Posts Tagged ‘libri’

Pitch

In America e in Inghilterra, all’interno del mondo delle CE, la parola pitch identifica quella descrizione (un po’) a effetto che l’autore (o l’AA o la CE) fa di un libro per “venderlo”. Deve essere chiara, sintetica,  allettante, andare al punto, incuriosire, svelare qualcosa ma non troppo. Un vero tour de force, insomma.
Ecco due pitch diverse per lo stesso, celeberrimo romanzo.

  1. “Murder! Intrigue! An insular circle of wealthy friends play a more and more dangerous game, resulting in deadly consequences for all. A must-read political thriller.”
  2. “A jaded but witty look at the shell-shocked ‘Lost Generation’ after WW1, examining the apathy and nihilism of the age through a clever noir plot and tight minimalist dialogue.”

Non l’avete indovinato? La soluzione è in questo post di Jason Pettus sul blog Authonomy. Se l’avete indovinato, leggetevi lo stesso il post ( e magari date un’occhiata all’intero progetto di Authonomy). Neppure io (!) avrei saputo illustrare così bene “the fine art of the book pitch”.
E poi non dite che non vi svelo i segreti del mestiere, eh?

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23

10 2008

Ieri, oggi, domani

L’altro giorno mi imbatto in una “lettera al direttore” di un lettore ventiseienne. Che si lamenta del fatto che i libri sono troppo cari e che le biblioteche non sono un’alternativa praticabile, perché le liste d’attesa per certi libri sono interminabili e, quando finalmente si arriva in cima, quel libro è già “passato di moda”.

Ieri sera, una giornalista ha lanciato in diretta televisiva il suo grido di dolore contro le librerie, luoghi desolati in cui ormai si trovano in prevalenza volumi inutili se non spregevoli, per di più corrotti da errori di grammatica e di ortografia. Il rimedio? Rieditare un certo romanzo russo “esaurito ma non fuori catalogo” (sic) di 858 pagine.

Oggi contemplo queste due posizioni con la voglia di prendere il ventiseienne e la giornalista a calci nel sedere e, nel contempo, di dar loro ascolto. Com’è possibile che si applichi l’etichetta “caro” a un prodotto che può costare 5, 6, 7 euro? Com’è possibile che un libro “passi di moda” come una Pinko Bag? Com’è possibile che si dipinga la libreria come un posto così squallido? Com’è possibile che il piacere della lettura si debba incarnare in un unico libro, per quanto bello e importante?

Eppure entrambi sono lettori, i miei veri datori di lavoro. Quindi, da qualche parte, in qualche piega del loro ragionamento, ci deve essere un granello di verità. Posso soltanto promettere che cercherò di trovarlo.

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06

10 2008

Partenze, party, latinorum

  • Il nuovo trend della Fiera è non prendere appuntamenti al sabato. Ovviamente io ne ho un po’ e temo che, in qualche caso, mi troverò a fissare un tavolino vuoto dopo aver fatto una corsa mozzafiato tra i padiglioni. E la sensazione sarà quella di essere arrivata a un appuntamento al buio senza trovare nessuno perché l’altra parte – che ti ha osservato di nascosto – non ti ha ritenuto degna neppure di un anodino scambio di convenevoli.
  • Quest’anno mi do alla mondanità: (almeno) due party. Per essere ammessi, bisogna presentare l’invito, il pass e un documento con fotografia. Probabilmente si viene pure perquisiti. Date le premesse, come minimo mi aspetto di trovarmi accanto a George Clooney, Al Gore e Britney Spears. Oppure a un sacco di arabi.
  • No, caro AA, non mi lascio impietosire dal fatto che mi mandi un’email con le ultime recensioni del libro-che-vuoi-piazzare-a-tutti-i-costi-prima-della-Fiera alle 23.43 di sabato sera. E che me ne mandi un’altra alle 8.12 di domenica mattina. E che il lunedì mattina alle 8.15 mi dici che l’hai venduto in Ungheria. Gutta cavat lapidem, certo. Ma anche A posse ad esse non valet consequentia. Rassegnati.
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23

09 2008

Beata te

“Beata te, che leggi tutto il giorno!”
A parte che non è vero, vorrei proprio vederlo, quello che dice così, a leggere tutto il giorno. Soprattutto a leggere libri che ti arrivano così, nudi, magari lontani anni luce dai propri “gusti”. E a farlo con davanti il bivio “scegli o scarti”. Nel giro di un’ora (sono buona) comincerebbe ad agitarsi, a sbuffare, a distrarsi.
Ammettiamolo, una buona volta: leggere è faticoso.
È faticoso come incontrare una persona nuova, della quale devi (vuoi) conoscere magari non tutto, però qualcosa; come arrivare in un Paese straniero senza cartina o guida; come ritrovarsi circondato da individui che parlano una lingua di cui tu conosci i rudimenti, ma non le sottigliezze.
È bello, tutto ciò?
Indubbiamente. È più che bello.
Ma è anche faticoso.
E tu che adori leggere, che vorresti un libro in mano a ogni persona sopra i sette anni, che esalti il ruolo della parola scritta in questa società dominata dagli stimoli visivi e sonori, sì, proprio tu (mon semblable, mon frère!), non devi dimenticarlo mai. In particolar modo quando ti lanci in una delle tue giustissime, sacrosante tirate a difesa del libro.
Non nascondere mai che leggere è fatica. Ma poi aggiungi che è una delle poche fatiche a essere sempre premiate.

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18

09 2008

Scoperte, ritorni, inizi, versioni

Il torrente di proposte pre-F si sta ingrossando.

  • Con incredibile ritardo, gli americani hanno scoperto l’astrologia. E si sono scatenati – librescamente parlando – al punto che un autore si presenta come esperto di “medieval and renaissance-horary astrology”.
  • Sono martoriata da AA che mi offrono il terzo (o il quarto, o il decimo) libro di una serie dopo che ho rifiutato i primi due (tre, nove) rispettivamente nel 2007, nel 2006, nel 2005 eccetera. Probabilmente contano sul mio progressivo rimbambimento senile. (E non è detto che sbaglino.)
  • “Lo so che questo personaggio/tema non è molto conosciuto/diffuso in Italia…” Quando le email iniziano così, possono soltanto peggiorare.
  • “Ti mando il manoscritto completamente editato…” … di un libro che ho rifiutato due mesi fa. In questo caso, porgo i miei più sentiti ringraziamenti a Word e alla funzione “confronta versioni”. Spietata, ma indispensabile per accorgersi che “completamente editato” in questo caso significa: “abbiamo aggiunto qualche virgola”.
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16

09 2008

Classe

“Vuoi tu, rappresentante di vendita della CE, prendere in matrimonio questo libro, esaltarlo, promuoverlo e chiederne ristampe finché macero non vi separi?”
“Ehm… Sì, in linea di massima, sì. Prima, però, posso rileggere il contratto prematrimoniale?”

Se un libro va male, la CE (tutte le CE?) prende la cosa con una certa classe. A meno che quello non fosse l’unico, assoluto, incontestabile libro su cui si giocava il destino di un anno intero, non ci sono di solito processi pubblici, ma c’è un dolore silenzioso, esplicitato in profondi sospiri o in esclamazioni poco ortodosse. Sarà il tempo a mettere su quel libro l’etichetta “disastro”, a dargli un posto nelle leggende dei babau editoriali e – si spera – a farlo cadere all’oblio.
Soltanto una parte della CE darà voce al dolore. Quella formata dai rappresentanti di vendita, che non avranno timore di rammentarti lo smacco, soprattutto se recente. Di chiedertene conto, ragione, genesi. Eppure anche loro lo faranno (spesso) con rispetto e preoccupazione, come se raccontassero di un parente che scoppiava di salute e che poi si è ammalato in modo tanto inspiegabile quanto grave. Te ne parleranno abbassando la voce, scuotendo la testa, dolenti e confusi.
Forse non ammetteranno la loro (eventuale) parte di colpa, ma va bene così.
Perché i libri da sposare non finiscono mai.
E qualche matrimonio, in fondo, riesce davvero bene.

