Posts Tagged ‘parole’

Preghiera natalizia

Natale. Come per miracolo, le quotidiane lagnanze “Ma quanto costano ’sti libri?” svaporano nell’aria diaccia e si condensano nel nembo “Massì, a regalare un libro si fa sempre bella figura con poca spesa.”
Lo so che la cosa vi fa sorridere, miei amatissimi lettori forti, voi che avete cancellato il nome della mamma accanto alla casella “Persona da contattare in caso di emergenza” per sostituirlo con quello del vostro libraio.
Ma so pure che, in questo periodo, la libreria diventa zona franca, popolata da avventizi della parola letta, da sbandati della letteratura, da traghettatori del cartonato. Tutti atterriti, ansiosi, famelici.
Ed è a loro che vorrrei rivolgere una preghiera.
Per piacere, non chiedete al libraio: “Devo fare un regalo… mi consiglia un bel libro?”
Essere superiore sotto molti aspetti, il libraio non può tuttavia leggere né nel vostro pensiero né in quello del destinatario del dono. Quindi vi consegnerà uno dei venti-trenta libri “più venduti”, voi lo regalerete speranzosi, la persona che lo riceverà lo avrà già letto (o ne avrà ricevuto altri tre in regalo) e la vostra bella figura diventerà una figura da peracottaro (o da cioccolataio, a seconda della zona geografica d’appartenenza).
Datemi retta: non chiedete nulla. Guardatevi semplicemente attorno per cinque-dieci minuti. Fatevi tentare da una copertina, da una frase, da un titolo, da una bandella. Come fareste per un foulard, per un paio di guanti, per una tovaglia. Senza pensarci troppo, senza inseguire nulla. Poi, leggeri e leggiadri, prendete un libro e pagate.
Al destinatario, potrete dire in tutta sincerità: “Sai, non l’ho letto ma, quando l’ho visto, mi ha colpito.”
Se poi vi chiede di sposarvi, però, come minimo voglio i confetti.

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07

12 2009

ER & CE

A: [Sospiro]
B: “Ma non potrebbero almeno dirci quanto ci vuole, eh?”
A: “Non lo dicono mai.”
B: “Il suo cos’ha?”
A: “Insufficienza grammaticale e fratture scomposte della sintassi.”
B: “Pure il mio ha l’insufficienza grammaticale. Con complicanze dovute a una debolezza strutturale pervasiva. Anche se dovesse farcela, mi hanno già spiegato che dovrà passare un sacco di tempo in una Casa di Revisione.”
A: “Uh, sono posti orribili.”
B: “C’è mai stato?”
A: “Sì. [Sospiro] C’è un gran silenzio. Ogni tanto si apre una porta e, più che vedere, s’intuiscono…”
B: “Cosa?”
A: “Tagli, espunzioni, rovesciamenti…”
B: “No!”
A: “Ti dicono che sono cose dolorose, ma necessarie… Però non sono certo infallibili, quelli, con tutte le arie ’da esperti’ che si danno!”
B: “Un mio amico ne aveva uno a cui teneva moltissimo. L’ha curato per anni, da solo. Senza chiedere niente a nessuno. Poi, a un certo punto, l’ha fatto uscire. Non riusciva più a tenerlo nel cassetto.”
A: “Capisco. E allora?”
B: “Non l’ha più rivisto. Sono passati almeno due anni. Non una riga, non una telefonata. Niente. Se non altro, noi una speranza ce l’abbia…”
[Voci concitate: "Codice rosso e blu!" "Livelli di coerenza a picco! Lo stiamo perdendo!" "Rianimazione ortografica!"
D'un tratto, cala il silenzio.
Una porta si apre. Una donna avanza nel corridoio, si ferma davanti a B e scuote la testa.
]
B: “Oh, no!” [Piange]
A: “Su, su, coraggio…” [Rivolto alla donna] “Sa, è il suo primo manoscritto…”
[La donna annuisce, lancia un’indecifrabile occhiata a B, poi si allontana.]

Tutto questo perché, ieri notte, arrivata all’84% [Kindle dixit] di un manoscritto, ho pensato che ci sarebbe da guadagnare parecchio, ad aprire in Italia un “Pronto soccorso manoscritti”.
Poi mi sono addormentata.

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20

11 2009

Ahi, novembre

È quel periodo sospeso perché la Fiera è passata e chissà se arrivo a quella del prossimo anno e comunque c’è tempo e nel mentre chissà magari mi decido a rispolverare seriamente il francese così posso chiacchierare con disinvoltura di Carlà (l’inglese rende tutto più alto o più basso di quanto non sia, è indiscutibile).
È quel periodo rassegnato perché se non hai comprato quel libro prima alla Fiera perché mai dovresti comprarlo adesso, dai.
È quel periodo inquieto perché non sarà che l’ho letto troppo in fretta, che mi sono lasciata condizionare, che dopo sono arrivati libri molto, ma molto più brutti e io ho scartato quello che proprio così brutto non era?
È quel periodo placido perché se non hanno venduto quel libro prima alla Fiera perché mai lo dovrebbero vendere adesso, dai.
È quel periodo tormentato perché comunque mi fanno fretta per decidere, quindi è stata soltanto un’abilissima mossa per tirare fuori il libro dal maelström della Fiera in modo che sia più facile notarlo e rendersi conto che è un potenziale bestseller.
Insomma: è quel periodo in cui i giochi di oggi sono fatti e ancora non so a cosa giocherò domani.
Nel dubbio, facciamo che la palla la porto io, va bene?

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13

11 2009

Dire, fare, rompere

Catriona: “Pronto?”
Amico (alla lontana): “Ehi, Catriona, ciao!”
C: ["Oddio. E questo adesso cosa vuole?"] C: “Uh, ciao. Quanto tempo… Come stai?”
[Banalità assortite]
A(al): “Senti…”
C: ["E ti pareva? Cos’è, hai scritto un romanzo? Hmm… No, non sei il tipo. Hai un amico che ha scritto un romanzo? Le possibilità sono pressoché infinite. Sorprendimi."] “Dimmi.”
A(al): “No, niente…”
C: ["Ahia."]
A(al): “No, è che sono qui con il mio amico Rossino de Rossini…”
C: ["E chissenefrega non ce lo metti?"]
A(al): “… che ha appena finito di leggere Feromoni per un delitto…”
C: ["Una persona attenta alle novità, eh? È uscito da due anni. E comunque: chissenefrega non ce lo rimetti?"]
A(al): “… e l’ha trovato pieno di errori.”
C: ["Strano. L'ha letto mezzo mondo, quel libro, e nessuno si è lamentato. Non si tratterà mica di un paio di refusi, eh?"] “Davvero? E di che tipo?”
A(al): “No, sai, probabilmente sono colpa dell’autore, di quel Charlie Charles.”
C: ["Respira, Catriona. Ne uccide più la calma della spada."] “Non credo. È stato rivisto con molta attenzione, anche da un chimico…”
A(al): “No… ehm…” [Borbottii indistinti, probabilmente del de Rossini] “… No, non sono errori scientifici.”
C: ["Hmm... Here comes the refuso again?"] “Infatti, mi sembrava strano. Ma quindi…”
A(al): “No… ehm…”
C: ["Se cominci un’altra frase con un ’no’, faccio cadere la linea."] “Per caso, il tuo amico li ha segnati, questi errori?”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["L’hai sfangata."] “Digli di mandarmeli, allora. Anzi mandameli tu. L’indirizzo email ce l’hai ancora, vero?”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["E tutto ’sto entusiasmo, da dove esce?"] “Ecco. Però non potremo fare granché. Sai, il libro è uscito da due anni…”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["Mah."] “Tuttavia non si sa mai. Magari lo ristampiamo.”
A(al): “Sì! Sì!”
C: ["Oddio l’infarto…"] “Grazie, eh?”
A(al): “Sì! Sì! Anzi: no! No! Grazie a te!”

L’email arriva dopo una settimana. Tre refusi. Tutti già corretti nella seconda edizione.

