “scottante”.
Poi cala il silenzio.
Lui mi fissa.
Io non ho la minima idea di cosa abbia detto.
S: “Bisogna fare qualcosa, subito.”
Valuto rapidamente le opzioni. Cacciarlo via? Troppo pericoloso. Assecondarlo? Ancora più pericoloso. Scelgo una via di mezzo.
C [compresa nella parte]: “Capisco. Ma, sa, è una decisone importante, non posso prenderla io, da sola.”
S [insospettito]: “Si rende conto del rischio, vero?”
C [compresissima nella parte]: “Appunto. Le faremo sapere al più presto.”
S: “Ma io non posso uscire troppo spesso. Mi seguono. E il mio telefono è sotto controllo. Vi chiamerò io.”
C: “Va bene.”
E se ne va, ratto com’era arrivato.
Vi giuro che, all’epoca, ho setacciato il mio ufficio a palmo a palmo, cercando un manoscritto “scottante”, “esclusivo”, gravido di “complotti” e di “alieni”. Invano.
E devo confessare di essermi negata a lungo al telefono.
Non senza un vago senso di colpa.
Anche perché, dopo un paio di mesi, il signore in questione ha smesso di chiamare.
L’unica cosa di cui sono certa è che non era Giacobbo.

04

03 2010

Still crazy (after all these years)

Proprio te cercavo.
Dopo tutti questi anni, so benissimo che un incipit del genere è pericoloso, però abbozzo. In primo luogo, perché chi mi sta chiamando è un agente. In secondo luogo, perché potrebbe aver ragione. In terzo luogo, perché chi mi sta chiamando è un agente.
Ho un libro per te.
Dopo tutti questi anni, ormai so che non si tratta di regalo, bensì di proposta. E non mi dispiace più come all’inizio, quando m’illudevo di essere l’oggetto di slanci amichevoli e senza secondi fini.
Un libro su cui abbiamo lavorato tanto.
Dopo tutti questi anni, ciò mi è di vago conforto.
Un romanzo originale, ma con ottime possibilità commerciali.
Dopo tutti questi anni, non do più nessun significato a tale frase. È come se un concessionario mi dicesse: «Sì, è una bella macchina e, pensi un po’, funziona!»
Parla di…
Dopo tutti questi anni, abbozzo di nuovo. Raccontare una trama al telefono e sperare che l’altro la segua fino in fondo è come sperare di tenere accesa una candela mentre infuria la madre di tutte le tempeste. Ma la danza prevede anche questo passo e io ho imparato a danzare.
Cosa dici, te lo mando?
Dopo tutti questi anni, il sì ovviamente arriva, anche se un po’ meno entusiasta di un tempo.
Vedrai, ti piacerà!
Inchino.

Be’, credeteci o no, dopo tutti questi anni, dopo innumerevoli tempeste e danze, io, quel libro, lo aspetto. Con un po’ meno ansia di un tempo, vero, però lo aspetto.

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02

03 2010

Speed date

Hai un’ora, due ore, un pomeriggio per decidere. E te l’eri dimenticato. Oppure ti è arrivato cinque minuti prima. Oppure ti ha appena chiamato un agente, intonando il mantra è-proprio-per-te-ma-lo-vogliono-tutti. Insomma: hai davanti un libro di tre-quattro-cinquecento pagine e devi capire. Se il libro c’è stato, c’è, ci sarà. Se hai un posto per lui. Se lo vedi sui banchi della libreria. Se può piacere. Se può vendere. E devi capirlo subito, ora.
Ovvio che non stiamo parlando di un saggio sul concetto di differenza ontologica in Heidegger. E ovvio che il lavoro vero arriva dopo. Forse un po’ meno ovvio è il legame che si crea con quel libro che adesso è “tuo” e tra due ore potrebbe non esserlo più. Perché un momento in apparenza solo faticoso e angosciante si rivela curiosamente liberatorio. Non c’è spazio per le scuse, non c’è tempo per la noia, non c’è modo di rimandare. C’è invece un’irrequietezza un po’ ingenua, che si accompagna a un’idea abbastanza folle: e se il destino, con quello speed date, avesse deciso di farti trovare il libro della tua vita?
No, non sono frequenti, questi speed date. E ancor più rari sono i matrimoni, dopo. Però se succedono – i matrimoni, dico – assumono un’aura così romantica che lèvati. E che non si dissolve mai.
Neanche se – dopo qualche giorno, qualche mese, qualche anno – scopri che hai preso un gigantesco, strepitoso, irrimediabile abbaglio.

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23

02 2010

Il giudizio della mamma

«Nulla induce alla menzogna più della domanda: ’Hai letto quel libro?’» Lessi quest’aforisma nella rubrica «Citazioni citabili» di Selezione dal Reader’s Digest quando avevo sì e no dieci anni e – sebbene allora non ne potessi apprezzare la forza profetica – chissà perché mi rimase impresso in modo indelebile.
Ebbene, oggi, a profezia compiuta, mi sembra giunto il momento di correggerlo: «Nulla induce alla menzogna più della domanda: ’Hai letto il mio libro?’»
Talvolta con pudore, talaltra con protervia, gli aspiranti scrittori scrivono spesso nelle loro presentazioni: «L’ho fatto leggere a X e lui/lei mi ha detto che è bellissimo e che deve essere pubblicato», dove X è una variabile alla quale si può assegnare qualsiasi valore compreso tra «la mamma» e «uno scrittore (famoso)». Passi la mamma – per ovvi motivi –, ma come si può davvero credere che l’amico, il collega, lo scrittore abbiano tempo, voglia, energia sufficienti per sprofondare nel vostro romanzo fantasy di 564.987 battute (spazi esclusi) o nella vostra storia «solo velatamente» autobiografica? Dai, su, lo sappiamo come vanno le cose. L’autore consegna il malloppo mormorando: «Voglio proprio sapere cosa ne pensi tu… Ma leggilo pure con calma, eh, non c’è fretta» e l’altro lo prende, magari in perfetta buona fede, magari con le migliori intenzioni, ma poi, arrivato a casa, lo lascia cadere su un tavolino e lo abbandona lì, a prendere tempo e polvere. Non se ne dimentica, oh, no, sarebbe troppo facile: ogni tanto lo vede spuntare da sotto una pila di riviste, si lascia mordicchiare dal senso di colpa («Almeno un’occhiata…») quindi si mette a fare altro. Alla fine, sì, lo scorre, ne legge qualche pagina, ma soprattutto perché vuole scrollarsi di dosso l’imbarazzo che prova quando incontra l’autore. E cosa potrà mai dirgli, dopo, se non «è bellissimo e deve essere pubblicato» – la forma varia, ma l’essenza è questa –, al limite, per decenza, facendolo precedere da un «Io non sono un critico, ma»? Intendiamoci: non vi sto vietando di far leggere alla mamma, agli amici, ai colleghi, agli scrittori (famosi e no) il vostro manoscritto. Ma, se fossi in voi, non mi vanterei troppo dei loro giudizi. In particolare di quello della mamma.

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18

02 2010

A cautionary tale

Visto che una delle poche trasmissioni della TV italiana in cui si parla di libri (sicuramente la più seguita) istiga a pubblicare il proprio libro a pagamento (perché l’ha fatto nientemeno che Italo Svevo) e lo fa con frasi del tipo “non demordere e mettere da parte qualche risparmio”, mi è tornato in mente un libro di cui forse alcuni di voi hanno sentito parlare: Atlanta Nights.
Mi spiace che le informazioni siano soltanto in inglese, ma ecco il succo: un libro scritto apposta per essere impubblicabile (capitoli duplicati; personaggi che muoiono e riappaiono senza spiegazione e che, sempre senza spiegazione, da uomini diventano donne o da bianchi diventano neri; errori grammaticali e sintattici a pioggia eccetera) e mandato a una delle più grandi vanity press americane.
Risultato: un’offerta di pubblicazione (ovviamente rifiutata).
L’ho già detto: volete vedere la vostra creazione in formato libro? Nessuno ve lo impedisce. Le tipografie possono fare un lavoro eccellente; realizzare un e-book ormai è facile. Da un editore a pagamento sborsate di più e andate incontro all’inevitabile, doloroso destino della non distribuzione.
Sì, lo so che ci sono stati Lawrence, Kipling, Poe, Proust, Whitman, Wilde, Twain. Per non parlare di questi (e molti altri) casi.
Ma davvero pensate di…
Davvero?
Be’, buona fortuna.