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12

09 2008

Cortocircuiti

Ieri, un AA mi ha scritto che, se un’altra CE deciderà di non pubblicare più un certo autore, allora proporrà a me i libri di quell’autore. Il problema è che l’altra CE è la mia CE.

Oggi, ci ha scritto un “affezionatissimo” lettore, sperticandosi in lodi nei nostri confronti, enumerando i nostri libri presenti nella sua biblioteca e chiedendo se per favore gli procuriamo quel certo nostro libro, che lui sta cercando da moltissimo tempo e che non riesce a trovare. E che non è pubblicato da noi.

Ho deciso: la prossima tappa del mio percorso professionale sarà lo sdoppiamento della personalità. E della CE.

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11

09 2008

Corde

La diplomazia non è nelle mie corde.
Ecco perché già mi preparo mentalmente a quello che dovrò fare tra un mesetto, alla Fiera.
Sorridere all’AA che mi ha venduto un libro al triplo di quanto avrei dovuto pagarlo perché “Oh, l’altra CE chissà come ha saputo che lo volevi e io no-no-no non volevo darglielo, ma sai, dato che chissà come l’altra CE l’ha saputo, proprio non me lo spiego no-no-no, ho dovuto mettervi in gara…”
Rammaricarmi con l’editore straniero perché l’unico libro che mi ha venduto in tutti questi anni è stato una frana. “E neanch’io capisco perché… E’ così bello… Eh, il mercato dei libri in Italia…”
Spiegare all’AA che, anche se quel libro va fortissimo in Olanda, non è detto che la cosa si debba ripetere in Italia.
Insomma: tutto un sorridi-rammaricati-spiega.
La diplomazia non è nelle mie corde.

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08

09 2008

Mestiere

Si può insegnare questo mestiere?
Ovvio che sì: è un mestiere.
Talvolta però mi sembra di no.
Lo so, è un’affermazione che suona subito un po’ superba e altezzosa, e che sembra discendere in linea diretta da quella superbia e da quella altezzosità tutte “intellettuali” che, secondo il pensiero comune, caratterizzano (quasi tutti) quelli che lavorano in una CE.
Ma è l’esatto contrario.
Alla fine, dopo aver studiato, elaborato, assimilato; dopo aver letto il leggibile ed esserti sentito in colpa per non aver letto il resto; dopo aver sognato prima e lottato poi, ti rendi conto che l’unico modo per affrontare questo mestiere apparentemente così intellettuale ed etereo è un assoluto pragmatismo.
Perché il libro è innanzitutto una cosa. Un oggetto. E va costruito, fatto, pezzo per pezzo.
E, se non sei pragmatico, concreto, pronto a “sporcarti le mani”, non soltanto ti sarà impossibile farlo bene, ma non ne ricaverai neppure la minima soddisfazione.

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03

09 2008

Insapore

I libri ricominciano a fluire, soprattutto dall’estero. E ci si ritrova in un botto uguali a prima, cioè piuttosto cinici, disincantati, giudicanti all’occhiata: poliziotto buono e ottuso contro assassino cattivo e geniale; mamma infelice e malatissima ma indomita (anche se con figlia stronza); cosa vogliono i cani (i gatti, i pappagalli, le cimici); dove va l’economia mondiale (nazionale, regionale, di Poggio Versezio); biografie “definitive”, autorizzate, semiautorizzate, “mi-ha-detto-che-se-la-pubblico-mi-strozza”… Si mastica e non si sente sapore. Poi si addenta qualcos’altro.
L’ho sempre detto che non bisognerebbe mai andare in ferie. Si perde l’abitudine all’insapore quotidiano.

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02

09 2008

Stare fuori

“Vorrei fare il correttore di bozze o l’editor.”
Avessi un respiro in più per ogni volta che ho letto questa frase in un curriculum, sarei certa di campare fino a 130 anni. Ci sono giorni in cui capisco chi scrive cose del genere. Per chi “sta fuori”, l’editoria può somigliare a un sogno psichedelico. E’ un indistinto fruscio di fogli vergati, una cacofonia di ruoli. Talvolta è difficile capire chi fa cosa.
Però ci sono momenti in cui prende corpo un pensiero maligno: non sarà che l’ambizione di lavorare in una CE equivale allo spirito con cui si affrontano certi esami universitari, quelli del tipo “lo preparo in due giorni”? Esistono ancora? Credo di sì. Qualche lezione distratta, qualche concetto assimilato e poi un confronto rapido, dall’esito quasi certamente positivo. Fuor di metafora: non è che si pensa di voler lavorare in una CE perché, in realtà, non si lavora davvero? Leggere bozze? E che ci vuole? Scegliere un libro? Uh, sai che fatica! Rivedere un testo? Mah, qualche virgola qua e là…
Non dico che lavorare in una CE equivalga al proverbiale lavoro in miniera né a fare il camionista o il fornaio. Però una CE non è un serpentone meccanico manovrato da persone che si limitano a spingere il testo dall’autore al lettore.
Sì, lo so, non è facile da spiegare. Sì, lo so, l’apparenza può essere quella.
Mettiamola così: lavorare in una CE è un po’ come essere un atleta. Dieta ferrea (parole a colazione, pranzo e cena), esercizio costante (limatura, lettura, elaborazione…) e concentrazione sull’obiettivo (il libro). Dimmi un po’, tu che scrivi “vorrei fare il correttore di bozze o l’editor”: sei veramente disposto a fare tutto ciò e non soltanto per qualche settimana? Oppure pensi di sederti a una scrivania e di limitarti a spingere fogli da un capo all’altro del serpentone?

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29

08 2008

69 & 163

Charlotte Stretch sul Guardian rilancia una teoria che avevo già sentito, ma di cui mi ero dimenticata. Secondo Marshall McLuhan (ma qualcuno lo legge ancora?) per capire se un libro può piacere, basta leggere la pagina 69. Vi convince? Allora comprate il libro (e/o leggetelo). Ignoro se esistano elementi scientifici a sostegno di questa teoria. Però cercherò di verificarla, magari coi manoscritti italiani che ricevo, se non altro per non buttarli via dopo la lettura della pagina 1. Vi terrò aggiornati.

Nello stesso articolo, si cita: How to Read A Novel: A User’s Guide di John Sutherland, autore che conosco per un altro libretto assai utile e istruttivo: Bestsellers: A Very Short Introduction. Secondo Sutherland, per leggere il mezzo milione di romanzi disponibili su Amazon.com ci vorrebbero 163 vite. Anche qui, i fondamenti matematici mi sono ignoti, però mi sentirei di puntualizzare una cosa: talvolta mi sembra che ci vogliano 163 vite soltanto per arrivare alla fine di un libro.

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28

08 2008

Viva Gibert, Giuseppe e il Giovane

Au bord de la Seine, sotto un magnifico cielo cangiante (alla faccia dei manifesti che evocano i pericoli della canicule), ascolto le lamentazioni di una mia autrice, donna tanto deliziosa quanto concreta nonché parigina da generazioni: le librerie stanno chiudendo, la gente non legge più, i libri sono in crisi… Poi faccio un giro nei dintorni (ma anche oltre): vicino all’Institut du Monde Arabe, su strade parallele, ci sono la Librairie Avicenne e la Librairie Averroès (saranno in feroce competizione?); lì accanto ci sono librerie di storia, di filosofia, di cinema… Molti passanti si fermano, alcuni entrano. In giro, nei caffè, sulle panchine, la gente legge, tanto, di tutto. Infine entro in quel tempio che è Gibert Joseph e lo trovo brulicante, turbinante, esaltante di persone. Guardo con stupore sempre uguale e sempre rinnovato la parete della Bibliothèque de la Pléiade, le file e file dei Folio, le classificazioni intelligenti, le segnalazioni puntuali e quasi mai scontate e, soprattutto, i volumi nuovi accanto a quelli con la striscetta gialla “Occasion” sul dorso. Non separati – confinati, esiliati – in tristi librerie “di seconda scelta”, ma accanto a quelli nuovi. E la stessa cosa si ripete nella libreria gemella, Gibert Jeune. Persino i giornali sono pieni di libri, con l’elenco dei più attesi per la rentrée. Forse la mia autrice ha ragione, forse questo è un fenomeno prettamente parigino, ma l’orlo del burrone per loro mi sembra ancora lontano.