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05

11 2009

Sollecito

“Vi sollecito una risposta sul mio manoscritto perché sono stato contattato da un’importante CE per pubblicarlo e devo dare una risposta entro X giorni. Io però vorrei tanto pubblicare con voi…”
Oh, il caro, vecchio ricatto: “Perché non mi dai la Barbie Correttrice di Bozze? Vuoi farmi piangere?”
Autore che stai pensando di mandare un simile ultimatum sappi che:
1) In caso sia andata davvero così, il semplice fatto che tu non capisca la tua fortuna, mandando subito un’email con oggetto “Cicca-cicca-cicca” a tutte le CE a cui hai proposto il tuo libro e che non ti hanno voluto pubblicare, è segno indiscutibile che non te lo meriti affatto. E mi trattengo dal formulare ipotesi sul perché tu sia stato scelto.
2) Ti stai bruciando ogni futura possibilità di essere letto. Anche perché, dopo qualche mese, non resisterai alla tentazione di rimandare il manoscritto, rivelando così che è stato pubblicato (nel migliore dei casi) a pagamento.
3) E’ una frase così abusata che abbiamo un’elegante risposta standard: “Congratulazioni e in bocca al lupo”.
4) Chiunque ti abbia detto “Rompi le scatole, vedrai che ti rispondono” ti ha fatto un brutto, brutto scherzo.
Ma soprattutto:
5) Non ci crede nessuno.

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12

10 2009

Chiedo

Le fanno ancora?
No, chiedo: si organizzano ancora le gite – chessò – nelle fabbriche di biscotti, nei laboratori dei ceramisti, a vedere il contadino che munge la mucca?
Perché, nel caso, io avrei un’alternativa: vieni in gita in una CE.
Anzi, più che una gita (spesso noiosa), potrebbe essere un allegro campo di lavoro (questi ci sono ancora, l’ho letto sul “Manifesto”).
Buongiorno, accomodatevi. Tu potresti leggere questo (“Un foglio solo?” “No, tutti e 432. Ma non preoccuparti: sono tre libri diversi. E in un’oretta, eh?”); tu potresti correggere queste quattro bozze (“Come si fa?” “Penna rossa e lettura lenta… però non troppo, perché devono andare via oggi”); tu mettiti al telefono e cerca di convincere almeno dieci giornalisti su cinquemila a scrivere due-righe-due su questo libro (“Be’, non dovrebbe…” “Ne parliamo dopo, povero illuso”); tu, invece, siediti qui e obbliga i grafici a cambiare questa copertina (“Mah, in effetti, dovrebbero rendersi conto che…” “Già, povero illuso numero due”); tu crea un piano marketing che includa giornali, TV, cinema, affissioni stradali e ovviamente il web (“Bello!” “Già, e tutto con 23 euro, come da budget”).
Insomma avete capito. Ah, posso assicurare forti sconti a tutti quelli in grado di dimostrare di aver scritto alla CE almeno una volta, dicendo: “Ma come, vi ho mandato il mio manoscritto una settimana fa e non mi avete ancora risposto?”

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29

09 2009

Basta?

Entro in libreria e già lo so. Lo so che mi guarderò intorno e, come ogni volta, da tempo immemorabile, mi ritroverò incapace di frenare quel pensiero.
“Ma sarò scema?”
Poco mi consola sapere che, se così è, sono in buona compagnia, nel senso che ci sono almeno altre 37.999 persone come me; perché la domanda − quel pensiero − non viene mai esplicitata tra gli addetti ai lavori, se non in qualche serata stracca, ben sapendo che, la mattina dopo, si torna nell’omertà. Ma cosa pensiamo davvero quando lasciamo cadere un ennesimo fardello di pagine in questa valle di lacr carta? Cosa ci porta a credere di non annegare nell’oblio solo perché, oh, la copertina è così bella, l’autore è così bravo, il romanzo è così riuscito? Insomma: siamo forse scemi a voler continuare questo mestiere o quantomeno ciechi e sordi nei confronti di una realtà che, non appena mettiamo piede in libreria, ci batte sulla spalla e ci dice: “Non ti sembra sufficiente tutto questo?”
Ci credete che, in tutti questi anni, le uniche risposte che sono riuscita a darmi (a darle) sono:
1) No, perché il mio (e quello di altre 37.999 persone) è un lavoro (come un altro).
2) No, perché questa è un’industria (come un’altra).
3) No, perché non bisogna mai smettere di invitare la gente a leggere, in modo che capisca (meglio) la realtà che la circonda o che, semplicemente, trovi un modo per evaderne. Quindi bisogna sempre darle cose nuove,
Basta? Non lo so davvero.

P.S. Per il secondo anno consecutivo, sono sbalordita e onorata dal fatto che tanti di voi abbiano pensato al Secondo piano. Riconoscente, esporrò l’icona ufficiale e me ne vanterò con Mr Potts fino alla nausea. Però, dai, io voterei per lo Zio.

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24

09 2009

Perché? Perché? Perché?

Tutte le settimane mi dico: “Non farlo.” Ma poi ci casco. Sempre. Apro e guardo. No, non mi soffermo più come un tempo; non ho più l’età per certe arrabbiature. E infatti inciampo subito in un: “… sorprende questo Bildungsroman ambientato nel distretto di Banjul, irto di dolente sensibilità seppur velata da un afflato immaginifico…” seguito da un: “… presenta un saggio metaforicamente denso di suggestioni hussleriane…” e da un “… così il vissuto si stempera in una progressione che, latu sensu, è anche una regressione…”
Allora li vedo. Giovanni ed Elena e magari anche Giorgio, il loro primogenito, diciotto anni e una vaga, incostante passione per la lettura. Li vedo che scorrono quelle righe con la vaga speranza di trovare qualcosa e scoprono invece davanti a sé la Fortezza di Cultura, massiccia, inespugnabile, senza neppure una feritoia da cui far passare un po’ di divertimento leggero, di innocua identificazione, di lieta fuga.
Allora li sento. I pianti e i lamenti dell’élite: “Ma perché la gente non legge? Perché? Perché? Perché?”
Finché, pietoso, non arriva Mr Potts: “Oh, mi avevi promesso di smetterla con i supplementi culturali. Lo sai che ti fanno male, no?”

22

09 2009

Impalpabile

Lo so, faccio un mestiere impalpabile. L’editore, il traduttore e persino lo stampatore lasciano traccia del loro passaggio nel libro. Quello stesso libro che magari io ho scelto; per cui ho discusso con l’autore svariati giorni e parecchie notti; di cui ho letto prima, seconda, terza stesura nonché le bozze; di cui ho deciso la copertina eccetera.
Lo so, faccio un mestiere impalpabile. Da quando i dattiloscritti non ci sono più, da quando basta una combinazione di tasti per far sparire le revisioni da un file e rivelare un testo pulito, non ho più neppure la testimonianza della carta massacrata e dei segnacci blu, rossi o verdi a dimostrare che sono passata di lì.
Lo so, faccio un mestiere impalpabile. Un tempo si diceva “lavoro di concetto” (si dice ancora?), che per me si traduce in parole. Da leggere, da scrivere, da pronunciare. Comunque effimere.
Ed ecco perché, nel futuro della CE, immagino un dialogo più o meno così:

Anziana della CE “Uh, questo Catriona non l’avrebbe mai lasciato passare…”
Giovinetta della CE “Catr… Chi?”
A “Eh, già, tu non puoi averla conosciuta.” [Sospiro]
G “Ma chi era?”
A “In due parole?”
G “Mah, sì.”
A “Due parole due?”
G [Spazientita] “Sì!”
A “Un’emerita rompicoglioni.”

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17

09 2009

A terra

Se mai vedeste una donna in mezzo a un marciapiede, immobile e indifferente a eventuali spintoni e calci, con lo sguardo fisso a terra su un pezzo di carta, non preoccupatevi: sono io. Posso passare davanti a mia sorella senza notarla ma, se vedo qualcosa (qualsiasi cosa) su cui è stata tracciata anche soltanto una frase, devo sapere cosa c’è scritto. Sempre e comunque.
A dimostrazione di tale costante impulso alla lettura, quest’estate ho scoperto:
- che, sulle istruzioni per l’uso della pellicola per alimenti, c’è scritto “Devolgere il foglio” e “Stoccare il prodotto fra i 18 e i 30 gradi” (stavo tirando precipitosamente fuori ogni pacchettino dal mio frigorifero, ma poi ho capito che, per “prodotto”, si intendeva la pellicola stessa e non quello che c’era avvolto dentro);
- che, sul calendario gentilmente regalatomi a Natale da un fornitore, il mese di agosto è sbagliato (comincia di domenica), ma solo nella colonnina che affianca il mese di luglio;
- che, sulla bomboletta di un “profumo per la casa”, c’è scritto “Non fumare.” e “I deodoranti per l’ambiente non sostituiscono le buone pratiche igieniche.” (update: “Non fumare.” c’è scritto pure sulla bomboletta di una schiuma per barba. Vorrei, in entrambi i casi, far notare il punto fermo dopo l’intimazione.)
- che, sul flacone di un prodotto anticalcare, c’è scritto “Ha un gradevole profumo di aceto”; su un prodotto simile, l’etichetta riporta: “Altri componenti: profumo”. E noi che eravamo rimasti a Chanel;
- il Turducken.
Comunque, sì, il titolo del post si riferisce anche al morale.
Bentornati.