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15

02 2010

Carta pesante

Magari hanno venduto per anni semilavorati per pane, pasta e pizza. O cuscinetti volventi. Adesso, invece, vendono carta, carta pesante perché piena di storie e d’idee. I rappresentanti commerciali sono il primo anello della catena esterno alla CE: da loro al libraio, dal libraio al lettore. Devono saper piazzare Feromoni per un delitto, ma anche Storia dei missionari in Sierra Leone dal 1859 a oggi. E tu – che hai scelto l’uno e l’altro – devi spiegare loro come fare.
Parlare a queste persone – saldare il primo anello – è sempre un’esperienza. Non è che ti puoi mettere a declamare passi scelti di un romanzo, concludendo: “Come avrete di certo notato, lo stile di questo autore ricorda i primi testi di Ouředník.” Hai davanti gente concreta, il cui mestiere è fatto di grande pazienza, di parole precise e di piedi callosi (come dimostrano certe odissee dei rappresentanti del Sud). E non puoi – non vuoi – comporre il solito bouquet di aggettivi (eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera), ormai secco e polveroso.
E allora? Allora reciti. Dai a quelle persone un canovaccio cui possono ispirarsi per tirare fuori entusiasmo, convinzione, slancio e dati oggettivi. Parti dall’ultima pagina del libro e torni indietro; gli racconti la trama come se fosse un film; lanci esche; fai un’allusione disinvolta, come se avessi avuto all’improvviso l’idea decisiva (ci hai pensato per settimane); gli racconti come hai acquisito quel libro e quanto hai litigato con l’autore (facendo poi pace); nascondi e riveli; stuzzichi e provochi…
E alla fine, sì, tiri fuori comunque il bouquet. Perché è ovvio che hai scelto quel libro perché è eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera.
Però almeno lo fai uscire dalla manica, a mo’ di prestigiatore. Così magari sembra fresco e coloratissimo.
Se non altro, ci provi.
Perché, credetemi, dopo tutti questi anni, dopo tutti questi libri, io non ho ancora la certezza di riuscirci.

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11

02 2010

Spigolature (IV)

5 Lies Writers Believe About Editors (n.b. A me la birra piace, ma con un bignè si va più lontano);

Ten Editing Tips, for Your Fiction Mss. (da Margaret Atwood, nientemeno);

How to use a semicolon (The most feared punctuation on Earth); <–

The Death of the Slush Pile (ma forse il WSJ è comunista…);

Decalogo per aspiranti pubblicatori (se ve lo dice lui, forse vi fidate).

03

02 2010

Massì

[Trascrizione parziale dell’intervento di Catriona Potts sulla "mozione massì" tenuto in data odierna presso il CCCE – Circolo Carbonaro CE – "Carolina Invernizio", baracca n. 42]

Su, colleghi, ammettiamolo senza paura: tutti noi pubblichiamo “libri massì”. Non sempre lo facciamo, però ci succede più spesso di quanto vogliamo ammettere. Tralasciamo pure – tanto è poca roba, lo sappiamo – le marchette, i favori, i “si deve”. Ecco, riguardo al resto, chi di noi può sostenere di non aver mai detto: “Massì, io ci provo?” Nessuno. No, non farò nomi né titoli. Non ce n’è bisogno.
Ebbene, colleghi, so quello che vi state chiedendo: è, il nostro modo di agire, una mancanza o, peggio, un’offesa nei confronti del lettori?
Vediamo.
Cosa intendo per “libro massì”? Vi prego: evitiamo di ficcarci nel ginepraio del libro “di scarso valore culturale”. Quello direbbe: “E chi lo decide, ’sto valore?” Quell’altro obietterebbe: “Esistono forme e premesse che tuttavia non possono essere ignorate…” Il terzo borbotterebbe: “Mah, ai posteri l’ardua, comunque”. Non ne è mai uscito nessuno.
La mia idea di “libro massì” si definisce altrove. Partiamo dal lettore. Per spiegarmi, lasciatemi fare un paragone: quante donne hanno nell’armadio da più di cinque, dieci anni un vestito che indossano regolarmente? Credo pochissime, forse nessuna. Sono passati il tempo, la moda, le occasioni (magari è pure cambiata la taglia). Al massimo, vale come ricordo, come capo vintage. Ecco: il “libro massì” è quasi la stessa cosa. C’è un momento in cui attira, prende, invoglia. Si consuma e poi, senza troppi rimpianti, lo si dimentica. È stato inutile? Niente affatto, perché, in quell’istante, ha dato qualcosa. È stato incisivo, determinante? Probabilmente no. Pazienza. Sì, la vita del libro può essere assai breve e non lasciare che un vago segno. E allora? Ci sono vestiti comprati e mai indossati. Ci sono vestiti comprati, indossati una volta e poi dimenticati. Ci sentiamo in colpa? Talvolta, ma ciò non c’impedisce di comprare nuovi vestiti. Anzi può addirittura darsi che abbiamo imparato qualcosa da quell’esperienza.
Questo da parte del lettore. E dalla nostra? Cosa pensiamo nel proporre un simile libro? Come sempre, pensiamo al potenziale successo, alla prospettiva del bestseller. Un po’ perché si deve mangiare, un po’ per vanità personale, un po’ perché si fanno ovvi confronti, palesi valutazioni. Ma anche perché non si sa mai. Non lo sappiamo da CE perché, in fondo, non lo sappiamo neppure come lettori (per fortuna, direi). Non si sa davvero cosa attiri, cosa intrighi, cosa – oh! – faccia crescere, cambiare, sognare. Quali meccanismi facciano scattare la mano verso un altro libro, un’altra lettura. E se il percorso fosse costellato in misura simile da “libri di alto valore culturale” e da “libri massì”? Ve la sentireste di escluderlo? Io no.
Ecco perché, cari colleghi, appoggio la mozione massì.

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02

02 2010

Ricapitoliamo

  1. No, non mandare il tuo manoscritto dicendo che è già stato rifiutato da [numero] CE. Queste cose funzionano soltanto sulla bandella, nella sezione: “Biografia dell’autore scritta apposta per fare colpo e probabilmente un po’ esagerata.”
  2. No, non parlar male di un’altra CE nella tua lettera di presentazione. Mai fatto un colloquio di lavoro in vita tua, eh?
  3. No, non ti posso dare il mio numero diretto, il mio cellulare, il mio indirizzo e-mail. E non perché mi voglio dare delle arie. Innanzitutto non sono un medico né uno psichiatra né un impresario di pompe funebri. In secondo luogo, vorrei vivere fuori del lavoro, ogni tanto. In terzo luogo, perché no e basta.
  4. No, non mandare un testo “da correggere”, “da rivedere”, “da sistemare”. Né un testo che “potrebbe migliorare” col mio aiuto. Mandami il testo migliore che riesci a scrivere. Poi si vedrà.
  5. No, non è colpa di nessuno se nessuno ha mai pubblicato il tuo manoscritto. Anche se sei convinto del contrario.
  6. No, non m’importa nulla del formato, del carattere, dell’interlinea, eccetera. Chiediti solo: “È leggibile?”
  7. No, non mandare il tuo manoscritto senza una vera lettera di presentazione. Nulla è più irritante dell’autore che dichiara: “Non posso riassumere il mio libro perché è troppo eccezionale / strano / fantastico / complesso / immaginifico / originale / eccetera”. Anche qui: mai fatto un colloquio di lavoro in vita tua, eh?
  8. No, non m’interessa se già immagini James Cameron al lavoro sulla sceneggiatura tratta dal tuo romanzo (autobiografico). E ancor meno se immagini Angelina Jolie nei panni della protagonista del tuo romanzo (autobiografico).
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25

01 2010

Prefiche

Una settimana fa, istigata da una conversazione su FriendFeed (che non posso linkare perché lucchettata), ho guardato un quarto d’ora del Grande Fratello. All’interno di quei quindici minuti, almeno dieci sono stati occupati dal primo piano una ragazza che piangeva. No, «piangeva» non è il verbo giusto: singultava, gemeva, singhiozzava, con uno strazio e una disperazione che ho visto soltanto in persone colpite da un lutto. A un certo punto, però, la ragazza si è precipitata nella camera da letto della casa e lì ha trovato il padre; gli ha buttato le braccia al collo e – sempre tra singulti, gemiti, singhiozzi – gli ha detto più volte: «Ti amo!»
Ci ho riflettuto un po’, allineando tutte le tessere del domino: sincerità, sfruttamento, spettacolo, Debord e perfino un vago accenno di Damasio (l’inferno è una memoria lacunosa).
Ma poi, come succede, si guarda soprattutto a se stessi e al proprio lavoro.
E mi sono venuti in mente tanti manoscritti (e libri), italiani e stranieri, che sembrano seguire un principio simile: dire e poi ri-dire; spiegare e poi ri-spiegare; mostrare e poi ri-mostrare. In un eccesso di risate, pianti, scoperte, misteri, segreti, rivelazioni, corse, inseguimenti, colpi di scena, nascite, morti…
È forse possibile che l’eccesso, il sovraccarico, l’iterazione siano diventati, in qualche modo, indispensabili?
È forse possibile che la chiarezza, la sintesi, la concisione siano diventate una sorta di ostacolo alla comprensione?
È forse possibile che quella ragazza ci rappresenti più di quanto vogliamo ammettere?