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22

08 2008

La sindrome della pagina nera

Poveri inglesi: un quarto di loro non legge e anche quelli che leggono sono in grave difficoltà. Come racconta Stuart Jeffries sul Guardian molti non riescono a finire i libri, perché ne comprano troppi. E’ il reader’s block, conseguenza diretta della mancanza di un (adeguato) writer’s block. Capisco che la situazione sia davvero tragica, quindi, se anche voi siete affetti da questa terribile “sindrome della pagina nera”, ecco qui, in sintesi, i consigli di Jeffries:

  1. Siccome leggi per piacere, sei autorizzato a mollare un libro noioso.
  2. Va bene chiedere agli amici cosa leggere, ma, vivaddio, la vita è troppo breve per finire intrappolati in uno di quei gruppi di lettura formati da “bulli intellettuali”.
  3. Varia la tua “dieta di lettura”. Dopo aver banchettato a Philip Pullman, pulisciti la bocca con un sorbetto à la Novella 2000.
  4. Se hai una vita frenetica, quindi hai poco tempo per leggere, non iniziare mattoni tipo Guerra e pace. Una silloge di poesie è meglio.
  5. Leggi a voce alta. E’ un modo fantastico per coinvolgere gli altri.
  6. Usa gli audiolibri.

Eh, lo so è dura. Per fortuna, noi italiani siamo messi meglio: siccome il 40 % di noi non legge neanche un libro all’anno, l’incidenza di questa sindrome sulla popolazione è tollerabile. Per gli altri, poi, magari c’è già stato un certo Pennac che ha detto qualcosa al riguardo. Ma si sa, chiedere a un inglese di riconoscere l’esistenza di un francese è un’impresa davvero improba. Più che finire Guerra e pace senza annoiarsi.

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28

07 2008

Ospiti

L’autore straniero viene in Italia perché gli abbiamo chiesto di promuovere il suo nuovo romanzo. E fa egregiamente il suo lavoro: è puntuale, preciso, cortesissimo coi giornalisti. Ma soprattutto è instancabile. Parla in continuazione, di tutto: racconta di sé, della sua famiglia, vuole sapere perché le nostre città sono coperte da cartelloni di donne nude, fa le sue proiezioni sulla situazione politica mondiale, poi domanda quale sia la situazione politica in Italia e si perplime adeguatamente ascoltando le risposte.
A mezzanotte, il suo uditorio è stremato. Lui invece è “fresco come un giglio, / o rosa colta allor di su la spina”.
Ed è in quel momento, il momento delle confidenze, quando dalle formalità si è passati (quasi) all’amicizia, che lui ti rivela la verità: vuole ambientare in Italia il suo prossimo romanzo. Ecco perché ha accettato con tanto slancio il nostro invito e perché si fermerà qualche giorno in più.
Puoi lasciarlo solo?
Certo che no.
Gli trovi una guida professionista, lo osservi scattare milioni di foto e prendere frenetici appunti su qualsiasi cosa. Gli traduci interi articoli di giornale o brani di un volume ottocentesco sulla storia delle Repubbliche Marinare. Lui si sforza costantemente di capire quello che dici e poi ti chiede di scrivere quello che hai detto.
Infine torna a casa e scrive.
Il romanzo risultante ha 1 scena ambientata in Italia per complessive pagine 2, con almeno 1 errore a pagina.
Eppure io lo difendo: perché evidentemente ha deciso che era meglio non ambientare il suo romanzo in Italia, perché ha comunque sfruttato il viaggio per ricavarne qualcosa e perché non è colpa sua se l’editor gli ha cambiato “berretta cardinalizia” in “beretta cardinalizia” forse per personale simpatia nei confronti di una certa ditta italiana nota anche all’estero.
E poi, vuoi mettere la soddisfazione di essere citati nei ringraziamenti di un romanzo straniero?

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22

07 2008

La (nostra) fantasia al potere

Il prossimo che si lamenta della bruttezza delle copertine italiane lo mando a farsi un giro su Bad book covers (covers e non books, eh?) Un’esposizione davvero istruttiva, che insegna come i libri di genere più definito (horror, science-fiction…) siano evidentemente quelli più difficili da “comunicare”. Ma che spiega anche come sia cambiato – le copertine sono un po’ datate – il modo di attirare il lettore verso il libro (o il genere). Siamo diventati più raffinati, insomma: non abbiamo più la necessità di vedere l’oggetto/il soggetto del libro, perché ce lo immaginiamo da soli o facciamo ricorso alle infinite sollecitazioni esterne al libro per immaginarcelo.
Qui potrebbe partire un discorso sulla purezza della fantasia nel lettore d’antan, sulla sua disponibilità a farsi catturare dalla magia del libro, ma sarebbe un discorso tanto nostalgico quanto sbagliato. Personalmente sono contenta della libertà concessa dall’astrazione (se così si può chiamare) nelle copertine attuali, perché credo che parlino a voce più alta e chiara e che siano molto più fiduciose nei lettori e nelle loro capacità.
Inoltre, scusate, ma la scelta di una copertina come questa probabilmente indurrebbe i miei colleghi a farmi prendere un appuntamento con lo psicanalista. E pure in fretta…

Herbert

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16

07 2008

Un’immagine vale +

Le banche d’immagini davvero utili sono pochissime. E i temi dei libri non sono poi così variati.
Ecco perché le copertine sembrano (e talvolta sono) tutte uguali.
Ed ecco perché ricevo con sempre maggiore frequenza email o telefonate di questo tenore:

Ciao, ho cercato albero+strada+dinosauro+bandiera+uomo e non ho trovato niente. Avresti qualche altra idea per la copertina? Altrimenti siamo bloccati.

Ciao, ho cercato donna+casa e ho trovato 85.000 risultati. Passeresti da me per fare una selezione?

Ciao, l’immagine che ti piaceva è già stata venduta a un’altra CE. Vuoi che la usiamo lo stesso, virandola in magenta oppure in giallo? O dobbiamo proprio cercarne un’altra?

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14

07 2008

Bambini

Certi autori sono come bambini.
Si esaltano a ogni telefonata che ricevono e si adombrano per ogni critica, poi ci ripensano e ti ringraziano.
Ti lusingano (“Ma certo, in mano tua…”) e poi s’insospettiscono (“Ma se cambi le virgole, me lo dici, vero?”)
Ti chiedono “ancora cinque minuti” e poi passano tre settimane. Passano tre settimane e poi chiedono “ancora cinque minuti”.
Ti mandano email a orari impossibili per vedere se rispondi subito.
Ti raccontano il loro libro (600 pagine) per telefono, soltanto per capire se afferri il senso di “quel personaggio secondario che però è importante perché…” (E tu non ci azzecchi mai.)
Sbalordiscono davanti a qualsiasi materiale che tu abbia preparato per la promozione del libro, si schermiscono, poi lo mandano anche allo zio d’America che non vedono da trent’anni.
Prendono in mano il libro finito come se non fosse stato voluto, pensato e scritto da loro e dicono: “Però è bello.”
Certe volte mi piacerebbe lavorare sempre con gli autori americani, quadrati, efficienti, iper-professionali. Altre volte, tuttavia, mi diverto un sacco a giocare con i bambini di casa nostra.

