Com’è fatto

Adoro il programma Com’è fatto. Non lo conoscete? E’ una serie canadese cui si mostra come vengono realizzate le cose (dal pallone da basket alla pizza surgelata, dai bicchieri di cristallo alle saracinesche) ed è piena di rivelazioni interessanti. Così mi sono chiesta come si potrebbe applicare l’idea di questa serie alla CE. E non parlo del processo “meccanico” di produzione del libro (fotocomposizione, stampa, rilegatura, eccetera), bensì di tutto quello che avviene prima e soprattutto delle persone coinvolte. Liseuse, in un commento a un post precedente, ha sostenuto che è sempre piuttosto difficile capire con chi si sta parlando in una CE. È vero: da fuori, spesso viene voglia di chiedersi “com’è fatta” la persona con cui ci si trova a interloquire. Perché tutto ‘sto mistero?

Anzitutto le CE sono sistemi piuttosto limitati e tendenzialmente chiusi. Suona un po’ mafioso, ma, quando si entra nel giro, è difficile uscirne (e di solito, quando lo si fa, si rimane comunque a gravitare intorno al sistema): ciò porta spesso a un rimescolamento interno, a un passaggio di ruoli all’interno della CE o tra CE. La persona che, oggi, si occupa della narrativa italiana nella CE Libribelli te la ritrovi domani a curare i diritti delle opere straniere della CE Bellilibri. All’interno dell’universo-CE la cosa è normale; all’esterno forse sconcerta un po’.

Ecco: “esterno” è la parola chiave. I flussi e gli incroci all’interno di una CE sono complessi e sovrapposti (detto in parole povere: tutti mettono becco in tutto), quindi si tende a guardare quello che viene dall’esterno in termini strumentali, come tessere di un mosaico che va pazientemente ricomposto. Ogni volta. Per ogni libro. Per un traduttore, quel libro è il libro; per la CE è un libro tra 10, 100, 1000. Magari si avrebbe anche voglia di intrecciare un rapporto al di là del momento (e talvolta lo si fa), ma non sempre ci si riesce e allora si passa il contatto a un’altra persona (dall’editor può passare al capo redattore o magari a un redattore interno o addirittura a uno esterno) e le comunicazioni rischiano di arrivare da persone diverse.

Ai traduttori dico: non sentitevi usati per questo. Anzi, no, sentitevi usati (in senso buono, ovvio). Perché rientra in una scelta professionale, fa parte del vostro lavoro “da esterni”. Vi dirò di più: spesso, più un traduttore è fidato e più è lasciato solo. Per rispetto, se volete. Ma soprattutto, appunto, per fiducia. Peccato soltanto che non possiate sentire il sospiro di sollievo in CE quando viene evocato il vostro nome collegato al libro in traduzione. “Ma chi sta traducendo Accendi la luce? Ah, sì, Sibilla Sibilli. Benissimo. Stiamo tranquilli.”

A chi manda curriculum dico: non si può rispondere a ogni curriculum (non faremmo altro). Io però li tengo (a lungo).

A chi manda manoscritti dico: dovete avere pazienza. Molta pazienza. Molta pazienza. E non seccatevi se, a rispondervi, è una generica “segreteria editoriale”. Credetemi, se la CE è seria, non c’è niente di generico in quella firma.

E adesso, scusate, ma voglio andare a vedere come fanno gli orsetti gommosi.

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11 2007

3 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Granbelpost!

    Vorrei dire soltanto una cosa: io parlavo esclusivamente per me, quindi non è proprio corretto dire che io sostenga che in generale è difficile sapere ecc. *Io* non lo so, ma so anche che ci sono traduttori che sono più abili, più informati, più portati per l’elegante so-chi-è-chi, più pronti ad approfittare delle occasioni pubbliche per conoscere le persone del campo.

    Non vorrei nemmeno aver dato l’impressione che il mio desiderio è avere un rapporto privilegiato con qualcuno in CE o a fare amicizia con chi mi dà lavoro – per quanto invece l’editoria mi pare proprio un ambito in cui le amicizie sono tutto. Era proprio una cosa basilare: sapere chi è il mio referente, capire se la persona che mi scrive email è una con esperienza o una stagista, per esempio…In effetti, però, sono gnucca io: dovrei chiederlo e stop.

  2. catrionapotts #
    2

    Grazie.
    No, non preoccuparti, non sei soltanto tu. E, sì, ci sono “esterni” più attivi e altri meno, tuttavia questo non intacca il discorso sulla fiducia, che è molto più determinante (in ambito lavorativo) dell’eventuale rapporto “di amicizia”. Comunque, anche se è una stagista a scrivere un’e-mail, non credere che stia facendo di testa sua. Magari la forma non sarà il massimo (e poi perché? Non esistono stagiste/i in gamba?), però il messaggio viene sicuramente “dall’alto” (si fa per dire, eh?)

  3. 3

    Giuro che non ho nulla da eccepire sulla forma delle mail che ricevo in genere da CE e il discorso sulla stagista è tutt’altro che sprezzante: ho passato tutto il mio tempo a Milano a fare soltanto stage, figurarsi! :(

    Allora ti faccio l’esempio concreto: quando ho conosciuto quest’editor, l’altra sera, ho lasciato cadere una cosa del tipo “Non ho sentito più Caia (=caporedattrice, che pensavo persino che forse non lavorasse più lì…), ultimamente ho parlato sempre con Sempronia (=? boh)”. Al che l’editor ha fatto una faccia e s’è lasciato scappare un “ah”, al che io ho pensato: E cosa vuol dire questo, questo “ah”? Chi sarà mai ’sta persona? Era un “ah” condiscendente, era un “ah” tipo: ma chi cavolo ci sta in redazione? Era un “ah”…boh!!

    Ecco, era una situazione del genere quella cui pensavo.
    E ora me ne sto zitta, che sennò sembra (sembra???) che voglia rispondere punto per punto, ovvero fare la molesta ad oltranza, e non è beneducato :-) :-)



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