P.S. Mi scuso con le molte persone che mi scrivono o commentano e che ricevono in risposta un antipatico silenzio. Abbiate pazienza, vi prego. Risponderò a tutti.

12

01 2010

Accontentarsi

Non è che non abbia voglia di scrivere (per quanto).
È che qui non succede proprio niente.
Libri? Il solito. Leggere, buttare. Rileggere, accontentarsi.
Copertine? Il solito. Chiedere. Non ottenere. Accontentarsi.
Titoli e risvolti? Il solito. Provare. Riscrivere. Banalizzare. Accontentarsi.
Autori? Il solito. Chiedere. Non ottenere. Richiedere. Accontentarsi.
Persino le email degli “autori emergenti” sono grammaticalmente e formalmente corrette (i manoscritti poi fanno schifo, ma sai che novità).
D’un tratto, qualcuno si ridesta e mi manda un libro che ho chiesto a Francoforte. Nel 2007. E che ho già rifiutato nel 2008.
Qualcun altro mi manda un romanzo in ungherese e mi chiede una risposta entro una settimana. “Come mai tanta fretta? Un’altra CE italiana vuole pubblicarlo?” chiedo. “No, però vorrei sapere subito cosa ne pensi” è la risposta. Ma io, di ungherese, conosco solo il salame. E Hugo Matuschek.
Insomma, con tutta la buona volontà, si langue.
Sì, non sono mai contenta, lo so.

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07

01 2010

Soltanto oggi (LXV)

Misure
Accettate romanzi in fogli A4?

Procedure d’invio
Mi chiedevo se la Vostra CE vaglia autori emergenti e nel caso come inviarvelo (romanzo).

21

12 2009

Il popolo del té

Cartello Mentre fuori si parla di alabastri e ci s’indigna da una parte e dall’altra e poi si discute sulle modalità dell’indignazione da una parte e dall’altra e così via, ad nauseam, io sono qui e continuo.
A leggere, a correggere, a scribacchiare.
Mi permettete di chiamarla la mia lotta?
Grazie.
Per carità, non m’illudo. È una lotta di retroguardia. Timida, leggera, sussurrata. Scheggia, goccia, granello.
Però lotta è. Almeno per quanto mi riguarda.
Ascolto persone sostenere che il male nasce e germoglia dalle parole che si formano rapide su un monitor e che, altrettanto rapidamente, vengono viste su altri monitor. Come se il pensiero agisse in base a qualche legge creazionista.
Allora guardo le mie armi. Che sono nate nel IV millennio a.C. e che, da allora, sono rimaste in pratica immutate, anche se non bisogna più appuntirle o immergerle in qualche pigmento.
Poi guardo la virgola fuori posto, l’aggettivo inadatto, il periodo contorto. O noto la mancanza di un verbo, la forma burocratica, l’accento sbagliato.
E mi convinco sempre di più che da lì bisogna partire. Non soltanto, ma anche.
Non per ipercorrettismo. Non per snobismo. Non per inseguire uno stile. Non per dar ragione al grammatico.
Per cosa, voi lo sapete.

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17

12 2009

Preghiera natalizia

Natale. Come per miracolo, le quotidiane lagnanze “Ma quanto costano ’sti libri?” svaporano nell’aria diaccia e si condensano nel nembo “Massì, a regalare un libro si fa sempre bella figura con poca spesa.”
Lo so che la cosa vi fa sorridere, miei amatissimi lettori forti, voi che avete cancellato il nome della mamma accanto alla casella “Persona da contattare in caso di emergenza” per sostituirlo con quello del vostro libraio.
Ma so pure che, in questo periodo, la libreria diventa zona franca, popolata da avventizi della parola letta, da sbandati della letteratura, da traghettatori del cartonato. Tutti atterriti, ansiosi, famelici.
Ed è a loro che vorrrei rivolgere una preghiera.
Per piacere, non chiedete al libraio: “Devo fare un regalo… mi consiglia un bel libro?”
Essere superiore sotto molti aspetti, il libraio non può tuttavia leggere né nel vostro pensiero né in quello del destinatario del dono. Quindi vi consegnerà uno dei venti-trenta libri “più venduti”, voi lo regalerete speranzosi, la persona che lo riceverà lo avrà già letto (o ne avrà ricevuto altri tre in regalo) e la vostra bella figura diventerà una figura da peracottaro (o da cioccolataio, a seconda della zona geografica d’appartenenza).
Datemi retta: non chiedete nulla. Guardatevi semplicemente attorno per cinque-dieci minuti. Fatevi tentare da una copertina, da una frase, da un titolo, da una bandella. Come fareste per un foulard, per un paio di guanti, per una tovaglia. Senza pensarci troppo, senza inseguire nulla. Poi, leggeri e leggiadri, prendete un libro e pagate.
Al destinatario, potrete dire in tutta sincerità: “Sai, non l’ho letto ma, quando l’ho visto, mi ha colpito.”
Se poi vi chiede di sposarvi, però, come minimo voglio i confetti.

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07

12 2009

Parole

[Chiedo subito scusa per il tono eccessivamente personale e sfacciatamente criptico di questo post. Abbiate pazienza.]
Chi crede nel destino potrebbe dire che è un destino, il mio. Ci credo poco, io, anzi ci credo solo quando mi fa comodo, come capita a molti. Sarà che non so neppure io come ho imparato a fissare le parole con la lettura, sarà che la memoria uditiva è tenace, sarà (è) che lavoro (da) sempre con le parole, quindi, se non è destino, almeno ha una sua logica il fatto che, in questo periodo, tutto sembri concentrato sulle parole; in modo particolare su quelle non dette, ma anche sull’attenzione spasmodica per la parola in più e sulla preoccupazione tetra per quella in meno. Sarà che poi, nella vita, nei libri, le parole più importanti spesso non si dicono: nella vita, per paura (orgoglio, abitudine…); nei libri, per speranza di arrivare in cima alla montagna che ti permetta di vedere oltre le parole.
Insomma: in questo periodo, le parole mi si negano e io non ci sono abituata.
Spero che passi.

01

12 2009

Dove?

C’è solo una domanda che mi inquieta di più di: “Cosa leggi?” ed è: “Dove leggi?”
Leggo ovunque, in realtà. Ormai è una seconda natura, un impulso irrefrenabile. Ma esiste un luogo ideale per leggere?
Vediamo.

In ufficio

Pro: Essere in ufficio, seduta alla scrivania, a leggere.
Contro: [Voce della coscienza] “Con tutto quello che c’è da fare, tu te ne stai lì a leggere?”

Sui mezzi pubblici

Pro: “Oh, io sfrutto benissimo quell’ora-ora e mezzo, ormai ci sono abituata!” [Attenzione al tono stridulo, perché è quello che frega.]
Contro: Masse ferrose e umane oscillanti; voyeur della pagina scritta; abbiocco mattutino e serale; regolari, obnubilanti accessi d’ira contro il dio dei mezzi pubblici.

A casa, alla scrivania

Pro: A casa.
Contro: “Dannazione, sto seduta tutto il santo giorno, non ce la faccio più. Adesso vado sul divano (in poltrona) o a letto e mi metto bella comoda…”

A casa, sul divano (o in poltrona)

Pro: A casa, sul divano (o in poltrona).
Contro: “Uh, ma oggi è [giorno della settimana] e c’è [film, serie TV, talk show]!”

A casa, a letto

Pro: A casa, a letto.
Contro: Sonno istantaneo, risveglio con sussulto, fogli sparsi ovunque, scoperta che sono le otto del mattino e che non si è letta neanche una riga.