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10

07 2008

Biciclette o cubi

Scrivere una bandella è quasi come andare in bicicletta.
Nel senso che più ci vai (più scrivi) e più ti viene facile.
Ma in bicicletta tutti, prima o poi, riescono ad andarci. Scrivere bandelle, invece, non riesce proprio a tutti. Senza contare che, ogni volta, bisogna scoprire dove sono i pedali e come si usano, cioè come e cosa scrivere.
Negli anni, ho letto bandelle così assurde da rasentare il grottesco: rivelazioni inopinate (“E, nell’ultima pagina, il protagonista muore…”), scivoloni recensoriali (“L’autore si sforza di essere vivace e, in alcuni punti, ci riesce…”), contorsioni pseudo-letterarie (“L’organicità semantico-strutturale del romanzo si connota di elementi pre-avulsi…”), eccetera eccetera.
Prima di mettervi a ridere, però, provateci. Salite in bicicletta… cioè scegliete un romanzo (con la narrativa è un po’ più facile), uno qualsiasi, dal classico più classico a quello che oggi è in testa alle classifiche. Ecco, adesso, in 1500-2000 battute al massimo, provate a raccontare la trama (ma non troppo, sennò il lettore si irrita), a descrivere i personaggi (mica tutti, sennò vi viene fuori un lenzuolo), a definire l’atmosfera, lo stile, il genere, la forma. Tutto ciò cercando di convincere – con eleganza – il potenziale lettore di avere in mano esattamente il romanzo che stava cercando.
Ecco, sì, così… no… no… frena, frena, frena!!
Talvolta mi piace pensarla così: la bandella è un cubo di Rubik che tu risolvi per il lettore. Gliela mostri per qualche istante, ordinata, coerente, armoniosa, e poi la ri-scombini, lasciando a lui il piacere di risolverla di nuovo. Leggendo il libro.
Comunque, biciclette o cubi, rimane una faticaccia.

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03

07 2008

Pigro

Talvolta basta che un paio di colleghi vadano in vacanza perché il fremito incessante del secondo piano si smorzi. E, come se volessero approvare quella pausa, le e-mail si diradano, le telefonate diventano meno insistenti, gli autori autorizzano in silenzio, i traduttori sudano in casa loro e i revisori limano nella propria.
Hai quasi paura a pensarlo: “Ma davvero? E’ arrivato? E’ lui?”
Ebbene sì, è lui: il pigro giorno di lettura.
Manoscritti colpiti dalla maledizione del “lo leggo dopo” salgono alla ribalta.
Testi urgenti vengono esaminati con rapidità.
Libri coperti dalla polvere del tempo riemergono dagli scaffali.
Rapporti di lettura risorgono dall’oblio.
Così il pigro giorno di lettura avanza, lasciando dietro di sé un ufficio rinato, con meno carta e con un ordine invidiabile.
E, anche se non hai trovato neppure una riga degna di essere pubblicata, lo ringrazi, perché ti ha riconciliato – almeno un poco – con il tuo lavoro.

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01

07 2008

Lutto e melanconia

Tutti, nel proprio lavoro, hanno cose che odiano in maniera tanto illogica quanto viscerale.
Nel mio caso, sono le cianografiche.
Forse ho già spiegato che le cianografiche sono l’ultimo stadio “controllabile” di un libro, il momento in cui si dà il famigerato “visto si stampi”. E’ l’ultimo pezzo di legno cui aggrapparsi per capire se c’è un concreto orizzonte alle viste (l’uscita), l’ultima speranza di vedere il refuso maligno o l’errore marchiano.
In primo luogo, le cianografiche puzzano. Terribilmente. Un odore di ammoniaca che ti entra dentro come uno spirito demoniaco e non ti molla per ore. Ti danno un immediato senso di ospedale, come se il libro che stai “licenziando” fosse un malato gravissimo, senza la minima speranza di sopravvivere.
In secondo luogo, sono difficili da maneggiare. O sono lunghe lunghe (immaginate l’estensione di due libri sovrapposti e uniti a blocchi di sedicesimi, diciottesimi eccetera) o sono sfuggenti come bisce (fogli singoli o quartini, su cartaccia, tagliati male).
In terzo luogo, richiedono un tipo di lettura straniante: verifica della successione dei numeri di pagina, verifica che l’ultima riga di una pagina continui nella prima riga della pagina seguente, verifica delle pagine bianche eccetera. E, in tutto ciò, c’è sempre la paura che l’occhio “cada” sull’errore.
Insomma non c’è niente in loro che dia un minimo di soddisfazione.
E non mi venite a dire che adesso non puzzano più (sono semplici stampate del file consegnato), che sono fogli sciolti e quindi meglio gestibili, che il maggiore controllo sul testo ha reso quasi inutile la lettura straniante.
E non m’importa neppure che, di cianografiche, io non me ne occupi quasi più.
Io continuo a odiarle.
E so benissimo che nonno Sigmund avrebbe qualcosa da dire al riguardo.

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18

06 2008

Sonde

Negli ultimi tempi, stanno aumentando quelle che io chiamo “sonde”: “Ho buttato giù questa idea…” “Mia mamma mi ha detto che dovevo inviare questo racconto…” “Vorrei soltanto sapere cosa pensate del mio stile…” “Mi piacerebbe sapere se ho un futuro, quindi vi mando le prime due pagine di un romanzo che non ho ancora finito, ma che è il primo capitolo di una trilogia…”
A parte che nessuno si sognerebbe di andare da un avvocato, chiedergli un parere e poi andarsene senza aver pagato la parcella (capite cosa voglio dire, vero?), mi colpisce quanto sia vago il concetto di (nostro) tempo disponibile e di (nostra) professionalità che emerge da queste proposte. E’ l’audizione della velina-scrittore, quello che cercano? Ti sventolo sotto gli occhi due chiappe righe, balbetto qualche banalità e tu mi scegli perché faccio “sensazione”? Mah. Talvolta mi viene un impulso perverso: e se, a una di quelle filiformi “proposte”, dicessi di sì? Cosa proverebbe il/la prescelto/a? E, soprattutto, cosa scriverebbe?
Ma mi passa subito, eh.

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09

06 2008

Saudade

Ecco fatto. Il 2008 è chiuso. No, non sono impazzita definitivamente. E’ che, a parte qualche piccolo aggiustamento, la strada è decisa, segnata e asfaltata.
E’ arrivato il momento di guardare indietro.
Sì, anche avanti, ma soprattutto indietro.
Perché, nei cavernosi magazzini, ci sono le torri nere.
I libri invenduti e tornati alla CE.
E’ ora di capire quante torri vanno abbattute e bruciate e quante invece vanno semplicemente ridotte di uno o più piani.
Riunioni fatte di sospiri, silenzi e scaricamenti di barile a raffica. “Era un libro difficile…” “Uh, che brutta copertina aveva…” “Ha avuto poche recensioni…”
Così i cavernosi magazzini si svuotano. Momentaneamente.
E tu ti riempi di una saudade così intensa che ti senti il figlio (illegittimo) di Amália Rodrigues e Vinicius de Moraes.

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04

06 2008

You wanna know why, and there’s no why

Il Signore, creato che ebbe ogni cosa, “siate felici” disse ai suoi figlioli Adamo ed Eva. Ma pochi giorni dopo il Signore si batté la fronte. Ho creato il sole, il mare, gli alberi, gli animali e mi sono dimenticato di creare… il libro. Oh, che distratto.”
Adamo si fece rosso e disse: “Signore, se me lo pubblica, ne avrei pronto uno.”

Questa bellissima “vignetta” (lo so che non è disegnata, ma mi sembra la migliore definizione) l’ho recuperata non dalla sua fonte originaria [l'Almanacco letterario Bompiani (1931)], ma da un libro uscito da pochissimo: I mestieri del libro di Oliviero Ponte di Pino (Milano, TEA, 2008), che mi ha tenuto compagnia in questi giorni di “missione”. E’ sempre straniante (e singolarmente istruttivo) vedere scritto e de-scritto quello che fai tutti i giorni, quindi ve lo consiglio se volete dare un’occhiata alla macchina che sbuffa, stride e macina parole (ma non solo), stando ben nascosta dietro la pagina stampata.

Ah, il titolo del post. E’ una battuta di Destini incrociati (Random Hearts, 1999): perché lunedì è morto Sydney Pollack, un artista che ha lavorato col cuore e con la testa, che non si è mai vergognato a mostrare emozioni e sentimenti, che ha voluto sempre scommettere sulla possibilità di raccontare i rapporti umani (e spesso ha vinto). Uno degli ultimi, veri registi, insomma. Peccato.