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31

08 2009

Il lunedì dell’ultima settimana prima delle ferie

Giovane Collega “Catriona, mi cercavi? Aarrggghhh! Ma cosa stai facendo?”
Catriona “Un falò.”
GC “In ufficio?”
C “Oh, non c’è pericolo. Siamo o no gli editori di Milleduecentoquattro modi per accendere un fuoco in tutta sicurezza ché non si sa mai quando ti può tornare utile?”
GC “Ma quel libro è andato malissimo, no?”
C “Già. Peccato. Come vedi, è davvero utile.”
GC “Scusa, ma…”
C “Ti ho chiamato perché sei qui da poco e certe cose non le sai ancora. Adesso ti spiego. Siediti, magari non troppo vicino a… Brava, lì. Dunque: fin dalla notte dei tempi editoriali, il lunedì dell’ultima settimana prima delle ferie è stato considerato uno dei giorni più pericolosi dell’anno, perché su di esso incombe un’oscura maledizione. Si dice che persino Gutenberg ne sia stato colpito.”
GC “Una maledizione? Su Gutenberg?”
C “E pure su Manuzio, se è per questo. Vedi, l’arrivo del lunedì dell’ultima settimana prima delle ferie, della sua promessa di libertà e riposo, scatena i più bassi istinti di una CE: i refusi non vengono corretti, i manoscritti urgenti rimangono intoccati, le bandelle diventano quasi incomprensibili…”
GC “Se ti riferisci alla bandella di Charlie Charles, posso rivederla, migliorarla…”
C “Migliorarla? Come minimo… A ogni buon conto, è proprio a causa di questa atmosfera d’intollerabile lassismo che, zac!, la maledizione colpisce.”
GC “E in che modo?”
C “In modo imprevedibile! Un instant-book, un autore che deve rivedere il proprio testo in agosto perché poi parte per il Kennesoiostan, un traduttore fidato che cicca la traduzione del romanzo più importante dell’autunno, costringendoti a una revisione in tempi impossibili, un correttore di bozze che si ammala e ti rimanda i quattro libri che gli avevi affidato dopo che lui aveva detto: ‘Ah, tanto quest’anno non faccio vacanze…’ E neanche tu le fai, le vacanze. Rimani in ufficio, a rimediare ai disastri, per tutto il periodo delle ferie. E senza aria condizionata.”
GC “Oh.”
C “Ecco perché è necessario un sacrificio. E questa è appunto una pira sacrificale.”
GC “Un sacrificio… umano?”
C “Se guardassi meno filmacci, ragazza mia… Ovvio che si tratta di un sacrificio simbolico.”
GC “Ah, per fortuna.”
C “Sto bruciando la stampata della tua revisione del romanzo di Charlie Charles. Ovviamente abbiamo cancellato pure i file dal tuo computer e dal server. Non ci provare neanche a recuperarli: è impossibile. Piuttosto mettiti al lavoro: hai una settimana intera per rifare la revisione.”
GC “Ma, ma…”
C “Su, su, è un libro breve. E non era neppure tradotto malissimo, almeno non in certe parti. In una settimana ce la fai.”
GC “Ma, ma…”
C “Dammi retta, ti è andata bene. Si dice che a un novizio, molti anni fa, abbiano bruciato le prime bozze corrette di un saggio in due volumi… Ma io non ci credo. La gente esagera sempre.”

E con questo, il lunedì dell’ultima settimana prima delle ferie, il secondo piano chiude. Per ferie, ovvio.
Ci si sente altrove, se tale è la vostra inclinazione.
Adesso, scusate, ma ho un fuoco da domare.

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27

07 2009

In buona

Senti, oggi sono in buona. Tradotto, significa che ti abbuono la grammatica un po’ così, i refusi – massì, in fondo non sono neppure tanti – e pure la ridondanza (abbiamo tutti un’esperienza diretta del freddo [meteorologico]: aggiungerci via via “pungente”, “intenso”, “frizzante”, “insopportabile” confonde un po’, non credi?). Ma una cosa no, non te la abbuono. Mi dispiace, ma tu non hai voce. Proprio per niente. Innanzitutto in senso letterale. Quando i tuoi personaggi parlano, è come se dalla loro bocca uscissero frasi sbriciolate dall’usura. Non si fanno ascoltare, ti viene voglia di correre avanti per capire se prima o poi, da quelle bocche, verrà fuori qualcosa d’interessante (e non ho detto “di nuovo”, bada). Poi ci sono le frasi che cominciano auliche e che si disintegrano in un “tanto va la gatta al lardo” (e viceversa… le frasi, non la gatta, eh?) così il tuo protagonista, sotto i miei occhi, dall’invitto Ulisse che stava per diventare, diventa invece il nonno Ulisse che si lagna con la portinaia. Mi vanno bene entrambi, ma deciditi, su.
Poi non hai voce tu. Dove mi stai portando? Possibile che, se mi fai incontrare qualcuno, mi devi raccontare ogni suo passato palpito, con l’ovvio corredo di sopracciglia che s’inarcano, di sospiri profondissimi, di sguardo penetrante verso il nulla a ogni cambiar di palpito e di ricordo correlato? Possibile che non mi sai costruire un brivido di attesa, che mi fai cadere gli avvenimenti così, in mezzo al nulla, liquidandoli in due frasi o allungandoli a dismisura?
Ripeto: mi dispiace, ma no, non posso davvero abbuonarti la mancanza di voce.
Torna magari tra un po’, quando ti sarai schiarito la voce le idee.
E copriti, ché fa freddo.

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23

07 2009

Non esiste

Niente. Non una riga, non un segno. Niente sull’autore, figuriamoci sul libro. Territorio vergine.
Succede.
Così, se arriva un manoscritto (straniero) e la ricerca su Internet non dà risultati, non so mai se essere preoccupata o contenta.
Perché un poco inquieta, l’assenza. Sarà voluta o casuale? Significa forse che neppure la CE straniera ci crede, nel libro o nell’autore? Oppure, al contrario, punta a far sgorgare una ribollente cascata d’infomazioni al momento opportuno?
Ma conforta pure, il silenzio. Lascia soli col testo, senza condizionamenti o preconcetti. Libera dalla necessità di confrontarsi con il passato, quale che sia. E’ come mettersi a parlare direttamente con l’autore, senza mediazioni.
E dà un piccolo brivido: quel libro/quell’autore “non esiste” per il mondo, ma “esiste” per te.
Ci si accontenta di poco, da queste parti e di questi tempi.

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13

07 2009

Risposta senza domanda

Senti, non lo so. Già, sembra tutto bianco o nero, perché c’è un libro oppure non c’è. Ma non è vero. Le gambe sono sempre malferme, la testa è un continuo frullio di “Ma forse…” “E se…” “Chissà…” Una decisione poi si prende, ma quella che sembra una spada affilata in realtà è un coltellino smussato. Perché nessuno sa nulla; neanche quelli che pontificano di trend e di “gusti del pubblico”. Perché, alla fine, siamo soltanto due entità – una che scrive e una che legge – con in mezzo la scommessa di riuscire a comunicare qualche emozione. Ci vuole un po’ di incoscienza, sì. E una certa presunzione. Però anche molta umiltà. E parecchio lavoro. Un lavoro basso, di mastica e sputa, finché non si pensa (ci si illude? si suppone? si spera?) di aver trovato qualcosa che forse, se, chissà. Con le gambe che continuano a tremare.
Quindi no, non so definire con precisione il motivo per cui quello sì e quell’altro no.
Nessuno lo sa. Fidati.
Magari è meglio così.

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07

07 2009

Oggi, ferie

No, non vado in ferie (non ancora).
Ma, su istigazione di Giulia B. (Grazie, Giulia!), ne ho scritto qui, dunque oggi mi prendo un giorno di ferie dal secondo piano.
Nota per i puristi: sì, c’entrano i libri.

P.S. Ho segnato soltanto uno dei mille link che portano a Giulia e ho scelto Me parlare donna un giorno perché è un autentico spasso.