A casa, in bagno

Pro: A casa
Contro: “Ma guarda se mi devo ridurre a leggere pure in bagno…”

In giardino, in spiaggia, in riva al lago…

Pro: In giardino, in spiaggia, in riva al lago…
Contro: Ovvie limitazioni meteorologiche. E comunque: qualcuno avrebbe un giardino / una spiaggia / un lago da regalarmi per trasferire in blocco la CE?

Nelle sale d’attesa

Pro: Ridacchiare mentre gli altri leggono Panorama. Il numero 14. Del 1995.
Contro: Rendersi conto di essersi portati dietro un libro orribile e dover aspettare tre ore. In alternativa: rendersi conto di essersi portati dietro un libro interessante e aspettare tre minuti.

In tutti questi e in molti altri posti

Pro: Sto leggendo. E’ il mio lavoro e mi piace. Senza contare che ci sono lavori peggiori.
Contro: Uh, un flame su Friendfeed! / Uh, questa la metto sul Tumblr! / Uh, 23 email! / Uh, che bell’articolo! / Uh, un nuovo blog! [Ad nauseam]

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25

11 2009

Già che ci siamo (ovvero: piccoli punti fermi)

Se è un gesto, allora lo si fa di solito con le mani (comprese talvolta le braccia) o più raramente con la testa. Non c’è bisogno di specificarlo ogni volta. Già che ci siamo: bisogna essere cauti, con i gesti. Non è che di solito la gente si muove come Steve Martin.

Se ci si alza da una sedia, di solito si passa dalla posizione seduta a quella in piedi. Non c’è bisogno di specificarlo ogni volta. Già che ci siamo: è opportuno controllare sempre se qualcuno è già seduto o è già in piedi.

Ci si può “recare”, però molto spesso basta “andare”. No, non è più elegante. Già che ci siamo: (ri)leggere cosa ha scritto Calvino sull’Antilingua.

Il soggetto e il verbo sono fondamentali per comprendere una frase. Se sono troppo lontani, non si capisce niente. Già che ci siamo: soggetto e verbo devono concordare.

Si chiama “discorso diretto”. Se ogni volta si sente il bisogno di chiarirlo, spiegarlo, precisarlo, illustrarlo, allora qualcosa non funziona. Già che ci siamo: non parliamo tutti nello stesso modo. E soprattutto non parliamo tutti come se fossimo i protagonisti di un musicarello o di un peplum.

Non ci devono essere spazi tra la virgola, il punto e virgola, il punto, i due punti, i puntini di sospensione, il punto interrogativo, il punto esclamativo e la parola che li precede. Già che ci siamo: i puntini di sospensione devono essere tre. No, la suspense non aumenta se se ne mettono quindici.

23

11 2009

ER & CE

A: [Sospiro]
B: “Ma non potrebbero almeno dirci quanto ci vuole, eh?”
A: “Non lo dicono mai.”
B: “Il suo cos’ha?”
A: “Insufficienza grammaticale e fratture scomposte della sintassi.”
B: “Pure il mio ha l’insufficienza grammaticale. Con complicanze dovute a una debolezza strutturale pervasiva. Anche se dovesse farcela, mi hanno già spiegato che dovrà passare un sacco di tempo in una Casa di Revisione.”
A: “Uh, sono posti orribili.”
B: “C’è mai stato?”
A: “Sì. [Sospiro] C’è un gran silenzio. Ogni tanto si apre una porta e, più che vedere, s’intuiscono…”
B: “Cosa?”
A: “Tagli, espunzioni, rovesciamenti…”
B: “No!”
A: “Ti dicono che sono cose dolorose, ma necessarie… Però non sono certo infallibili, quelli, con tutte le arie ’da esperti’ che si danno!”
B: “Un mio amico ne aveva uno a cui teneva moltissimo. L’ha curato per anni, da solo. Senza chiedere niente a nessuno. Poi, a un certo punto, l’ha fatto uscire. Non riusciva più a tenerlo nel cassetto.”
A: “Capisco. E allora?”
B: “Non l’ha più rivisto. Sono passati almeno due anni. Non una riga, non una telefonata. Niente. Se non altro, noi una speranza ce l’abbia…”
[Voci concitate: "Codice rosso e blu!" "Livelli di coerenza a picco! Lo stiamo perdendo!" "Rianimazione ortografica!"
D'un tratto, cala il silenzio.
Una porta si apre. Una donna avanza nel corridoio, si ferma davanti a B e scuote la testa.
]
B: “Oh, no!” [Piange]
A: “Su, su, coraggio…” [Rivolto alla donna] “Sa, è il suo primo manoscritto…”
[La donna annuisce, lancia un’indecifrabile occhiata a B, poi si allontana.]

Tutto questo perché, ieri notte, arrivata all’84% [Kindle dixit] di un manoscritto, ho pensato che ci sarebbe da guadagnare parecchio, ad aprire in Italia un “Pronto soccorso manoscritti”.
Poi mi sono addormentata.

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20

11 2009

Soltanto oggi (LXIV)

Non abbastanza
Un anno fà vi ho spedito una mia opera storica con sfondo fantastico-immaginario. Nel frattempo l’ho corretto e l’ho fatta correggere. Siete interessati a rivederla?

Direi
Se dovessi etichettarlo per genere direi che siamo nell’horror-non-estremistico.

18

11 2009

Pronipoti e fratelli

Leggi un romanzo e arrivi alla fine di una pagina. Volti il foglio (o clicchi next page) e… nulla. Il romanzo si chiude lì. Neanche con un cliffhanger. Neanche con una dissolvenza. No, finisce proprio lì, affilato, netto, deciso, come se subito dopo ci fosse un altro capitolo.
E infatti c’è. Ma è il capitolo 1 del tomo II.
E il capitolo 1 del tomo II non è ancora stato scritto.
Però c’è un sommario.
Ah.
E va bene, leggiamo ’sto sommario.
Ah.
Toh, c’è un sommario pure del tomo III.
Leggiamo anche questo, suvvia.
Ah.
Mi stai dicendo che intendi impiegare 3 libri – e il primo l’ho letto tutto, bada, quindi so come scrivi – per raccontare una storia che – senza fatica, senza compressioni, senza sacrifici – ci starebbe comoda comoda in un unico volume?
Dal tuo punto di vista di autore, il perché è ovvio.
Dal mio punto di vista di lettore, lo è un po’ meno. Ammesso che io abbia comprato i 3 volumi, ammesso che li abbia letti tutti e 3… be’, alla fine ti manderei sonoramente a quel paese.
Ma forse sbaglio. Contrastare l’avanzata del serial-romanzo – ovvio pronipote del feuilleton e fratello delle serie TV – è probabilmente una battaglia persa. Anzi ho la sensazione che la gente ci sia quasi abituata, non ci faccia più troppo caso.
Che sia un bene o un male, però, non l’ho ancora deciso.

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16

11 2009

Ahi, novembre

È quel periodo sospeso perché la Fiera è passata e chissà se arrivo a quella del prossimo anno e comunque c’è tempo e nel mentre chissà magari mi decido a rispolverare seriamente il francese così posso chiacchierare con disinvoltura di Carlà (l’inglese rende tutto più alto o più basso di quanto non sia, è indiscutibile).
È quel periodo rassegnato perché se non hai comprato quel libro prima alla Fiera perché mai dovresti comprarlo adesso, dai.
È quel periodo inquieto perché non sarà che l’ho letto troppo in fretta, che mi sono lasciata condizionare, che dopo sono arrivati libri molto, ma molto più brutti e io ho scartato quello che proprio così brutto non era?
È quel periodo placido perché se non hanno venduto quel libro prima alla Fiera perché mai lo dovrebbero vendere adesso, dai.
È quel periodo tormentato perché comunque mi fanno fretta per decidere, quindi è stata soltanto un’abilissima mossa per tirare fuori il libro dal maelström della Fiera in modo che sia più facile notarlo e rendersi conto che è un potenziale bestseller.
Insomma: è quel periodo in cui i giochi di oggi sono fatti e ancora non so a cosa giocherò domani.
Nel dubbio, facciamo che la palla la porto io, va bene?