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29

05 2008

Appuntamento

Ogni anno arriva Torino e ogni anno si sbuffa. Perché per noi delle CE è come entrare in un supermercato… grande cinquanta volte quello in cui facciamo abitualmente “la spesa”. A differenza di Francoforte, poi, non c’è neppure il brivido del libro ungherese “che nessuno ha letto e che noi faremo diventare un bestseller”, non c’è il briciolo di soddisfazione nel vedere il megaposter col ritratto dell’autore che hai amato, pubblicato e che in Germania è diventato un bestseller (ma in Italia no), non c’è la roulette russa delle offerte sul prossimo libro spacca-classifiche.

E’ tutto tranquillo: incontri fra amici, passeggiate oziose, sguardi elegantemente pacati sulle copertine (e sui successi) degli altri. L’unico sussulto lo provi quando osservi il passante distratto che prende in mano il libro su cui hai versato lacrime e sputato sangue per poi rimetterlo a posto con aria vagamente annoiata. Allora vorresti corrergli dietro e gridargli: “Si può sapere cosa non ti è piaciuto? La copertina? La bandella? Il nome dell’autore? Il titolo? Il formato? Il carattere? Vuoi meno interlinea? Vuoi margini più ampi? Vuoi un giallo più giallo? Un rosa meno rosa? Un saggio che non sembra un saggio ma sembra un romanzo che sembra un saggio? Dimmelo, maledizione!”

Questo per dire che, da oggi, sono lì. Per trovarmi, basterà andare in giro inalberando un cartello con su scritto “CATRIONA!” (Le maiuscole sono fondamentali). Mi materializzerò all’istante. ;-)

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08

05 2008

1888-2008

Egregio signor editore,
il Crepuscolo degli idoli mi piace molto, e questo rafforza la mia convinzione, come Le dicevo nell’ultima lettera, che è bene mantenere la stessa veste tipografica di Ecce homo […]

***

Egregio signor editore, La dovrò pregare di rispedirmi ancora una volta la seconda parte del ms., dato che voglio inserirvi ancora alcune cose. Altrimenti potrebbe crearsi della confusione. Dunque tutta la seconda parte del ms., a partire dal capitolo che ha come titolo «Così parlò Zarathustra». Suppongo che questo non ritarderà di un attimo la stampa, visto che vi rispedirò immediatamente il ms.

***

Ms. indietro. Tutto rielaborato.

***

Mi saranno necessarie traduzioni in tutte le principali lingue europee: non appena l’opera uscirà, calcolo come prima edizione un milione di copie in ogni lingua.

***

Soltanto col mio Zarathustra si potrebbe diventare milionari: è l’opera più decisiva che esista.

Non è che Nietzsche, a Torino, nel 1888, fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Ciononostante, la lucidità di queste richieste e indicazioni (il volume ne è pieno) dimostra che, in 120 anni, ben poco è cambiato nel rapporto autore-CE. Chissà se è un bene o un male. Comunque, anche per questo, il libro è straordinario e lo consiglio di cuore.

[Brani tratti da Friedrich Nietzsche, Lettere da Torino, traduzione di Vivetta Vivarelli, Milano, Adelphi, 2008]

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07

05 2008

Zac, zac!

In Italia (ma anche in molti altri Paesi) si fa così: il libro esce in edizione rilegata e, dopo qualche tempo, viene riproposto in edizione economica. In questo caso, può essere ristampato oppure vengono riutilizzate le copie invendute.
Mi sembra abbastanza semplice e intuibile. Una specie di riciclo, se volete.
E allora perché – perché? – c’è ancora gente convinta che il libro in edizione economica costi meno di quello rilegato perché ne sono stati tagliati via dei pezzi?
E perché deve esporre tale teoria, con sufficienza spocchiosa, quando io sono nei paraggi?

“Chiamatemi Ismaele.”
Hmmm… Tanto poi viene detto che nome ha, no? Via, zac, zac!

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a suo modo.”
Uh, che noia questi incipit sentenziosi! Via, zac, zac!

“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello…”
‘Sti scrittori, risalgono sempre al tempo che Berta filava… Via, zac, zac!

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30

04 2008

Forbice

Da un lato, un romanzo semplice (non in senso negativo). Frasi brevi, storia “facile”, azioni ben descritte e iterate così che nessun lettore venga lasciato indietro.
Dall’altro, un romanzo complesso (non in senso negativo). Costruzioni sintattiche non lineari, storia intricata, azioni ridotte al minimo, concetti arditi.
Nel breve spazio di un fine settimana lungo, mi sono trovata a leggere due bestseller. E nel mio cervello si è aperta una forbice che non si vuole chiudere. Forse è vero che in Italia il gruppo dei lettori è sempre quello (piccolo e selettivo), ma è possibile che ci siano anche altri lettori, un po’ più difficili da raggiungere eppure disposti ad ascoltare testi molto diversi per stile, forma e finalità narrativa. E’ un’idea consolante, perché significa che, a onta di ciò che si crede, forse si può fare qualcosa per la lettura.
E va bene, mi avete convinto: vado a esplorare la lama di qualche forbice che avevo lasciato fino a oggi nel cassetto. Se mi taglio, non sarà la prima volta. E neanche l’ultima.

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28

04 2008

Desiderata

Una delle lamentele più insistenti sui libri riguarda le copertine. Troppo scure, troppo chiare, troppo esplicite, troppo criptiche, troppo generiche, troppo di nicchia, “Fa veramente schifo…”, “Se la davate a me ve la facevo meglio…” eccetera.
Capisco.
Ma vorrei dirvi una cosa: la copertina non esiste.
Esistono occhi e mani che la creano con un’idea in testa, un’idea carica di formazione, cultura, gusto personali. Esistono occhi che la approvano secondo la loro formazione, la loro cultura, il loro gusto. Ed esiste, ovviamente, un libro a cui essa si riferisce, un libro che è stato scritto con uno o più intenti, e pubblicato magari con gli stessi intenti oppure con altri. E infine (non è vero, ci sono altri elementi, ma semplifico) esiste un potenziale lettore che guarda quella copertina carico della propria formazione, della propria cultura, del proprio gusto.
La copertina non esiste. Esistono mille copertine per un unico libro. E spesso la copertina scelta stringe, comprime, assomma quelle mille.
La prova? Ecco la copertina russa, tedesca e serba dello stesso bestseller.

Belle? Brutte? Certo, dare un giudizio (magari senza conoscere il libro, ma anche conoscendolo) è un impulso tanto irrefrenabile quanto giusto. E che ha la stessa forza di quello che ha guidato la creazione della copertina. Talvolta i due impulsi coincidono, talvolta no. E l’unico arbitro è la speranza di offrire, con una copertina, qualcosa di adatto al libro e al pubblico a cui si rivolge.
Insomma: non se ne esce. Sapevatelo.

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24

04 2008

Prismi e antiprismi

Certo che deve essere davvero faticoso, per chi non legge, entrare in una libreria: un’infinita serie di parallelepipedi tutti uguali, differenti soltanto nel colore e nelle dimensioni: scatole chiuse, enigmatiche, impossibili da “provare”. Che differenza con i negozi d’abbigliamento, in cui si può sperimentare l’istantanea gratificazione dell’indossare, del vedere “se piace”. O con i negozi di alimentari, in cui persino le scatole ermeticamente chiuse evocano comunque qualcosa di conosciuto e, spesso, di gradevole.
Quindi pensavo: e se cambiassimo la forma dei libri? Se per esempio li incastrassimo tutti dentro prismi e antiprismi?
No, scusate, ma guardare i numeri delle vendite dei libri fa venire idee per lo meno bislacche…

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22

04 2008

Bilancia

Lato positivo: Non li ho pagati, anzi sono pagata per leggerli.
Lato negativo: Non avrei mai pagato per leggerli (per leggerne la maggior parte, almeno).

Lato positivo: La CE non ha speso soldi per comprarli.
Lato negativo: E il prossimo anno cosa pubblichiamo?

Lato positivo: La definizione di “porcheria” si è arricchita di nuove, insospettabili sfumature.
Lato negativo: Ho buttato via parecchi giorni in letture inutili.

Lato positivo: Due o tre non erano poi così male.
Lato negativo: “Ma sei matta? Sono troppo cari!”

Lato positivo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.
Lato negativo: Adesso so quali saranno i bestseller stranieri dei prossimi mesi.