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03

07 2009

Test d’ingresso

Candidato [titubante] “Buongiorno. Sono qui per il test d’ingresso…”
Esaminatore “Sì, sì. Prego, si sieda. Mi parli di lei.”
Candidato “Ho scritto alcune poesie e vari racconti e sono a metà di un romanzo semi-autobiografico in cui…”
Esaminatore [seccato] “No, fermo, fermo.” [sospirando] “Tutti uguali…” [in tono normale] “Quanti libri ha letto nella sua vita?”
Candidato “Mah, così, su due piedi…”
Esaminatore “Vediamo: lei ha 33 anni. Legge da quando ne aveva… 7, diciamo. Fanno 26 anni di lettura. Un minimo – minimo! – di un libro al mese… Siamo intorno ai 300. Conferma?”
Candidato “Forse qualcuno di meno…”
Esaminatore “Ah-ah! Partiamo da un punteggio basso, quindi. Vista?”
Candidato “Una leggera miopia… porto le lenti a contatto.”
Esaminatore “Ma no, cos’ha capito? Si guarda fuori e dentro?”
Candidato “Mi sembra di sì…”
Esaminatore “Più dentro o più fuori?”
Candidato “Direi più… fuori?”
Esaminatore “E cosa vede?”
Candidato “Scusi?”
Esaminatore “Mi dica cosa vede.”
Candidato “Mah… cose… persone…”
Esaminatore [sottovoce] “La fantasia al potere, eh?” [in tono normale] “‘Scimpanzé’ si scrive con l’accento acuto o con quello grave?”
Candidato “Ehm…”
Esaminatore “Che tempo verbale è  ‘avessi mangiato’?”
Candidato “Passato… remoto?”
Esaminatore “Lasciamo perdere. Sta scrivendo un romanzo semi-autobiografico, ha detto.”
Candidato [ringalluzzito] “Sì, sì.”
Esaminatore “Mi può citare qualche celebre autore che lei ha letto e che ha scritto un romanzo autobiografico o semi-autobiografico?”
Candidato “Hmm…”
Esaminatore “Su… neanche uno? Pr… Pr…”
Candidato [irritato] “Scusi, lo so che non sto andando bene, ma le sembra il caso di farmi delle pernacchie?”
Esaminatore [grida] “Avanti un altro!”

Ecco: il test d’ingresso per diventare scrittore me lo immagino più o meno così.

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02

07 2009

Diplomazia

Non sono affatto diplomatica, lo so. Se dipendesse da me, il Congresso di Vienna sarebbe ancora in corso, in un tripudio di feste e danze. Così osservo sempre con sconfinata ammirazione chi invece si muove con passo leggero e disinvolto nel labirinto del do ut des. E cerco d’imparare.
Infatti, l’altro giorno, dopo un incontro “conoscitivo” con un’autrice, mi sono rivolta alla mia collega della CE e, tutta soddisfatta, ho esclamato: “Be’, mi sembra che sia andata bene!”
“Le hai detto che la sua storia non ti convince, che i suoi personaggi sono deboli e che il suo stile è faticoso.”
“Sì, però mi sembrava abbastanza convinta.”
“Poi hai suggerito che sarebbe opportuno cambiare l’inizio e la fine, che la vicenda centrale va ripensata e che le vicende laterali sono ridondanti…”
“Forse. Ma l’ho fatto perché mi sembra che lei abbia le potenzialità per…”
“… dare una nuova, inedita sfumatura alla parola ‘massacro’?”
Ho detto che cerco d’imparare. Non che ci riesco.

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29

06 2009

Forma e sostanza

Forma

Da: Marcel Marcelloz
Inviato: martedì 23 giugno 2009 18.28
A: Catriona Potts
Oggetto: Jean-Marc Jeanmarcette

Catriona carissima,
è con grande piacere che ti propongo il nuovo libro di Jean-Marc Jeanmarcette, un autore che probabilmente conosci perché è già noto in Italia. L’ho letto rapidamente, ma ho pensato subito alla tua CE. Sarò felice di mandarti il manoscritto: non è ancora definitivo, ma non dovrebbero esserci troppi cambiamenti.
Spero di vederti presto.
Baci
MM

Sostanza

Da: Marcel Marcelloz
Inviato: martedì 23 giugno 2009 18.28
A: Catriona Potts
Oggetto: O la va o la spacca

Oh, Catriona, mia ultima spiaggia,
speravo tanto che non scrivesse più nulla e invece, proprio mentre stavo per andare a casa dopo una pessima giornata, quel pazzo scatenato di Jean-Marc Jeanmarcette mi ha mollato la sua ultima “fatica”. E mai termine fu più appropriato perché ho provato a darci una scorsa e mi sono addormentato di botto a pagina 6. Un’esperienza che forse non ti è estranea, perché sono circa quattro anni che cerco di affibbiarti questo autore e tu lo hai sempre respinto (un’altra CE italiana se l’è preso, ma è andato così male che non ha nessuna intenzione di pubblicare un altro suo libro. Non posso darle torto). Ma io tento lo stesso il colpaccio (magari non lo ricordi, hai visto mai). Se mi dice bene, ti mando all’istante quella specie di brogliaccio che l’autore mi ha consegnato (condoglianze all’editor che dovrà metterci le mani).
Lo so, è una vigliaccata, ma sono alla frutta.
MM

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24

06 2009

Pastone

E’ che non ne posso più di questo mastica-e-sputa parole. Sì, lo so, l’ha già detto qualcun altro (e di certo non è stato il primo) ma, all’epoca, serviva per stigmatizzare una posa affettata, un atteggiamento snob. Adesso invece non passa giorno che non ci gettino contro un pastone di neologismi, etichette, slogan; non passa giorno che noi non ci lanciamo a masticare quel pastone – quei neologismi, quelle etichette, quegli slogan –, neanche fossimo lupi bulimici, e non passa giorno che, disgustati o esaltati, per convinzione o meccanicamente, ce lo risputiamo addosso. Per riprendere il ciclo il giorno dopo.
All’inizio, pensavo di essere troppo sensibile io, che con le parole ci mangio davvero. Ma stamattina, quando ho sentito un tassista dire ridacchiando a un collega: “Ve le abbiamo suonate anche ieri, eh, brutto comunista…”, ho capito che il pastone – in questo caso composto da arroganza, sport, insipienza, superficialità e forse altro – rischia di diventare l’unico vero cibo disponibile per tutti.
E molti, moltissimi lo troveranno sempre più gustoso.

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23

06 2009

Consigli per le vendite

Siete lì, con le dita pronte a tamburellare sulla tastiera, ma non sapete da dove cominciare? Ecco la top 3 dei pretesti temi più trattati nelle proposte di questo periodo, con qualche consiglio per sfruttarli al meglio.

Al terzo posto si piazzano gli animali che intervengono in una drammatica/ disperata / straziante vicenda umana e la risolvono. Siate creativi, però, almeno nella parte animale:  cani, gatti e cavalli ormai strappano subito lo sbadiglio. Meglio un simpaticissimo Loris gracile (Loris tardigradus). Forse la relazione con il bambino malato / il manager disilluso / la donna divorziata non sarà semplicissima da sviluppare, ma non è che  posso fare tutto io, no?

Al secondo posto ci sono le relazioni nonna-nipote. Per gli americani è facile: mettono la nonna a Salem (Oregon) e la nipote ad Augusta (Maine) e fanno percorrere a una i 5.302 chilometri necessari per raggiungere l’altra (l’aereo è escluso, sia chiaro) cosicché, durante il viaggio, abbia modo di fare incontri rivelatori e/o di rivelare la propria vera interiorità. L’italica lunghezza massima di 1.291 chilometri probabilmente offre minori possibilità, tuttavia non dovrebbe essere difficile ingegnarsi. Consigliato un sottotesto di polemica sociale per evitare di essere tacciati di autobiografismo.

Il primo posto è saldamente in mano alla “famiglia apparentemente normale”. E’ ovvio che tutto sta in quell’”apparentemente”, prodromo al più classico “effetto cipolla”: padre avvocato, che in realtà fa il bookmaker nei combattimenti clandestini di galli, che in realtà agisce così a causa di un trauma infantile (causato dal fratello maggiore), che in realtà è dovuto a un contatto fugace con alieni crestati; madre casalinga, che in realtà coltiva il sogno di diventare pilota di go-kart, che in realtà ha una cotta per il fruttivendolo sottocasa, che in realtà è il fantasma del suo primo amore, un esploratore scomparso sull’isola di Amantaní, che in realtà è il luogo d’origine della madre (cioè di sua nonna); figli (almeno due) che studiano al liceo, ma che in realtà…

Ah, a scanso di equivoci: tutte le suddette trame sono state depositate alla SIAE. Quindi non fate i furbi…

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08

06 2009

Dazed and confused

Talvolta vi odio proprio, a voi del marketing. Perché prendete il mio libro e lo possedete, come se avesse bisogno di voi per sentirsi vivo. Lo anoressizzate a slogan o lo obesizzate a cartellone, ne estraete a forza l’essenza (quella che per voi è l’essenza) e la imbottigliate in un contenitore opaco ed elegante, spacciandola per l’essenza della felicità letteraria.
Quando succede, io rimango lì, in silenzio, a guardare voi e quello che era il mio libro. Un po’ intontita e un po’ disorientata.
Poi penso: massì, in realtà, sotto sotto, vi voglio bene, a voi del marketing.
Perché io, il vostro mestiere, non riuscirei davvero a farlo.