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13

11 2009

Ex voto

Se fai questo mestiere, ti capitano un giorno sì e uno no. All’inizio, sono stimmate, epifanie del tuo impegno, ex voto della tua dedizione. Con gli anni, si sviluppa un certo stoicismo, però rimangono fastidiosi, anzi sommamente seccanti. E ci vogliono settimane per farli sparire.
Che siano frutto di un complotto farmaco-editoriale, in cui le due parti in gioco incamerano grassi profitti all’insaputa di noi, povere vittime?
Chissà.
A ogni buon conto, se non volete considerare i taglietti con la carta alla stregua di un infortunio sul lavoro, dateci almeno dei cerotti che rimangono attaccati, per la miseria.

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12

11 2009

Spigolature (III)

11

11 2009

Sette giorni dopo (reazioni)

Breve rapporto dopo una settimana di Kindle.

Reazione fisica Le spalle ancora non ci credono che non dovranno più considerarsi uno spin-off di quelle di Atlante. La schiena ringrazia profusamente perché non sta più sempre china. Gli occhi non solo hanno superato indenni la prova, ma se la stanno pure spassando.
Reazione psicologica Sulle prime, incerta. Vedere il numero 14356 in basso a destra (là dove prima c’erano numeri intorno al 250-300) inquieta non poco. Ma il riscatto viene dal numero in basso a sinistra, quello della percentuale. Vedere – chessò – 54% dà un senso pieno di Ordem e progresso come direbbe un brasiliano.
Superato tale disagio, ci si bea della conversione pressoché istantanea e gratuita dei PDF e dell’efficacia della conversione casalinga grazie a Stanza (che gestisce anche i PDF, ma vuoi mettere il brivido dell’invio-ricezione in un soffio?); si gradisce alquanto la presenza di Wikipedia; si maledice – bonariamente – l’home page dello Store che, sfacciata, esibisce parecchi dei libri che si vorrebbero comprare; così, per supplire, si scaricano valanghe di classici.
Reazione sociologica Prevalentemente monosillabica all’interno dello spettro che va da “Uh!” (esclamazione d’invidia-sorpresa) a “Ah!” (esclamazione di vago disprezzo). L’esperienza rivela che gli “Ah!” finiscono per comprarlo prima degli “Uh!”
Reazione produttiva Ottima perché si legge ovunque, senza cartelline rigonfie, fogli che scivolano da tutte le parti, PDF senza numerazione di pagina che ovviamente si mescolano eccetera…
Reazione umana Pessima perché si legge ovunque. [Nota per me: O ne regalo uno a Mr Potts o gli chiedo di scrivermi quello che vuole dirmi e di fare un PDF, così lo posso mandare a convertire e poi lo leggo].
Reazione nostalgica Non pervenuta.

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09

11 2009

Dire, fare, rompere

Catriona: “Pronto?”
Amico (alla lontana): “Ehi, Catriona, ciao!”
C: ["Oddio. E questo adesso cosa vuole?"] C: “Uh, ciao. Quanto tempo… Come stai?”
[Banalità assortite]
A(al): “Senti…”
C: ["E ti pareva? Cos’è, hai scritto un romanzo? Hmm… No, non sei il tipo. Hai un amico che ha scritto un romanzo? Le possibilità sono pressoché infinite. Sorprendimi."] “Dimmi.”
A(al): “No, niente…”
C: ["Ahia."]
A(al): “No, è che sono qui con il mio amico Rossino de Rossini…”
C: ["E chissenefrega non ce lo metti?"]
A(al): “… che ha appena finito di leggere Feromoni per un delitto…”
C: ["Una persona attenta alle novità, eh? È uscito da due anni. E comunque: chissenefrega non ce lo rimetti?"]
A(al): “… e l’ha trovato pieno di errori.”
C: ["Strano. L'ha letto mezzo mondo, quel libro, e nessuno si è lamentato. Non si tratterà mica di un paio di refusi, eh?"] “Davvero? E di che tipo?”
A(al): “No, sai, probabilmente sono colpa dell’autore, di quel Charlie Charles.”
C: ["Respira, Catriona. Ne uccide più la calma della spada."] “Non credo. È stato rivisto con molta attenzione, anche da un chimico…”
A(al): “No… ehm…” [Borbottii indistinti, probabilmente del de Rossini] “… No, non sono errori scientifici.”
C: ["Hmm... Here comes the refuso again?"] “Infatti, mi sembrava strano. Ma quindi…”
A(al): “No… ehm…”
C: ["Se cominci un’altra frase con un ’no’, faccio cadere la linea."] “Per caso, il tuo amico li ha segnati, questi errori?”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["L’hai sfangata."] “Digli di mandarmeli, allora. Anzi mandameli tu. L’indirizzo email ce l’hai ancora, vero?”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["E tutto ’sto entusiasmo, da dove esce?"] “Ecco. Però non potremo fare granché. Sai, il libro è uscito da due anni…”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["Mah."] “Tuttavia non si sa mai. Magari lo ristampiamo.”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["Oddio l’infarto…"] “Grazie, eh?”
A(al): “Sì! Sì! Anzi: no! No! Grazie a te!”

L’email arriva dopo una settimana. Tre refusi. Tutti già corretti nella seconda edizione.

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05

11 2009

Condiscendenza

Il mio primo televisore risale agli anni dell’università. Era un portatile, con i tastini per cambiare canale (sdeng! sdeng!). Vibrava, gracchiava e scatenava sonore imprecazioni per via dell’antenna da regolare costantemente. Adesso – almeno quattro televisori dopo – ho un LCD da 40 pollici, full HD, con digitale terrestre integrato, eccetera.
Il mio primo lettore mp3 l’ho comprato poco dopo la laurea. Pesava più di mezzo chilo ed era così brutto e tozzo da sembrare un’apparecchiatura medica. Adesso – almeno tre lettori dopo – ho un iPod da 120 giga.
Il mio primo telefono cellulare l’ho comprato molto tardi. Era un oggettino fragile e precario, con un trillo perfora-timpani e con una batteria che durava il tempo di un sospiro. Oggi – almeno tre cellulari dopo – ho un Nokia E71.
Il mio primo e-reader è un Kindle. So benissimo che tra qualche tempo (qualche mese? un anno?), lo guarderò con la stessa nostalgica condiscendenza che oggi riservo a quel primo televisore, a quel primo lettore mp3, a quel primo cellulare.
Però oggi sono contenta e basta.

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02

11 2009

Pasticcieri

Non conosco pasticcieri, e questo mi dispiace. Perché avrei sempre voluto fare una domanda a un pasticciere, a uno di quelli che ha ereditato l’attività di famiglia, che è nato tra farina, zucchero e uova, è cresciuto tra cioccolato e canditi e ha poi deciso di glassare torte e di riempire bignè per tutta la vita. Ecco, a un pasticciere così chiederei se, col tempo, i dolci non gli sono venuti un po’ a nausea. Certo, non m’illuderei di essere la prima persona a fargli una simile domanda (mica ho detto che era una domanda originale); m’illudo tuttavia che un pasticciere così mi risponderebbe di no, soprattutto perché una pasticceria è un luogo privilegiato, in cui s’incontrano persone felici – bambini con gli occhi lucidi, adulti autorizzati a tornare bambini – e che questo contatto quotidiano con la felicità è più che sufficiente per spingerlo a continuare.
Se andasse così – se questa fosse davvero la risposta – forse capirei un po’ meglio quello che provo da qualche tempo; in altre parole, mi convincerei che quel senso di pieno, di ripetitività e di “già assaggiato” che avverto molto, troppo spesso è tale soltanto perché mi manca l’ultimo passo del mio lavoro, vale a dire il contatto diretto con le persone che leggono i miei libri.
Potresti aprire una libreria, diranno subito i miei piccoli lettori.
Giusto.
Ma poi parlo con un libraio – e di questi ne conosco – e capisco che quell’ultimo passo è tutt’altro che facile e non sempre gratificante.
E allora?
E allora anch’io non posso che continuare, magari cercando qualche nuova ricetta e senza soffrire troppo se mi chiedono di preparare un’altra – l’ennesima – crostata.
Per tutto il resto, c’è sempre il Dolce Forno.

28

10 2009

Soltanto oggi (LXIII)

Quali
Vorrei sapere in quali termini e in quali dimensioni valutate le opere (gialli) di autori emergenti.

Veterano
Reduce da un grande favore di pubblico in internet vorrei proporvi la mia opera [...]

Jump!
[...] ho deciso di fare il grande salto e di proiettarmi nel mondo dell’editoria che ha sempre avuto con me un grande fascino [...]