Così, ogni anno, passata la bufera burianesca di una fiera, si tirano le somme.
E la sensazione non cambia mai: il libro che non hai letto – o hai scartato – supererà le vendite della Bibbia.

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18

04 2008

Piccolismo

Ogni tanto vado in giro per siti. Sapete, quei siti che si offrono come vetrina agli esordienti scrittori per renderli, appunto, visibili. Ottima idea, in sé. E funzionante, pure, dato che una “professionale” come me ci va a curiosare. Così scorro qualche testo, animata da una flebile speranza… ed è allora che, diretta come un pugno in un occhio, mi colpisce l’assoluta vanità di quelle proposte. Non voglio neanche parlare degli intimisti, di quelli che vogliono scrivere l’Opera Letteraria. Parlo invece di quelli che si confrontano con i modelli narrativi più popolari e comuni (giallo, noir, rosa…) C’è un piccolismo (lo so, non esiste, ma rende l’idea) in quei testi che davvero mi turba. Come se, per dire, Georges Simenon, Dashiell Hammett e Barbara Cartland fossero sì famosi, ma per qualcosa che non ha nulla a che vedere con la pagina scritta. Come se qualcuno sostenesse di essere appassionato di montagna e, senza aver mai neppure visto di persona le Dolomiti, fosse sicuro di poter scalare l’Everest. Da zero a ottomila, insomma.
Poi mi fermo a riflettere e mi rendo conto che un unico filo unisce tutti quei testi: il desiderio, l’impulso, la voglia, la necessità di parlare di se stessi, però soltanto per proiettarsi in vicende misteriose o esaltanti, per sentirsi finalmente protagonisti di qualcosa, per dare un senso più “movimentato” alla propria normalissima esistenza. Ed è la cosa che mi rattrista di più.

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17

04 2008

Torri

Qual è la cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto?
“E’ orribile”?
No.
“Non venderà una copia”?
No.
“Non lo pubblicherei [avrei pubblicato] neanche se fosse [fosse stato] l’ultimo testo scritto sulla Terra”?
No.
La cosa più tremenda che si può dire di un libro/manoscritto è:
“Lo leggo dopo.”
Pensateci. Avete comprato un libro per un qualsiasi motivo e siete convinti che lo leggerete. Magari non subito (ce ne sono altri!), però prima o poi… Eppure, a poco a poco, quel libro scivola sempre più in basso nella torretta che avete sul comodino o sulla scrivania. Ogni tanto guardate la costa e sì, rammentate il perché l’avete comprato. Ma è un pensiero sempre più vago, sempre meno pressante, che finisce con un “Mah, sì, però lo leggo dopo.” Passano i mesi e il libro è sempre lì. Non raccoglie polvere soltanto perché è alla base della torre, ma è come se fosse coperto da un velo di nebbia. E, alla fine, durante le pulizie di primavera o in un attacco di furore ordinativo, lo prendete e lo mettete su uno scaffale, pensando: “Eh, pazienza, vuol dire che lo leggerò in un altro momento.”
Anche con i manoscritti succede così ed è quasi più triste. Perché se un testo non riesce neppure a suscitare un minimo di curiosità, quel pizzico di interesse che ti fa dire: “Ne leggo qualche pagina, tanto per vedere com’è”, allora vuol dire che ha ben poche speranze di diventare un libro. Mi scuso dunque pubblicamente con i manoscritti (i libri) e con i loro autori, ma qualche volta il loro destino – almeno per quanto mi riguarda – non può che essere l’indifferenza.
E su questa nota allegra vi lascio: la mia missione al servizio di sua maestà dovrebbe durare fino a mercoledì. Se non mi faccio più viva, vuol dire che ho scelto l’esilio (e da come si prospettano certe cose, forse è un destino auspicabile). Intanto ragionate su quello che c’è scritto qui.

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11

04 2008

Emersione

Sono – per ora, ma per quanto? – riemersa dal mare di cataloghi delle CE straniere pre-fiera. In realtà, più che cataloghi, potete immaginarli come trailer dei loro libri futuri. Poche righe – zac! zac! – e il libro è servito. Ti interessa? Te lo mando da leggere? Vuoi comprarlo? E per quanto? sembra esserci scritto alla fine di ogni proposta.
E vediamole, queste proposte.
Cocainomani decisi a insegnare il linguaggio dei segni ai bambini africani; metodi per non fare carriera ed essere felici; metodi per fare carriera e poi pentirsene ma essere felici comunque; carismatici magnati dell’acciaio che perdono pure le mutande per colpa di quella volta che visto un disegno animato e gli è piaciuto così tanto che sono regrediti all’infanzia; cacciatori di organi pentiti (i cacciatori, non gli organi); assassini pluridivorziati che si sciolgono in lacrime davanti a una torta alla crema e poi fanno fuori il pasticcere (cattivo; erano loro, i buoni, e tu non l’avevi capito); bambini perseguitati da fantasmi; fantasmi perseguitati da bambini (o da adulti); tizi che sono andati in Perù a cercare l’amore e invece hanno trovato un sito archeologico in cui hanno scoperto una mummia di cui si sono innamorati ma poi sono tornati a casa e hanno capito che la vicina di casa è uguale alla mummia; storie di guerra che diventano romanzi rosa-storico-social-horror-hard boiled per poi tornare a essere storie di guerra; Come i Tokio Hotel mi hanno rovinato la vita; Come i Duran Duran mi hanno salvato la vita (questioni generazionali, eh?), Come il trapianto di capelli mi ha salvato dalla depressione
Non credete a quello che vi dicono: la fantasia supera sempre la realtà.

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04

04 2008

Tre settimane e mezzo

Tre settimane prima

E-mail (o telefonate) tutte infiocchettate di belle parole (“Come stai… Che bello, arriva la primavera… Da quanto non ci vediamo…”) e vaghi accenni ai libri (“Ti ho mandato Cavolfiori a colazione, vero? Ah, è bellissimo, sai? Ed è proprio adatto alla tua CE!”)

Due settimane prima

E-mail (o telefonate) un tantinello più sbrigative (“Ah, ciao, stai bene, vero? Sentiiiii… Cavolfiori a colazione me l’hanno chiesto tutte le CE italiane, sai? E’ veramente il libro del momento!”)

Una settimana prima

Stop alle telefonate e uso esclusivo dell’e-mail: “Vorrei un’offerta su Cavolfiori a colazione entro le 5:04 a.m. di domani.” Senza neanche la firma.

Moltiplicare il tutto per una cinquantina di telefonate, e-mail e, ovviamente, testi.

E’ sempre così.
Si avvicina una fiera e gli AA si risvegliano.
Perché le fiere scatenano gli istinti più rapaci e pervicaci.
Al momento, potrei reincarnarmi senza la minima fatica in un gong.

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03

04 2008

Proposal

Il proposal è un’idea di un libro. Una traccia, un abbozzo. Può essere un semplice indice, possono essere cento pagine su cinquecento.
Insomma non è un libro intero.
Ma vedersi arrivare un proposal con su scritto Publication: winter 2010-2011 fa una certa impressione, credetemi.

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31

03 2008

Porcospini e gemme

Come succede diverse volte all’anno, ieri sono arrivate le “proiezioni”, cioè il risultato del lavoro degli agenti che strappano ai librai i tanto agognati (e temuti) numeri. E’ così che si posa la prima pietra sul viale del destino di un libro. Quanto è piaciuto? Quante copie ne sono state ordinate? Più o meno del numero sperato?
Forse non ci siete mai passati, però credo non sia difficile da intuire l’ansia che accompagna questo momento. Perché molto dipende dalla prima tiratura di un libro, dalla sua immediata visibilità sui banchi. Per carità, l’editoria è piena di eccezioni, cioè di libri usciti in poche copie e poi diventati bestseller. Ma sono, appunto, eccezioni.
E talvolta ti ritrovi a fissare cifre che davvero sono impreviste e imprevedibili. Il libro su cui hai sudato, pieno di rogne come un porcospino di aghi, e magari deliziosamente arduo o elegantemente insolito, finirà (se finirà) in mano a pochi eletti, meteora probabilmente senza futuro. Mentre il libro che hai scelto o fatto un po’ con la mano sinistra per i motivi più svariati (poco tempo, poca convinzione..), ma che evidentemente ha “acchiappato”, rischia di diventare non dico un bestseller, ma una piccola gemma, che brillerà almeno per qualche settimana.
E non sai se mettere un cerotto sulle punture del porcospino e piangere un po’ o se essere contenta perché, se non altro, una pietruzza luccicante ce l’hai.