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05

06 2009

Come non

Lo so, è in inglese. Lo so, può sembrare semplicistico. Però non scrollate le spalle, perché questo test è molto più vicino alla realtà degli “autori emergenti” di quanto crediate.  E se anche fosse soltanto un’abile mossa per farvi comprare questo libro (che non ho letto, badate), pazienza.
Mi piacerebbe avere il tempo di tradurlo e adattarlo, per farlo diventare una specie di test d’ingresso al desiderio di essere pubblicati. Dopo quelli di grammatica e ortografia, beninteso.

Update:  Grazie a Zia Bisbetica (grazie!) lo trovate qui in italiano.

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04

06 2009

Pàssino

Pàssino i soggetti che si smarriscono e i verbi che vengono concordati con ciò che più piace.
Pàssino le costruzioni retoriche che susciterebbero l’invidia di Èschine di Mileto.
Pàssino i dialoghi risucchiati senza filtro da libri, film, serie TV, videogiochi, parodie.
Però, caro il mio autore di successo, la logica della storia e la plausibilità delle situazioni non le puoi ignorare così, soltanto perché sei un autore di successo al quale tutto è concesso.
Quindi deciditi: o il tuo protagonista ha i superpoteri – e ci può anche stare – oppure non li ha, e allora è semplicemente ridicolo.
E sono solo a pagina trenta.

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03

06 2009

Fare commercio

Non mi è mai dispiaciuto fare commercio (dei miei libri). Non credo siano molti i mestieri in cui si ha la possibilità di spiegare a chi deve vendere un certo prodotto perché quel prodotto ti ha colpito, perché ci credi, perché lo consigli. Non mi è mai pesato mettermi nei panni di chi deve andare da un libraio e dire: “Senti, questo è veramente bello e adesso ti spiego perché.” Neppure se poi il libro va male. Nel nostro piccolo mondo, tutti godono di una certa tolleranza (quando si galleggia, si galleggia tutti insieme e quando si affonda…)
Sarà l’età (com’è utile avere un’età in cui si può affermare “Sarà l’età” ed essere presa sul serio), sarà che a maggio la volata è quasi finita (e il prossimo anno già ti fiata sul collo), sarà il caldo… ma in questo periodo fare commercio (dei miei libri) mi pesa. Non che questi libri siano più brutti dei precedenti o che io sia meno convinta. E’ che il balletto-rituale-scommessa mi ha un po’ stancato. Vorrei che i libri parlassero da soli, che nella sala in cui tutti aspettano da me ragioni, spiegazioni e numeri ci fosse silenzio perché tutti stanno leggendo il libro che ho portato. Vorrei che tutti scoprissero da soli il motivo della scelta e la difendessero “con parole loro”. Vorrei discutere, trovare altri motivi per sperare o disperarmi, per correggere il tiro (in alto o in basso), per litigare o esaltarmi…
Sì, deve essere il caldo.
O forse sono io.
Appunto.
I’m a Dreamer, Aren’t We All?

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25

05 2009

Animale, vegetale, minerale

Catriona e un collega di un’altra CE conversano su Skype

Collega: Hai presente il titolo del libro-che-deve-essere-un-successo? Devo cambiarlo…
Catriona: No!
Collega: Già. Per sei mesi è andato bene, poi ieri si è svegliato il Capo e ha detto che gli animali nel titolo non vendono. Non è che avresti un’idea?
Catriona: Io? Dovrei aiutarti a trovare uno di quei titoli che fanno da soli il successo di un libro… a discapito quindi del successo dei miei libri?
Collega: Ti ricordi quando ti ho ceduto quel traduttore che ti ha tradotto millemila pagine in quindici giorni… Be’, diciamo che adesso io sono don Vito, tu sei Bonasera e il mio libro è quasi Santino.
Catriona: Oh… Va bene. Deve esserci per forza un animale nel titolo?
Collega: A questo punto vanno bene anche i vegetali e i minerali.
Catriona: Non è che mi ricordi benissimo la storia…
Collega: Non importa, dammi qualche titolo a effetto, poi lo aggiusto io.
Catriona: Perché non parti dalle solite cose? Luce, buio, rumore, silenzio…
Collega: Già usati negli ultimi quattro libri.
Catriona: Una bella frase fatta? Oggi a me, domani a te…
Collega: Eh?
Catriona: Non hai torto. Come l’hanno tradotto i francesi?
Collega: Oh, i francesi…
Catriona: Capisco. E i tedeschi?
Collega: Non lo voglio neppure ripetere.
Catriona: E i danesi?
Collega: I danesi?
Catriona: Sono bravissimi a trovare titoli a effetto, i danesi.
Collega: Mah, vado a vedere. Poi ci risentiamo.
[un'ora dopo]
Collega: Ma sai che avevi ragione sui danesi?
Catriona: Hanno trovato un bel titolo?
Collega: Macché. Però, nella stessa pagina c’erano altri libri di quella CE. Ho tradotto tutto in automatico e… ho trovato il titolo perfetto!
Catriona: Quello di un altro libro?
Collega: Sì, ma è perfetto!
Catriona: E sarebbe?
Collega: Figurati se te lo dico. Me lo copieresti subito. Ma grazie, eh? Grazie mille!

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21

05 2009

Monologo interiore (con conseguenze esteriori)

Eccola lì. Alla terza riga.
Quante pagine? 1/154?
No, la lascio stare.
Ho anche poco tempo.
E poi non se ne accorge nessuno.
A parte me. Be’, sì, magari qualcun altro, certo, ma al lettore medio cosa vuoi che…
E poi: se la correggo lì, la devo correggere in tutto il testo, non ci sono santi.
E chissà quante altre cose trovo da correggere in 154 pagine.
No, non ho tempo di fare anche questo.
Hmmm… Fammi vedere se, per caso, la Preclara CE la accetta… Ma guarda, eccola lì, ad apertura di libro, nientemeno!
Già, però il loro è un autore italiano. Quindi lo stile personale, l’editing che si suppone discreto…
La mia è una traduzione.
No, non tocco nulla.
Certo che sta proprio male, però.
E se la correggessi solo quando mi dà molto fastidio?
Ma a chi la voglio dare a bere?
A me dà sempre fastidio.
Va bene, dai, lo faccio per il bene della lingua italiana.
Siamo rimasti soltanto noi delle CE a difenderla, no?
Mi rimane un unico dubbio.
Chissà se ci sono nata, così scema, oppure se lo sono diventata.

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07

05 2009

Un aiutino

“Quindi dovrei leggerlo anche più di una volta?”
“Sarebbe un buon inizio.”
“E poi?”
“Poi rifletti sullo stile, sui temi trattati…”
“Ma lui scrive gialli.”
“E allora?”
“Cosa c’è da riflettere? Quando hai scoperto chi è l’assassino, hai trovato il senso del libro.”
“Vallo a dire a Dürrenmatt.”
“Ah, no, io faccio letteratura inglese, mica tedesca.”
“Veramente Dürrenmatt non è… Vabbè, lasciamo perdere. E poi devi capire, per esempio, in quale contesto si è mosso l’autore, quali sono stati i suoi modelli e come li ha elaborati.”
“Ma non c’è un libro che lo spiega?”
“No.”
“E voi qui non avete niente?”
“A parte i testi originali e quelli tradotti, qualche scheda di presentazione e i contratti, direi di no.”
“E cosa c’è sui contratti?”
“Probabilmente la sua firma. Ti interessa vederla?”
“Mah…”

No, questo dialogo non è mai avvenuto. Però, quando ricevo una lettera o un’email di chi, dovendo fare una “tesina” (sempre il diminutivo) su un certo autore, si rivolge alla CE per avere “materiale”, perché “in giro ce n’è poco”, non posso fare a meno di immaginarmelo.