27

10 2009

Spigolature (II)

26

10 2009

Tchuss, Frankfurt (M-Z)

Piccolo riassunto post FBF 2009 (alfabeticamente organizzato; il primo tomo, A-L, lo trovate qui).
Mappa Il vero discrimine tra i professionisti e i visitatori. I primi la ignorano e si muovono come teleguidati, tagliando curve, saltando su scale mobili e camminando a passo più spedito dei marciapiedi mobili. I secondi la osservano a lungo, smarriti, e finiscono nella zona dei libri lituani, realizzando così il sempre spassoso tableau vivant: “Lettori sotto la tenda del padiglione: perplessi.”
Novità Ammesso che esista, è sempre in un ambito diverso da quello di cui ti occupi. Fai romanzi sentimentali? Le novità sono nel romanzo d’azione. Pubblichi saggi di alta levatura? Sorry, abbiamo solo testi divulgativi.
Organizzazione Sempre impeccabile, se si escludono le…
Perquisizioni Standard, rapide (insomma inutili) al Padiglione 8, quello degli americani e degli inglesi. Non standard quella all’ingresso: “Ha coltelli, pistole, spray antiaggressione?” “Certo. E ho anche ago e filo per ricucirmi da sola le ferite.” No, non gliel’ho detto; dubitavo fortemente che l’ironia fosse una delle qualità di quel marcantonio dall’occhio tanto ceruleo quanto assassino.
4 Il padiglione delle meraviglie. Corsie larghe il doppio, silenzio, bar deserti, bagni immacolati. E la zona “nonbook” per divertirsi. Peccato averlo saputo soltanto dopo.
Quittung Magari non sai neppure chiedere “scusa”, però la parola tedesca per “ricevuta” l’hai imparata fin dal primo giorno della tua prima fiera.
Realtà [senso della] Va completamente smarrito nel LitAg (il Literary Agents & Scouts Centre). Per avere un’idea di quanto sia surreale questo posto, basta dare un’occhiata qui. Quando sei lì dentro, potrebbe scoppiare un conflitto atomico e tu continueresti beatamente a parlare – chessò – di genre fiction.
Scrittori A mucchi, a dozzine, a iosa, trattati come principi, ma anche come pacchi da lanciare tra un Blaue Sofa e un (una?) Gespräch mit. Anche se hanno scritto un libro di barzellette sconce, fanno il loro lavoro con una professionalità invidiabile.
Toilette Sono quasi convinta di aver fatto pipì vicino a Herta Müller, però mi sembrava indelicato chiedere: “Scusi, è proprio lei quella che ha vinto il Nobel?”
Tassisti Come gli autori. A mucchi, a dozzine, a iosa. A differenza degli autori, però, tutti turchi. Comunque, nonostante il loro buon inglese, io la Quittung gliel’ho chiesta in tedesco (vuoi mettere la soddisfazione?).
Uscita Insieme a “tiratura” e “anticipo”, la parola pià usata della fiera. Poi sono stata messa di fronte a un libro con data d’uscita “autunno 2013″ e ciò ha suscitato in me un unico pensiero, vale a dire…
Voyager Nel senso che solo Giacobbo potrebbe finalmente spiegare il cosiddetto “Paradosso Spazio-Temporale del Padiglione 8″: dato come punto di partenza il Padiglione 5, il Padiglione 8 risulta raggiungibile dall’esterno in circa 3 minuti e dall’interno in circa 22 minuti (e grazie a parecchie scorciatoie). Se lo chiedete a me, è colpa di un Templare che ha trovato un modo nuovo per raggiungere l’Area 51.
Weißwurst Pessima idea.
Zappa Sono certa che me la sono data sui piedi. Succede sempre: troppe persone, troppi appuntamenti, troppi libri. Ma chissà come e chissà quando. Vuol dire che lo scoprirò alla prossima Buchmesse.

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20

10 2009

Tchuss, Frankfurt (A-L)

Piccolo riassunto post FBF 2009 (alfabeticamente organizzato)
Appuntamenti Pensateli come un carnet di ballo. Dopo un po’, volteggi senza pensarci più e ti ritrovi alla sera con i piedi gonfi e con un ricordo sfocato dei partner con cui hai danzato.
Aereo Per l’ennesimo anno, imperversa la battuta: “Se cade questo aereo, nell’editoria italiana si aprono un sacco di opportunità di lavoro.”
Bratwurst Per l’ennesimo anno, vincitore del premio “Profumo di Fiera.”
Cataloghi Scomparsi, dissolti, cancellati. Fine dello struggimento provato durante le prime fiere: “Lo prendo? Non lo prendo? E, se lo prendo, quanti milioni dovrò pagare di supplemento bagaglio?”
Cosplayer Il sabato entrano gratis. Non che io paghi il biglietto, ma sono tentata. Ho un anno per pensare a come. Suggerimenti?
Depressione Gli americani sono molto più depressi degli europei. Ci guardano pure storto, all’inizio, come se ci volessero chiedere: “Ma lo sapete che c’è la crisi?” Tempo un minuto, però, capitolano davanti al nostro Continental charme (che è un po’ come il Continental breakfast, leggero e di rapido assorbimento.)
Domenica L’unico giorno in cui varrebbe davvero la pena restare, perché gli espositori, pur di non riportarsi indietro i libri, li vendono a prezzi stracciati o li regalano. Ma la stanchezza vince sempre sull’ingordigia.
E-book Per l’ennesimo anno, “Premio Cenerentola.” Ma ho finalmente visto qualche Principe Azzurro con una scarpetta in mano.
Feste Scomparse, dissolte, cancellate. Disappunto di chi aveva imbarcato la valigia piena di strass e di tacco 12.
Gabbie Quelle all’aeroporto, destinate ai fumatori. L’effetto camera a gas è bilanciato dal vantaggio di scoprire come si dice “Il fumo uccide” in almeno 23 lingue diverse.
Hello! Per l’ennesimo anno, “Premio Traduzione Ambigua.” Può infatti significare: “Ma tu chi caspita sei?” “Proprio adesso che devo fare la pipì!” “Perché? Abbiamo un appuntamento?” “Oh, finalmente qualcuno che conosco.” “Complimenti per il ritardo.” “Bella giacca.” “Hai il mascara tutto sbavato, sai?” “Ho fame.” “Ho giusto un libro da sbolognarti, così non me lo porto indietro.” “Non ho una mazza da proporti.” Eccetera eccetera
Irlandesi Guinness a fiumi alle quattro del pomeriggio. Avendo ancora tre appuntamenti, ho declinato. E me ne sono amaramente pentita.
Libri Pochi. Sì, insomma, in numero minore rispetto agli altri anni. Ma sempre troppi.

(- continua -)

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19

10 2009

Sollecito

“Vi sollecito una risposta sul mio manoscritto perché sono stato contattato da un’importante CE per pubblicarlo e devo dare una risposta entro X giorni. Io però vorrei tanto pubblicare con voi…”
Oh, il caro, vecchio ricatto: “Perché non mi dai la Barbie Correttrice di Bozze? Vuoi farmi piangere?”
Autore che stai pensando di mandare un simile ultimatum sappi che:
1) In caso sia andata davvero così, il semplice fatto che tu non capisca la tua fortuna, mandando subito un’email con oggetto “Cicca-cicca-cicca” a tutte le CE a cui hai proposto il tuo libro e che non ti hanno voluto pubblicare, è segno indiscutibile che non te lo meriti affatto. E mi trattengo dal formulare ipotesi sul perché tu sia stato scelto.
2) Ti stai bruciando ogni futura possibilità di essere letto. Anche perché, dopo qualche mese, non resisterai alla tentazione di rimandare il manoscritto, rivelando così che è stato pubblicato (nel migliore dei casi) a pagamento.
3) E’ una frase così abusata che abbiamo un’elegante risposta standard: “Congratulazioni e in bocca al lupo”.
4) Chiunque ti abbia detto “Rompi le scatole, vedrai che ti rispondono” ti ha fatto un brutto, brutto scherzo.
Ma soprattutto:
5) Non ci crede nessuno.

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12

10 2009

Soltanto oggi (LXII)

Inclinazione
Mi rivolgo a Voi perchè mi risultate propensi a pubblicare romanzi del tipo che a me interessa e che io scrivo.

Non sto nella pelle
Apri l’allegato: il mio romanzo aspetta te.(1)

(1) Testo integrale dell’email.

P.S. Scopro ora che 1290 persone hanno votato per il Secondo piano. Il quale ringrazia, confuso e un po’ imbarazzato.