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28

03 2008

Mantra

I am only one, only one, only one. Only one being, one at the same time. Not two, not three, only one. Only one life to live, only sixty minutes in one hour. Only one pair of eyes. Only one brain. Only one being. Being only one, having only one pair of eyes, having only one time, having only one life, I cannot read your MS three or four times. Not even one time. Only one book, only one look is enough. Hardly one copy would sell here. Hardly one. Hardly one. Many thanks. I am returning the MS by registered post. Only one MS by one post.

(lettera di rifiuto scritta a Gertrude Stein dalla sua editor, A. J. Fifield)

Ogni volta che pensate male di una CE, o del fatto che non abbiano ancora risposto al vostro manoscritto, pensate anche che questo è il nostro mantra.
Anzi, visto che ieri sono uscita dalla CE alla 19.49 accompagnata da tre manoscritti urgenti da leggere, direi che al momento è soprattutto il mio.

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19

03 2008

Succede (reloaded)

“Scusa, Catriona…”
“Si?”
“Mi hanno detto del refuso nel saggio di Ravapanza Bobunanda…”
“Sì?”
“Be’… hmmmm… ehhh… ce n’è un altro. E’ piuttosto bruttino…” [avanza titubante col libro spalancato] “… perché è alla terza riga di un capitolo e… come dire? spicca.”
“Oh. Ah. Uh. Ma porc… Eccolo . Eh… Che ti devo dire? E’ già una fortuna che non sia alla terza riga dell’introduz…”
Gli strappo il libro di mano.
Lui – saggio – batte in ritirata.
Passano cinque minuti. Di assoluto, tombale silenzio.
No, non c’è. L’introduzione scorre liscia liscia. Senza refusi, almeno lei.
Ma in CE stanno ormai circolando strane voci su questo libro. L’addetto stampa vuole spedire le copie il prima possibile. Chi lo ha ricevuto, me lo restituisce dicendo: “Sai, non ho più posto in ufficio…” Si mormora che il traduttore sia irrintracciabile e che il correttore di bozze sia stato colpito da una brutta influenza intestinale.
Qualcuno di voi ha per caso l’indirizzo di padre Merrin?

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14

03 2008

Cinica piangente

In questi giorni siamo bombardati (ehm…) dal trailer di un film tratto da un libro ormai celeberrimo.
Scusate il cinismo, ma sono soltanto io a irritarmi ogni volta che lo vedo?
Musica lagnosissima, debitrice dalle peggiori colonne sonore anni ‘50.
Slogan reboanti, scanditi da un voce che, se fosse più impostata, sarebbe una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Immagini montate in modo da raggiungere un tasso glicemico da dattero (secco)*.
Brandelli di dialogo che neanche Carolina Invernizio in Anime di fango.
Insomma, ogni volta che vedo quel trailer, piangiamo in due: io e il libro. E credo per lo stesso motivo.

* 103±21. Tenete conto che, per dire, i croissant stanno a 70.

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07

03 2008

Non è un paese per lettori

Ci sono delle volte in cui ci si chiede davvero cosa pensano, là fuori. Nella massa di domande comprensibili (“Perché non pubblicate più saggi di Kimmie Kims?” “Quando esce il prossimo libro di Charlie Charles?”) ci sono infatti alcune richieste di una tale protervia da lasciare abbastanza stupefatti. Non si vuole un’informazione su un libro, si esige il libro stesso (magari addirittura consegnato a casa); non si chiede aiuto per una tesi, si pretende che qualcuno della CE la riveda e la corregga; non ci si propone come traduttori, si reclama un libro in traduzione. Lo so, viviamo in un mondo arrogante. Ma chi chiede o si propone in questo modo a una CE dovrebbe sapere, proprio grazie ai libri, che ci sono situazioni in cui l’arroganza è controproducente. Così mi viene il sospetto che quelle persone non leggano e, forse, non abbiano mai letto veramente. Ma allora perché intestardirsi su un libro come se non si potesse vivere senza di esso? Perché fare una tesi “letteraria”? Perché non gettare una base reale per quello che potrebbe diventare un lavoro?
No, non rispondetemi. Evidentemente sono una vecchia lettrice e questo non è un paese per me.

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06

03 2008

Perché non è andato?

Piccolo florilegio di giustificazioni sul cattivo andamento di un libro.

La copertina è brutta.
La copertina è bella, ma non dice niente.
La copertina è bella, ma non si capisce.
Il titolo è brutto.
Il titolo è bello, ma non c’entra niente con il libro.
Il titolo è troppo esplicito.
Il titolo è troppo criptico.
Il titolo è troppo lungo.
Il titolo è troppo piccolo.
Il titolo non si capisce.
La frase di copertina non dice niente.
La frase di copertina è troppo piccola.
La frase di copertina dice troppo.
L’autore è sconosciuto, e il suo nome è troppo grande.
L’autore lo conoscono tutti, e il suo nome è troppo piccolo.
Non si capisce la differenza tra il titolo e l’autore.
La bandella è confusa.
La bandella è troppo lunga.
La bandella è troppo sintetica.
La bandella è scritta bene, ma fa capire troppo.
La bandella è scritta bene, ma fa capire poco.
La biografia dell’autore è poco interessante.
La biografia dell’autore è troppo interessante e distrae.
Si capisce che anche all’estero ha venduto poco.
Si capisce che all’estero ha venduto molto, ma non è piaciuto.
Il prezzo è troppo alto.
Il prezzo è troppo basso.
Il prezzo è giusto, ma il libro doveva costare di meno.
Il prezzo è giusto, ma il libro doveva costare di più.
La traduzione è brutta.
La traduzione è bella, ma difficile.
Il tema è vecchio.
Il tema è troppo nuovo.
Il tema è lo stesso di quell’altro libro che è andato male.
Il tema è diverso da quello del libro che è andato male, però per la gente era lo stesso.

Ma soprattutto:

E’ uscito nel momento sbagliato.

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18

02 2008

Book momentum

[...] US political commentators are suggesting Clinton must capture the Texas and Ohio primaries on 4th March to stay in the race. Sales patterns in these states suggests the results could go down to the wire. In the Dallas-Fort Worth region, during the week under analysis, Obama outsold Clinton by 135 copies to four copies, while in Cincinnati just a single copy of Living History was sold, compared to 68 editions of The Audacity of Hope.

(via TheBookseller, 14 febbraio 2008)

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15

02 2008

Curiosi?

Ebbene: anche qui, sull’italico suolo, va abbastanza così. E’ vero che noi non abbiamo il loro marketing sofisticato, però ci vuole tempo e spesso per cose che non riguardano il contenuto del libro, bensì il modo in cui viene offerto. Prima di finire sui banchi, il libro viene “venduto” diverse volte. All’interno della CE sono l’editor e il direttore editoriale che ne discutono, scegliendo una strategia di presentazione. Poi se ne parla nelle riunioni in cui si traccia il programma della CE, nelle riunioni con i rappresentanti (quelli che poi devono “venderlo” ai librai), nelle riunioni con i grafici, ai giornalisti che devono riceverlo prima dell’uscita, eccetera. Proprio come dice Laurence Kirshbaum nell’articolo: “It’s one of the anomalies of our business that you have to reinvent the wheel with every title, virtually.”
Senza contare che noi, povera minoranza linguistica, spesso abbiamo pure i tempi per la traduzione, un concetto che gli americani fanno molta fatica a comprendere.