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06

05 2009

Come ti dicevo

Da: Philly Radolloz
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 11.28
A: Catriona Potts
Oggetto: Charlie Charles

Cara Catriona,
sono molto contenta che tu abbia comprato Feromoni per una rapina di Charlie Charles. Sono certa che sarà un successo. Mi mandi la vostra copertina?
Grazie
Philly
——-
Da: Catriona Potts
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 12.32
A: Philly Radolloz
Oggetto: Re: Charlie Charles

Cara Philly,
anch’io sono molto contenta e spero proprio che sia un successo perché Charlie Charles lo merita. La copertina non c’è ancora perché abbiamo appena comprato il libro. Te la mando non appena ce l’ho.
Ciao
Catriona
—–
Da: Philly Radolloz
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 13.04
A: Catriona Potts
Oggetto: R: Re: Charlie Charles

il fatto è che stiamo preparando una brochure per pubblicizzare l’autore. Non potresti mandarmela lo stesso?
—-
Da: Catriona Potts
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 13.51
A: Philly Radolloz
Oggetto: Re: R: Re: Charlie Charles

Mi dispiace, ma la copertina non c’è e ci vorrà parecchio tempo prima di averla.
—-
Da: Philly Radolloz
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 14.16
A: Catriona Potts
Oggetto: R: Re: R: Re: Charlie Charles

se si tratta di qualche settimana, possiamo aspettare.
In più ci piacerebbe avere la traduzione perché qui da noi c’è uno che ha fatto un corso di italiano e vorrebbe dargli un’occhiata.
—-
Da: Catriona Potts
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 14.29
A: Philly Radolloz
Oggetto: Re: R: Re: R: Re: Charlie Charles

Temo che ci vorrà ben più di qualche settimana. Come ti dicevo, abbiamo appena comprato il libro e probabilmente lo pubblicheremo alla fine del 2010. E anche per la traduzione bisognerà aspettare: il traduttore che abbiamo scelto non sarà disponibile che fra quattro mesi.
—-
Da: Philly Radolloz
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 14.58
A: Catriona Potts
Oggetto: R: Re: R: Re: R: Re: Charlie Charles

a noi sarebbe sufficiente anche una copertina provvisoria e un centinaio di pagine di traduzione. Come ti dicevo, c’è tempo qualche settimana. Aspetto tue notizie.
—-
Da: Philly Radolloz
Inviato: venerdì 1 maggio 2009 18.12
A: Catriona Potts
Oggetto: I: R: Re: R: Re: R: Re: Charlie Charles

Cara Catriona,
non ho ricevuto risposta all’email che ti ho mandato qualche giorno fa. Probabilmente non ti è arrivata. Te la inoltro.
Ciao
Philly

Da: Philly Radolloz
Inviato: lunedì 27 aprile 2009 14.58
A: Catriona Potts
Oggetto: R: Re: R: Re: R: Re: Charlie Charles
a noi sarebbe sufficiente anche una copertina provvisoria e un centinaio di pagine di traduzione. Come ti dicevo, c’è tempo qualche settimana. Aspetto tue notizie.

____
Per favore, prima che perda la ragione, ditemi dove sbaglio.

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04

05 2009

Tempo una settimana

Per fare un libro ci vuole tempo

Tempo per scriverlo
Tempo per trovarlo
Tempo per editarlo/tradurlo
Tempo per sapere quante copie tirare
Tempo per farlo conoscere
Tempo per venderlo

Ecco perché il seguito di un romanzo non esce la settimana successiva a quella in cui è apparso il primo romanzo. E neanche il mese successivo.
Ecco perché il libro straniero non esce la settimana successiva a quella in cui è stato comprato. E neanche il mese successivo.
Ecco perché un libro italiano non esce la settimana successiva a quella in cui è stato consegnato. E neanche il mese successivo.
Ecco perché, se un lettore mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, ridacchio e spiego.
Ecco perché, se un AA mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, lo scarico con eleganza.
Ecco perché, se uno che lavora in una CE da svariati anni mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, m’incazzo.

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30

04 2009

Federico Diaz

Ho seguito, un po’ di tempo fa, un dibattito sulla lingua italiana. Sono rimasta in silenzio, a osservare, confrontando quella chiacchierata con la mia realtà quotidiana, quella degli “autori emergenti”. Non gente che, parlando con un amico, si aggrappa a un calco linguistico o arranca su un congiuntivo, ma gente che si è seduta davanti a un computer (o a un foglio bianco), ha cominciato a scrivere e lo ha fatto probabilmente per parecchio tempo, convinta di avere qualcosa di interessante da dire e di averlo espresso.
Ecco, io credo che questa gente abbia bisogno di regole e di chiarezza. Spesso non lo sa (non se ne rende conto?) però ne ha un bisogno disperato. Perché è proprio lì che si va a schiantare. Non dominando le regole, anche il suo pensiero è sregolato. Non conoscendo il senso delle parole, le sue parole diventano senza senso.
Quindi, no, quando uso “decade” in senso proprio non mi sento una specie di Federico Diaz della lingua italiana.
Perché alla domanda: “Si capisce?” non bisogna mai rispondere: “Abbastanza”, ma: “Sì.”

Aggiornamento: Scusate, non mi ero accorta che la discussione su Friendfeed era privata. Lascio il link perché forse qualcuno dei “coinvolti” vuole ripassarla. Per gli altri, in sintesi, si è trattato di un vivace scambio di idee sulla “malleabilità” della lingua italiana, soprattutto riguardo all’uso proprio (e improprio) della parola “decade”.

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29

04 2009

Matrimoni e funerali

Una fiera è un po’ come un matrimonio. All’inizio tutti calorosi, abbraccianti, “… ma possibile che ci vediamo solo qui?” Poi seri, compunti, attenti. Infine i gruppi, le chiacchiere, il cibo, persino le sbronze.
Una fiera è un po’ come un  funerale. All’inizio tutti calorosi, abbraccianti, “… ma possibile che ci vediamo solo qui?” Poi seri, compunti, attenti. Infine i gruppi, le chiacchiere, il cibo, persino le sbronze.
Quest’anno – la crisi, ah, la crisi! – si pencolava minacciosamente verso il funerale.
Per fortuna, nel mio mondo, a officiare la cerimonia sono soprattutto le numerose, numerosissime donne.  Che trovano sempre il modo di sdrammatizzare, magari soltanto con un’occhiata perplessa agli stivaletti fluo dell’AA norvegese. O con un abbraccio tanto affettuoso quanto inatteso. O con una scintilla di vera passione per un certo libro.
Alla LBF 2009, insomma, un lieto turbinio di estrogeni ha sventato il pericolo del funerale. E non è poco.

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23

04 2009

Copioni

#queryfail
Vale a dire i soltanto oggi in versione twitter, più o meno.
Qui un articolo del Guardian che spiega cos’è successo.
E sappiate che oggi – 17 aprile 2009 – è il queryfail day 2.
Ciò detto, trotterello felice e spensierata verso la LBF 2009. Ci si sente tra un po’.

P.S. Sappiate che c’è anche #agentfail, mentre #publisherfail non mi sembra che abbia molto successo.

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17

04 2009

Monologo

Buongiorno buongiorno, allora, vediamo un po’, quello lì l’ho già letto, di quell’altro non mi fido, questo qui ha una brutta copertina, ah, se potessi farle io, le copertine… Scusi, mi consiglia un bel libro, ma bello, eh, perché l’altra volta me ne ha consigliato uno che era meglio se lasciavo perdere, invece no, io i libri li leggo per intero, fino in fondo… Questo? Ma è bello? Perché non l’ho mica visto in classifica, mi faccia vedere… No, no, per carità, è ambientato in Africa, mai piaciuti i libri ambientati in Africa, voglio qualcosa di più normale… Quest’altro? Perlamordiddio, un altro giallo italiano! Ormai tutti gli italiani si mettono lì a scrivere gialli e la letteratura, eh, dove è finita la Letteratura con la L maiuscola, me lo spiega? Questo, dice? Ah, beh, già, me ne ha parlato un collega… D’accordo,  sì, lo prendo, sperando che vada bene perché sa, i libri non li mollo mica a metà, vado fino in fondo, io. Quant’è? Apperò,  anche i libri costicchiano, eh? Ecco, tenga, però si ricordi che mi sono fidato… Grazie, arrivederci arrivederci.

Dedicato ai librai, in apparenza assenti dalle righe di questo blog, ma in realtà sempre presenti.
E dedicato anche a quei lettori rompiscatole a cui dopotutto voglio bene perché continuano a comprare libri.

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16

04 2009

Tra CE e realtà

Vi mando la metà del mio romanzo, così mi dite se vale la pena continuare…

“Sì, ho fatto l’orlo solo a una gamba dei pantaloni perché così li porta un po’ e poi mi dice se la lunghezza va bene e se posso fare anche l’altro”.