08

10 2009

I’ll Cry Instead

Forse non ti ho visto subito, è vero.
Eri confuso in mezzo agli altri, ai tanti. Inoltre era sera – anzi notte – e io ero un po’ stanca e parecchio disincantata.
Eppure mi sei piaciuto in fretta.
Brillante, energico, originale.
Mi sono detta: Sarà mio. Deve essere mio.
Illusa.
Non ero stata l’unica a notarti.
Me ne sono resa conto al mattino.
Avevi ricevuto molte altre proposte.
All’inizio decenti. Ma ben presto indecenti.
Mi sono impuntata. Ho affinato le mie arti persuasive. Ho scritto messaggi strappacuore. Ho fatto telefonate sospese tra l’orgoglio e la supplica.
Infine ti ho offerto tutto, senza riserve.
Invano.
Il pomeriggio non era ancora finito e tu te n’eri già andato.
Da qualcuno che ti aveva promesso ancora di più. Ma forse con meno cuore.
Perciò addio, caro manoscritto.
Ti auguro di essere un bestseller.
(No, non è vero: dentro di me, spero proprio che tu sia un gigantesco, leggendario, epico flop. Così impari a non ascoltare il richiamo del vero amore. Tuttavia non lo ammetterò mai: che diamine, sono una signora.)

07

10 2009

Consiglio spassionato

1) Sei un esordiente?
2) Hai scritto un romanzo o un saggio?
3) Vuoi mandare il tuo romanzo o il tuo saggio a una CE?
[Se hai risposto "sì" a una o più delle precedenti domande, prosegui. Se hai risposto "no", allora grazie, puoi fermarti qui. A meno che tu non sia curioso...]
4) Ti stai chiedendo quando mandarlo?
[Domanda legittima.]
Risposta:
a) Guarda qui e appuntati le date.
b) Calcola un mese prima e un mese dopo quella settimana (anche un po’ di più, se vuoi, per sicurezza).
c) Evita di mandare il tuo manoscritto in quel lasso di tempo. Dimenticatelo proprio. Rivedilo. Fallo leggere alla mamma o a tuo cugino (sì, quello che ti sta antipatico). Pensa a un altro titolo. Scrivi i ringraziamenti. Insomma fai quello che vuoi, ma non mandarlo.
Finirebbe sepolto sotto migliaia di pagine, sotto decine e decine di altri manoscritti più urgenti, più importanti, più promettenti. [A prescindere? Sì, a prescindere.]
E nessuno lo leggerà mai.

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05

10 2009

Soltanto oggi (LXI)

Acid-o, acid-a
A chi mi devo rivolgere per acquisire alcune basiche informazioni sul dove sono da spedire i manoscritti?

Caparra
Vi mando come acconto il riassunto del mio romanzo [...]

30

09 2009

Chiedo

Le fanno ancora?
No, chiedo: si organizzano ancora le gite – chessò – nelle fabbriche di biscotti, nei laboratori dei ceramisti, a vedere il contadino che munge la mucca?
Perché, nel caso, io avrei un’alternativa: vieni in gita in una CE.
Anzi, più che una gita (spesso noiosa), potrebbe essere un allegro campo di lavoro (questi ci sono ancora, l’ho letto sul “Manifesto”).
Buongiorno, accomodatevi. Tu potresti leggere questo (“Un foglio solo?” “No, tutti e 432. Ma non preoccuparti: sono tre libri diversi. E in un’oretta, eh?”); tu potresti correggere queste quattro bozze (“Come si fa?” “Penna rossa e lettura lenta… però non troppo, perché devono andare via oggi”); tu mettiti al telefono e cerca di convincere almeno dieci giornalisti su cinquemila a scrivere due-righe-due su questo libro (“Be’, non dovrebbe…” “Ne parliamo dopo, povero illuso”); tu, invece, siediti qui e obbliga i grafici a cambiare questa copertina (“Mah, in effetti, dovrebbero rendersi conto che…” “Già, povero illuso numero due”); tu crea un piano marketing che includa giornali, TV, cinema, affissioni stradali e ovviamente il web (“Bello!” “Già, e tutto con 23 euro, come da budget”).
Insomma avete capito. Ah, posso assicurare forti sconti a tutti quelli in grado di dimostrare di aver scritto alla CE almeno una volta, dicendo: “Ma come, vi ho mandato il mio manoscritto una settimana fa e non mi avete ancora risposto?”

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29

09 2009

Basta?

Entro in libreria e già lo so. Lo so che mi guarderò intorno e, come ogni volta, da tempo immemorabile, mi ritroverò incapace di frenare quel pensiero.
“Ma sarò scema?”
Poco mi consola sapere che, se così è, sono in buona compagnia, nel senso che ci sono almeno altre 37.999 persone come me; perché la domanda − quel pensiero − non viene mai esplicitata tra gli addetti ai lavori, se non in qualche serata stracca, ben sapendo che, la mattina dopo, si torna nell’omertà. Ma cosa pensiamo davvero quando lasciamo cadere un ennesimo fardello di pagine in questa valle di lacr carta? Cosa ci porta a credere di non annegare nell’oblio solo perché, oh, la copertina è così bella, l’autore è così bravo, il romanzo è così riuscito? Insomma: siamo forse scemi a voler continuare questo mestiere o quantomeno ciechi e sordi nei confronti di una realtà che, non appena mettiamo piede in libreria, ci batte sulla spalla e ci dice: “Non ti sembra sufficiente tutto questo?”
Ci credete che, in tutti questi anni, le uniche risposte che sono riuscita a darmi (a darle) sono:
1) No, perché il mio (e quello di altre 37.999 persone) è un lavoro (come un altro).
2) No, perché questa è un’industria (come un’altra).
3) No, perché non bisogna mai smettere di invitare la gente a leggere, in modo che capisca (meglio) la realtà che la circonda o che, semplicemente, trovi un modo per evaderne. Quindi bisogna sempre darle cose nuove,
Basta? Non lo so davvero.

P.S. Per il secondo anno consecutivo, sono sbalordita e onorata dal fatto che tanti di voi abbiano pensato al Secondo piano. Riconoscente, esporrò l’icona ufficiale e me ne vanterò con Mr Potts fino alla nausea. Però, dai, io voterei per lo Zio.

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24

09 2009

Perché? Perché? Perché?

Tutte le settimane mi dico: “Non farlo.” Ma poi ci casco. Sempre. Apro e guardo. No, non mi soffermo più come un tempo; non ho più l’età per certe arrabbiature. E infatti inciampo subito in un: “… sorprende questo Bildungsroman ambientato nel distretto di Banjul, irto di dolente sensibilità seppur velata da un afflato immaginifico…” seguito da un: “… presenta un saggio metaforicamente denso di suggestioni hussleriane…” e da un “… così il vissuto si stempera in una progressione che, latu sensu, è anche una regressione…”
Allora li vedo. Giovanni ed Elena e magari anche Giorgio, il loro primogenito, diciotto anni e una vaga, incostante passione per la lettura. Li vedo che scorrono quelle righe con la vaga speranza di trovare qualcosa e scoprono invece davanti a sé la Fortezza di Cultura, massiccia, inespugnabile, senza neppure una feritoia da cui far passare un po’ di divertimento leggero, di innocua identificazione, di lieta fuga.
Allora li sento. I pianti e i lamenti dell’élite: “Ma perché la gente non legge? Perché? Perché? Perché?”
Finché, pietoso, non arriva Mr Potts: “Oh, mi avevi promesso di smetterla con i supplementi culturali. Lo sai che ti fanno male, no?”

22

09 2009

Soltanto oggi (LX)

Eh
Il mio libro parla delle profezie del 2012 perchè bisogna saperle e soprattutto bisogna sapere cosa fare nel caso.

Nuove definizioni
Sono un’autrice amatoriale [...]