(grazie a Emmebi [un blog leggero] per avermi fatto scoprire l’articolo]

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08

02 2008

Un classico

A complemento di questo post, proprio ieri mi sono imbattuta in una lamentazione nei confronti delle CE brutte e cattive che stralciano dai loro cataloghi i cosiddetti “classici” perché non vendono. Magari in seguito a dialoghi come questo:

“Ma quando ha venduto ’sto Poliziano, l’anno scorso?”
“Mah, 123 copie.”
“Uh, male, male. Non si può fare qualcosa? Non è che ci stanno girando una fiction, per caso?”
“Su Poliziano? Provo a informarmi, ma non credo.”
“Be’, accidenti, non si può neanche mandare qualcuno a intervistarlo…”
“Eh…”

Il catalogo dei libri in commercio sostiene che sono disponibili 15 titoli di Poliziano. Per uno studioso del Quattrocento sono sicuramente pochi, ma per il lettore travolto dall’irrefrenabile desiderio di leggere questo autore mi sembrano più che sufficienti. E poi ci sono le biblioteche (non voglio dire che Poliziano debba essere disponibile soltanto in biblioteca, sia ben chiaro, però…). Senza parlare di internet (su quel sito straordinario che è Liber Liber, c’è di che togliersi la voglia). Insomma mi sembra la solita polemica vuota, un modo neanche troppo sottile per affermare che le CE sono insensibili alla cultura vera, che vogliono soltanto fare soldi con libri di scarsa qualità.
Illustrissimi signori intellettuali, che pensate così di essere in prima linea nella difesa della cultura, vi prego: ripensateci. Il problema non è trovare Poliziano in bella vista sui banchi delle librerie. Il problema è che la gente proprio non ci va, nelle librerie (quindi, en passant, non comprerà neanche il vostro culturalissimo libro). Il problema è che trovare un libro tale da accendere la passione della lettura è un’impresa che non tutti hanno voglia di affrontare. Il problema è che le conventicole si guardano addosso. E potrei andare avanti. Anche se, detto fuori dai denti o amaramente sussurrato, io la soluzione a questi – e a mille altri – problemi non ce l’ho.

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04

02 2008

Son cose

Ieri sono stata inclusa tra “gli operativi qui presenti”. E mi è stato spiegato come fare libri “più altovendenti”. Poi sono stata invitata a “non andare a massificare il prodotto”. E tutto ciò da una persona assolutamente incapace di pronunciare la parola “bestseller” e quindi prodottasi nelle seguenti variazioni:

bezzeller,
bexelle,
bezteller,
bssellrrr,
betzeller.

Un consiglio, per favore: secondo voi, se mi metto operativamente un tacco 12, riesco a fare libri più altovendenti riuscendo però a non andare a massificare il prodotto?

P.S. E son 201 post, perdindirindina (cit.).

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01

02 2008

Uffa

Ci sono giorni in cui comprendo gli scrittori “incompresi”. E non perché abbiano scritto il capolavoro della letteratura italiana che nessuno vuole pubblicare, ma perché annuso l’aria della nostra cultura e mi prende un subitaneo sconforto. Qualche giorno fa, per esempio, l’inserto culturale di un prestigiosissimo quotidiano ha dedicato la pagina di apertura alle lettere d’amore di Ugo Foscolo. Il motivo di quel “lancio” era politicamente chiaro (no, non ve lo dico) e la mia immarcescibile passione foscoliana ha avuto modo di rinfocolarsi. Ma il mio animo di lettrice curiosa ne è uscito sconfitto, una sensazione diventata ancora più forte mentre scorrevo le pagine seguenti, tutte coltissime, quasi marmoree nella loro alterigia.
Perché mai io, lettore occasionale e magari alla ricerca di qualche occasione di lettura in più, dovrei leggere qualcosa che mi fa sentire così sfacciatamente escluso dal circolo della parola scritta? Perché si continua a difendere la nicchia e non si pensa al mondo?
Insomma: uffa.

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30

01 2008

Rumori in scena

“Mah…”
“Eehh…”
“Grunt!”
“Seee…”
“Argh!”
“Boh…”
Se passaste davanti al mio ufficio, in questi giorni, sentireste in prevalenza questi rumori. Seguiti dall’inequivocabile “Fssshhh… sciap!” dei fogli che atterrano nel cestino. Il fatto è che arranco nella marea (crescente) dei libri definiti “highly original”, un’etichetta che si traduce con: “E’ senza capo né coda, non ho la minima idea del perché lo pubblichiamo, però magari tu sei così folle da fartelo piacere”. Talvolta mi sembra di avere a che fare con certi agenti immobiliari che ti sussurrano: “Ho la cosa giusta per lei. E’ una mansarda piena di carattere…” e tu traduci all’istante: “Adesso ti frego. Ti propongo un sottotetto rovente d’estate e gelido d’inverno, in cui non puoi neppure stare in piedi e te lo faccio pagare uno sproposito.”
Vi saluto fino a lunedì, perché vado in missione per conto di Dio… ehm… della CE.
Nel frattempo “Fssshhh… sciap!”

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24

01 2008

USA news

Alcune perle dell’ultimissima serie di proposte dall’America.

  • Sono ancora parecchi quelli che si ostinano a esplorare i luoghi più sfigati della terra, in modo da poter scrivere libri-verità in cui raccontare (in ordine sparso): come uscire dalle sabbie mobili (dopo che la guida aveva gridato: “Ehi, attenti, lì ci sono le sabbie mobili!”), come scampare ai trafficanti di droga (dopo aver percorso 4000 chilometri nella giungla, aver bussato alla loro casa-fortezza e averli insultati a boccacce), come sopravvivere dopo aver mangiato vermi o insetti-stecco (dopo che la guida si era affannata a spiegare: “Gli indigeni si guardano bene dal mangiarli… preferiscono quei succosi frutti lassù…”), eccetera eccetera. Il messaggio non cambia: soltanto ora, dopo aver rischiato di essere inghiottito dalle sabbie mobili, di essere ridotto a un colabrodo da un mitra, di morire avvelenato (eccetera eccetera) ho scoperto il senso della vita.
  • Si sta affermando la moda di descrivere l’aldilà degli animali domestici. Se sei una salamandra o una mosca, non ci pensare neanche, alla vita eterna; per Fufi e Ringo, invece, prelibatezze che neanche Vissani potrebbe concepire e un contatto preferenziale con i loro (ex) padroni
  • Colpisce la toccante storia di una ragazza e del suo rapporto (durato dieci anni) con un serpente (che – non chiedetemi come – le ha anche salvato la vita). E non mancano vicende analoghe con minacciosi coyote e teneri scoiattoli.
  • E infine l’immarcescibile serie “Dr Feelgood”: Sei obeso/a? Sei anoressico/a? Sei depresso/a? Sei iper-iperattivo/a? Va benissimo così. Basta che lo accetti e la vita ti sorriderà.
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21

01 2008

40%

“It doesn’t matter how good or bad the product is, the fact is that people don’t read anymore. Forty percent of the people in the U.S. read one book or less last year. The whole conception is flawed at the top because people don’t read anymore.”

Steve Jobs [sull'Amazon Kindle]

Which means sixty percent of people in the U.S. – 180 million people – are, to some degree, readers. More if you count newspapers, magazines, and the web. It strikes me as odd that Jobs, the head of a company that is doing very well with a less than 9 percent market share, doesn’t appreciate that.

(via Errata)

Non so cosa fare: se arrabbiarmi perché una persona intelligente come Steve Jobs ha detto una frase del genere (per quanto riferita soprattutto a un oggetto invero “ostico”… e lo dice una che leggerebbe a video anche le linee della mano, propria o altrui), se approvare il commento “raddrizzatorio” o se dare una parte di ragione a entrambi.

In realtà, talvolta immagino un futuro in cui la lettura per diletto (non necessaria alla vita pratica in tutte le sue declinazioni, se volete) sia scomparsa. E non per conseguenza di trauma alla Fahrenheit 451 o alla 1984. Semplicemente per consunzione. Certo, i libri continuerebbero a esistere nei luoghi di studio, nelle nicchie, eccetera. Ma (la faccio semplice) il bisogno di evasione attraverso il libro no. E la cosa più brutta è che ovviamente non faccio troppa fatica a immaginare questo futuro. Perché, in un certo senso, è già qui e ora, come dice Jobs.
Che dite, comincio a cercarmi un altro lavoro?

P.S. Un’altra voce qui.

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18

01 2008