Il mio romanzo non è ancora finito, ma vi mando i primi dieci capitoli…

“Come dice? Manca il cestello della lavatrice che le abbiamo consegnato? Be’, lei intanto decida se le piace, poi magari gliene procuriamo una intera…”

… ma nel cassetto ho altri cinque romanzi…

“Va bene, prendo questo portafoglio.”
“Eh, no, se prende il portafoglio deve prendere l’intera serie: ventiquattrore, borsone, trolley, baule, borsa a mano, borsa a tracolla, beauty da viaggio, cartella portadocumenti, pochette, zaino, valigia grande, media, piccola…”

P.S. Ci sono. Poco e male, ma ci sono.

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14

04 2009

Cieca

Boccio un manoscritto. Un romanzo italiano, caduto nella casella email della CE come mille altri. No, non l’ho letto tutto. Sì, ho dato una risposta abbastanza generica. Era brutto e basta, con una trama in pesante debito d’ossigeno e un interesse il cui livello era pari a quello della Fossa subglaciale Bentley (parere soggettivo, ovvio, però a me l’hai chiesto, dunque…)
Neanche il tempo di cliccare invio, e mi arriva una lunghissima email di risposta dall’autore. Che all’inizio non lesina acidità e rabbia (come prevedibile). Ma poi gioca una carta abbastanza a sorpresa: non è che lui voglia per forza essere pubblicato. E’ il mondo che lo vuole, che ha bisogno del suo romanzo, perché non vede l’ora di liberarsi di certi pseudo-scrittori, capaci soltanto di sfruttare le debolezze di tutti noi, intossicati da un veleno non meglio precisato. Il suo romanzo avrebbe aperto i cuori e i pori, avrebbe avuto un potere taumaturgico, avrebbe cambiato la rotta della letteratura italiana (e non solo), spingendoci verso lidi baciati dal sole dell’ottimismo.
Cieca io a non averlo capito.
Sarà, però io ho ancora male alla schiena come una settimana fa, devo farmi una pulizia del viso e pure l’umore non è che sia tersissimo.

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03

04 2009

Insert title here

Ormai ho in uggia il processo che conduce al titolo di un libro. Forse ne ho battezzati troppi, ma brucerei volentieri una foresta di bastoncini d’incenso in onore di ogni autore il cui libro ha un titolo che rientra nelle categorie dei “traducibili” e degli “efficaci”. In entrambe, ovviamente. Perché una sola non basta.
E no, non li voglio neanche ascoltare, i puristi del titolo originale. Perché mi possono fare mille esempi e io posso far loro mille controesempi. Stallo.
Talvolta mi viene voglia di lanciare la moda del titolo originale-originale. Nella lingua d’origine, cioè. Certo, poi verrebbero fuori cose del tipo Ihmislapsia elämän saatossa e vi voglio vedere, in libreria.
Tutto ciò per dire che, da quando ho trovato questo blog, mi sento meno sola.

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02

04 2009

Diffidare!

[dal taccuino di Catriona]

Le prime trenta pagine del testo non conquistano? Diffidare costruttivamente. Andare avanti, ma leggendo solo le pagine dispari.

Leggere le prime dieci pagine di un romanzo e poi le ultime dieci. Si capisce (quasi) tutto? Diffidare intensamente.

Diffidare istantaneamente dei romanzi di cui si anticipano le battute. Di dialogo, non quelle scherzose. Be’, anche tutt’e due, comunque.

Diffidare preventivamente di qualsiasi autore che, nella pagina del copyright, mette frasi in cui sono presenti le parole “divino”" e “Signore”.  E usa la maiuscola per gli eventuali possessivi.

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31

03 2009

Priorità

Riflessioni nate in una domenica passata a scorrere le ultime proposte americane.

  1. Una ragazza brutta è meglio di una bella.
  2. Un sedere è meglio di una testa.
  3. Una cucina è meglio di un bunker.
  4. Un viaggio è meglio di una cucina.
  5. Una morte è meglio di una nascita.
  6. Una seduta psicanalitica è meglio di un delitto.
  7. Un cane è meglio di un paesaggio.
  8. Un gatto è meglio di un cane.
  9. Un bambino (asiatico, africano, eccetera) è meglio di un gatto.
  10. Un ceffone è meglio di un bambino.
  11. Ma non c’è nulla di meglio di Obama.

(ovviamente ispirato a questo)

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30

03 2009

Ingiustizia

E ci sono i sommelier che bevono una stilla di vino e ti sanno persino dire se quel grappolo l’ha vendemmiato Maria o Umberto.
E ci sono le donne che, con un’unica occhiata, ti sanno dire se il vestito che hai addosso ha una punta fucsia di troppo, se le tue scarpe hanno una macchiolina di fango sotto la suola o se l’ombreggiatura dell’occhio sinistro è asimmetrica (quest’ultima è una citazione, ma la capiamo in due).
E ci sono gli uomini che, in un picosecondo, catalogano automobili con una puntigliosità che neanche Mendel.
E poi ci sono io, che boccio senza remissione un testo dopo averne letto due pagine.
Però soltanto a me dicono: “Ma come fai? E’ impossibile!”
E se ne vanno borbottando, nient’affatto persuasi.

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27

03 2009

Eufonisti Anonimi

“Ciao, mi chiamo Catriona e amo le d eufoniche.”
[La sala in coro: "Ciao, Catriona."]
“La mia storia è uguale a quella di molti altri: prima di lavorare in una CE, mettevo d eufoniche dappertutto. Non riuscivo a trattenermi, anzi non ci provavo neppure perché mi sembravano indispensabili. Suonavano pure… eleganti.”
[Mormorii di comprensione.]
“… poi sono entrata in una CE e ho incontrato loro, le regole interne per l’uniformazione dei testi. In base a quelle regole, le d eufoniche erano proibite, a parte negli incontri di vocali uguali. Il primo periodo è stato difficilissimo. Dovevo ripassare ogni pagina per controllare di non averne lasciato neppure una…”
[Dal fondo della sala: "Anch'io! Anch'io!"]
“… ma, alla fine, grazie anche all’esempio di molti altri che si trovavano nella mia stessa situazione, sono riuscita a liberarmi della mia dipendenza. Certo, quando ho scoperto che pure l’Accademia della Crusca sconsigliava l’uso di ‘od’, mi è venuta voglia di ribellarmi e di lasciarlo… Talvolta ho addirittura pensato di aggiungerlo.”
[Mormorii di comprensione.]
“… ma poi sono tornata sui miei passi. Adesso, come tutti voi, mi accontento di usare le d eufoniche nella lingua parlata e ho un pieno controllo su di loro quando scrivo o rivedo.”
[Applausi calorosi.]
“Grazie, grazie. Vi ricordo che la prossima riunione degli Eufonisti Anonimi si terrà la prossima settimana. Sono però aperte le iscrizioni per i gruppi di ‘Refusisti Ossessivi Anonimi’.”

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26

03 2009

Ora diche un poesie

Oh, traduttore, traduttor valente,
perché mi lasci coll’incompetente?
Oh, traduttor, che ben sai parlare,
vieni da a me, c’ho il mio bel daffare
a distillare avverbi, a scioglier frasi,
di un beota che ignora pur le basi
di quella lingua che saper dovrebbe
e che con lui, invece, spirerebbe
tra spasmi atroci di congiuntivi errati
e sostantivi per lo più azzardati.
Come render concetti assai contorti
in una lingua che elevi e conforti
procurando con ciò a’ miei lettori
minor rabbia e assai minor dolori
e innalzando così la lor lettura
ben al di sopra di cotal bruttura?

(Nata in un momento di sconforto con l’imprescindibile collaborazione di Mr Potts. Lo so, non è perfetta, ma dà l’idea.)

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25

03 2009

Ci sono

Ci sono delle volte in cui leggi qualcosa e vedi i personaggi che parlano e ne senti persino l’intonazione e ne immagini addirittura i vestiti, anche se l’autore non ha esplicitato nulla.
Ci sono delle volte che ti arrabbi, perché la storia all’improvviso si mette a scalciare e corre, corre verso un finale amaramente sbagliato. E magari la corsa è cominciata a pagina venti (su trecento).
Ci sono delle volte che ti piange il cuore, ma proprio non puoi. Perché quel libro ha bisogno di altre mani per arrivare dove deve arrivare, e tu non le hai davvero, quelle mani. Ma speri che qualcuno le abbia e le usi.
Ci sono delle volte che ti piange il cuore, ma proprio devi. Per mille ragioni, non necessariamente meschine. Però non ne fai una malattia, perché comunque la selezione naturale vale pure per i libri. Ovvio che è lenta, ma c’è.
Ci sono delle volte in cui noi delle CE siamo molto, molto emotivi. Per nostra fortuna.
Vostra non so.