Trova le differenze
[…] se volete posso allegare al mio ms una o più sinossi [… ]

21

09 2009

Impalpabile

Lo so, faccio un mestiere impalpabile. L’editore, il traduttore e persino lo stampatore lasciano traccia del loro passaggio nel libro. Quello stesso libro che magari io ho scelto; per cui ho discusso con l’autore svariati giorni e parecchie notti; di cui ho letto prima, seconda, terza stesura nonché le bozze; di cui ho deciso la copertina eccetera.
Lo so, faccio un mestiere impalpabile. Da quando i dattiloscritti non ci sono più, da quando basta una combinazione di tasti per far sparire le revisioni da un file e rivelare un testo pulito, non ho più neppure la testimonianza della carta massacrata e dei segnacci blu, rossi o verdi a dimostrare che sono passata di lì.
Lo so, faccio un mestiere impalpabile. Un tempo si diceva “lavoro di concetto” (si dice ancora?), che per me si traduce in parole. Da leggere, da scrivere, da pronunciare. Comunque effimere.
Ed ecco perché, nel futuro della CE, immagino un dialogo più o meno così:

Anziana della CE “Uh, questo Catriona non l’avrebbe mai lasciato passare…”
Giovinetta della CE “Catr… Chi?”
A “Eh, già, tu non puoi averla conosciuta.” [Sospiro]
G “Ma chi era?”
A “In due parole?”
G “Mah, sì.”
A “Due parole due?”
G [Spazientita] “Sì!”
A “Un’emerita rompicoglioni.”

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17

09 2009

Io avviso

  • Vampiri maschi – di antichità pari allo sviluppo della muscolatura – che s’innamorano di un’umana e in alternativa: a) fuggono con lei perché sono vampiri; b) non possono fuggire con lei perché sono vampiri;  c) la rendono una vampira e soffrono; e) non la rendono una vampira e soffrono; d) soffrono perché lei non vuole diventare una vampira; e) soffrono perché lei vuole diventare una vampira; f) scoprono che l’aglio è buonissimo e aprono un ristorante insieme a lei;  g) grazie a lei, diventano imperatori della galassia; h) fanno sesso con lei (n.b.: di solito lo fanno comunque, in fuga, stanziali, sofferenti, ristoratori o regnanti che siano).
  • Giovani imbranati ma intelligentissimi (o viceversa) che incontrano adulti intelligentissimi ma imbranati  (o  viceversa) con conseguente scoperta, in alternativa, del: a) sesso (grazie a ripetute, sfinenti dimostrazioni pratiche); b) senso della vita (grazie a ripetute, sfinenti conversazioni); c) sesso + senso della vita (approccio olistico).
  • Assassini in paesi di 1.324 abitanti, di cui: n. 1 poliziotto ubriacone ma sveglio; n. 1 farmacista (avvocato, notaio, consigliere comunale) perverso ma apparentemente integerrimo; n. 1 panettiera (droghiera, macellaia, merciaia) ingenua ma pragmatica; n. 4 comari; n. 2 bambini petulanti ma osservatori;  n. 1 morto; n. 1.314 comparse (se la matematica eccetera).
  • Guerriere indomabili e dai lunghi capelli fiammeggianti (indispensabili!) che salvano un drago uscito da un uovo che è stato trovato grazie a un anello portato alla luce da un elfo, un nano, un guerriero nerboruto e un bue (molto saggio, però, il bue) e che è segnato da un’arcana maledizione che riguarda un drago uscito da un uovo eccetera.
  • Personaggi che hanno cambiato il corso della Storia, che sarebbe stata diversa ma nessuno sa come perché loro l’hanno cambiata, in alternativa: a) incontrando gli alieni (versione “originale”); b) incontrando l’autore (versione egocentrica); c) arrivando in un paese di 1.324 abitanti in cui è stato commesso un delitto (versione riciclo).

Io avviso: se mi dovessi imbattere in un altro manoscritto – uno solo! – in cui sono sviluppate una o più delle succitate trame, non risponderò più dei miei congiuntivi, delle mie virgole, della mia consecutio e di tutta la buona educazione che ne consegue e alla quale ho attinto per anni.
E vi farò pure le boccacce.

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16

09 2009

Il vil

Giovane Autore Esordiente “Scusi, io ho scritto questo romanzo. Cioè ne ho scritto un paio di capitoli e mi piacerebbe che lei lo leggesse, magari per dirmi cosa c’è che non va, così posso correggermi.”
Catriona “Magari?”
GAE “Sì.”
C “No.”
GAE “No cosa?”
C “Non ho nessuna intenzione di leggerlo.”
GAE “Ma, ma… perché?”
C “Mi spiace, il signor Chiacchierini ha la priorità.”
GAE “Sarebbe un altro giovane autore esordiente?”
C “No, il signor Chiacchierini è il mobiliere da cui ho comprato la cucina nuova e che aspetta di essere pagato.”
GAE “Mi sta dicendo che è una questione di soldi? Di vil denaro?”
C “Se vuole metterla in questo modo, sì, anche.”
GAE “Ma non le sembra giusto aiutare comunque un giovane autore, a gloria futura della CE?”
C “Direbbe a un muratore: ‘Senta, ho tirato su mezza parete in tinello, ma è venuta tutta storta. Me la verrebbe a raddrizzare – gratis – così capisco come si fa?’”
GAE “Probabilmente no. Ma chi sarebbe così stupido da fare un lavoro del genere da solo?”
C “Appunto.”
GAE “Appunto cosa?”
C “Chi sarebbe così stupido da cominciare qualcosa senza neppure sapere da dove si comincia?”
GAE “C’è una bella differenza tra una parete e un romanzo!”
C “Dice?”
GAE “Il primo è un lavoro manuale; il secondo è un’opera intellettuale.”
C “In teoria, sì. In pratica, per entrambi, si tratta innanzitutto di apprendere una tecnica e di saperla usare. E lei dice che ha bisogno di qualcuno che le insegni la tecnica.”
GAE “Ma lei non viene pagata anche per questo?”
C “Io vengo pagata per il mio tempo, per il mio impegno e la mia esperienza. Ciò significa anche che posso scegliere a cosa dedicare il mio tempo, su cosa investire il mio impegno e a cosa applicare la mia esperienza.”
GAE “E io non sono degno?”
C “Da quello che mi ha chiesto di fare, no.”
GAE “Ma la cultura, in tutto questo, dov’è?”
C “Per la cultura, lei esce da qui, prende la prima a destra, la seconda a sinistra e prosegue per un centinaio di metri. La troverà sulla sua sinistra. È molto grande, non può sbagliare.”
GAE “Eh?”
C “Mi ha chiesto indicazioni per arrivare a una biblioteca, no?”

10

09 2009

E poi dicono che hanno un vocabolario limitato

“[...] a Nergal è concesso soffocarci beatamente con le sevizie della sua chitarra mentre passa in rassegna l’eziotropismo religioso a cui è condannata l’umanità.”

(Filippo Pagani, recensione a Evangelion dei Behemoth, in “Metal Hammer”, agosto 2009, pag. 73)

P.S. (1) Ho dovuto cercarlo. E comunque non è che abbia capito.
P.S. (2) A detta di Mr Potts, Evangelion è “interessante”.

09

09 2009

In sovrimpressione

Mentre passa in sovrimpressione la didascalia: “Ci penso domani”, spegni il computer, la luce, chiudi la porta.
Ed esci.
Ci provi, almeno.
Perché lui è lì che ti aspetta. In agguato.
Ci passi accanto, lo vedi e la scritta in sovrimpressione scorre ancora per qualche istante, poi impazzisce e va fuori sincrono coi pensieri, che diventano: “Ma porca miseria! Non potevi arrivare un’ora fa, così avrei avuto tempo di…”
Ogni resistenza è vana.
Negli anni, ti sei inutilmente spezzata unghie e ferita polpastrelli, quindi sai che è inutile provarci a mani nude. No, le forbici in borsa non le hai e col cavolo che torni di sopra a prenderle. Tanto sai cosa fare: quelle maledette regge di plastica saltano via grazie alla fiamma di un accendino (sdeng, sdeng, sdeng, sdeng) e le chiavi di casa tagliano il nastro adesivo.
Un’innocua nuvola di carta spiegazzata.
E, sotto, lui.
In sovrimpressione accelerata, quasi illeggibile, la didascalia: “Autore? Sì. Titolo? Sì. Foto? Uhm, scura, ma sì. Frase? Brutta parecchio, ma sì. Dorso? Sì. Quarta? Sì. Bandella destra? [lettura a Mach 2] Sì. Bandella sinistra? [lettura a Mach 2] Sì. Oh, il prezzo? Sì. Frontespizio? Sì. Copyright? Sì.”
Soltanto allora lo rimetti giù con un sospiro, chiudi la scatola e la scritta ridiventa: “Ci penso domani.”
Non c’è niente da fare. Non c’è esperienza che tenga. Quando arriva il libro appena stampato, la didascalia in sovrimpressione vibra e dice, sempre e comunque: “Sarà andata bene, stavolta?”

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07

09 2009