P.S. In tema di emotività, Violetta mi ha chiesto di fare un cameo sul suo bellissimo Past Attractions. Sfrontata come sempre, ho accettato. E indovinate un po’ su quale film mi sono sdilinquita…

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03 2009

Tanto poi

Secondo me la conoscete, perché non importa in quale campo lavoriate, prima o poi capita a tutti. Io la chiamerei “la maledizione del tanto poi”. Colpisce quando più persone fanno (o controllano) la stessa cosa in momenti diversi. Il pensiero non si forma neppure, eppure è lì, viscido e tranquillizzante insieme: “Tanto poi c’è lui che controlla…”; “Tanto poi passo il lavoro a lei e se c’è qualcosa di sbagliato se ne accorgerà…”; “Tanto poi ci sono loro, che sono bravissimi a notare gli errori…”
Come si manifesta?
Quando, da da tre uffici diversi, poco prima frizzanti di gioia perché era finalmente arrivato il libro frutto del loro lavoro, pronto per essere donato al mondo, si alza all’unisono un vibrante “Ma porc…”
E poi cade il silenzio.

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20

03 2009

Sentimental And Melancholy

Lo ripeterò fino alla morte: non mi frega cosa, basta che si legga.
Poi però mi capita fra le mani un libro del 1925.
Mica uno di quelli importanti, decisivi, classici. No. Un libro bello, certo, ristampato negli anni, ma d’interesse generale piuttosto limitato.
E ne esce fuori una prosa densa eppure leggera, una capacità di descrivere soffermandosi sui particolari giusti, un equilibrio ammirevole tra senso e forma.
E mi chiedo se abbiamo sbagliato.
Se abbiamo sbagliato noi, che i libri li facciamo, li “proponiamo” (adesso si dice sempre così).
Se hanno sbagliato loro, gli autori, che i libri li scrivono.
Non sono nostalgica, badate. Be’, non troppo, insomma. So benissimo che non si può inseguire (imporre?) quella lingua.
Ma la sua chiarezza, sì.
La sua necessità, sì.
Perché una simile prosa oggi è un dono rarissimo.
Da entrambe le parti della barricata.

PS Il titolo del post lo potete ascoltare qui.

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17

03 2009

/Mode maestrina ON/

Per carità, capisco (oh, se capisco). La fretta, il giornale che deve chiudere, il correttore di bozze che è stanco…
Ma in un articolo apparso nell’allegato di un prestigioso quotidiano, scritto da un esperto e che si presenta come “guida” alla “galassia della paura” scrivere HARD BOYLED tutto maiuscolo e in corpo 42 non è una bella cosa.
Se non altro per tutti quelli che, oggi, saranno costretti a sorbirsi dai cinque ai dieci minuti di indignazione ortografico-catrionica. Coronata dalla seguente minaccia: “E facciamo in modo che cose simili non succedano in uno dei nostri libri, eh?”

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13

03 2009

Maiuscole

Ma perché, sulle buste dei manoscritti, gli indirizzi (mittente/destinatario) sono sempre a caratteri CUBITALI?
Ma perché le buste dei manoscritti, anche di una silloge di dieci poesie, sono sempre ENORMI, neanche dovessero contenere i tredici volumi delle Confessioni di Sant’Agostino?
Ma perché sono sempre più frequenti quelli che scrivono il loro ENORME indirizzo soltanto SOPRA la busta e DENTRO non mettono neppure un vecchio scontrino con dietro scarabocchiato il loro recapito?
Ma perché c’è gente che si ostina a rimandare il proprio testo per posta dopo che l’ha mandato DUE volte per email e ha già ricevuto DUE rifiuti? E perché quella stessa gente SEGNALA di essere stata rifiutata DUE volte e aggiunge “Vorrei darvi la possibilità di RILEGGERE il mio romanzo?”
Mi sa che non lo scoprirò neanche su Rieducational Channel.

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12

03 2009

Discrezione

Caro autore neo-pubblicato con discreto successo,
sono molto contenta per te, per il tuo discreto successo e anche per la CE. Ma è arrivato il momento della verità. Perché sei esposto a un grave rischio. E non per il discreto successo di cui stai godendo.
Ma perché ormai il mondo – almeno un’abbondante parte del tuo mondo – ti vede come il faro di Créac’h. Come un mastodontico, argenteo gratta-e-vinci. Come una mappa del tesoro grande come l’Arazzo dell’Apocalisse.
Per quel mondo, Facebook è un mezzuccio da dilettanti. Il compagno di terza elementare (no, non della tua classe, ma della sezione sfigata) avrà il tuo numero di telefono. Il salumiere si offrirà di consegnarti a casa gratis la spesa per un anno. Andrai a prendere tuo figlio all’asilo e lo troverai assediato da genitori e baby-sitter che strillano “Ma il tuo papà non viene proprio mai a prenderti?”
Vogliono tutti complimentarsi, certo.
Ma soprattutto – attento! – vogliono un’altra cosa: mollarti il loro manoscritto.
E tu, autore neo-pubblicato e che stai godendo di un discreto successo, ti senti in dovere di attirare a te ogni barchetta, di essere grattato e vinto, di dare ulteriori indizi verso il tesoro.
Insomma di diventare un talent scout.
Ti prego: non farlo. Racconta in termini fantomatici e terrorizzanti della CE, descrivila come un luogo desolato in cui si aggirano persone scostanti, con cui hai scambiato sì e no qualche monosillabo. Sostieni di aver fatto tutto per telefono, pigiando il tasto cancelletto alla fine di ogni tua frase. Afferma di aver mandato tutto per email, ottenendo in risposta solo una conferma di lettura.
Perché, quando boccerò il manoscritto del compagno di scuola, del salumiere o della baby-sitter, io sarò, relativamente anonima, al sicuro.
Tu no.

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09

03 2009

Cover song

“Ma così non la voglio. Bisogna cambiarla.”
“Non si può.”
“Come sarebbe a dire?”
“Non si può e basta.”
“E provare a spostare l’immagine  / a cambiare la font del titolo e dell’autore / a schiarire il tutto / eccetera?”
“Non si può.”
“Ma così non la voglio.”
“L’immagine è tagliata così / le font le abbiamo usate tutte / se si schiarisce non si vede più niente / eccetera.”
“E allora ne voglio un’altra.”
“Non si può.”
“Perché?”
“Il libro deve uscire / L’autore l’ha approvata / Non abbiamo più idee / eccetera.”
“E allora?”
“Te la tieni!”
“Ma così non la voglio. Bisogna cambiarla!”

[loop]

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06

03 2009

Sfumature

Ignoro se sia così ovunque, ma nel mio caso non ci sono sfumature di grigio. Gli autori sono bianchi o neri, simpatici o antipatici. Nessun “abbastanza”, “prevalentemente”, “a volte”. E, in caso ve lo stiate chiedendo, no, l’antipatia non va di pari passo con il successo. Ho conosciuto individui odiosi e molto popolari, ma anche persone amabilissime e altovendenti. Di conseguenza, almeno per me, l’idea dello scrittore nato sotto il segno di Saturno (una convinzione a cui molti ancora si aggrappano) si è dissolta per lasciare il posto a quella (assai meno romantica) della professionalità. Tranne casi eccezionali, in positivo e in negativo, per quanto mi riguarda, l’autore è quello che scrive.
Ciò non toglie che, in certi giorni, mi verrebbe voglie di inseguirne qualcuno brandendo una mannaia.
E, in caso ve lo stiate chiedendo, sì, oggi è uno di quei giorni.

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05

03 2009

A viribus impressis

Non c’è. Il che è piuttosto strano, bisogna ammetterlo, però capita. Eppure per lei è stato un autentico shock. Era entrata con piglio marziale, puntando dritta alla cassiera; intorno potevano esserci dei saponi o dei biscotti, e lei non se ne sarebbe accorta. Poi il dramma: il libro in cima alla classifiche, quello di cui tutti parlano, quello che bisogna avere, è esaurito. Domani arriva, sì, sì, ma adesso, stasera… La botta è stata tale che lei non ha neppure protestato. E ha cominciato ad aggirarsi tra i banchi, troppo sconvolta (o imbarazzata o timida o chissà cosa) per chiedere aiuto.
E allora, mentre la guardavo di sottecchi, mi è venuto in mente Newton: «Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare.»*
E ho sperato che valesse anche per le persone e per i libri.

* No, non la so a memoria.

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26

02 2009