Archive for the ‘libri’Category

Tempo dieci minuti

In ufficio ho due grosse pile di fogli. Libri, ovviamente. Stampati parecchio tempo fa, prima dell’arrivo del Kindle. Potrei buttarli via e forse lo farò.
Anzi lo faccio subito.
Tempo dieci minuti, mi passano davanti incontri, richieste, email; schegge più o meno grandi di storie, di idee, di personaggi; testi scartati dopo poche pagine e testi perduti dopo trattative brevissime o strazianti. Toh, questo invece l’ho comprato.
Tempo dieci minuti, le pile non ci sono più.
Guardo il Kindle.
Al momento, contiene 97 libri. Non tutti di lavoro, ma parecchi sì.
Dall’età di due anni, darmi un pezzo di carta è stato il modo migliore per conquistare la mia attenzione. Ho usato veline, quinterni, fogli protocollo, quaderni, bloc-notes. Ma soprattutto – da quando faccio questo lavoro – ho stampato. Decine (centinaia?) di migliaia di fogli. E, con una sicurezza che non smetterà mai di sorprendermi, sono sempre stata in grado di ricostruire il mio rapporto con un libro grazie a una semplice occhiata a uno di quei fogli stampati.
D’un tratto, mi accorgo di dover riconfigurare la mia memoria.
No, questo non lo avevo previsto.

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06

04 2010

No, peggio

La vedi, la studi, pianifichi, progetti, immagini, prepari valigie e beauty case e poi, il giorno prima, parte uno sciopero a tempo indeterminato di aerei, treni, traghetti, tassisti, facchini, camerieri e guide turistiche.
No, peggio.
Lo vedi, lo mostri alla mamma – che annuisce, sorridendo –, aspetti insonne la mattina di Natale e poi, nel pacco, ci trovi un grattoso maglione rosso con una renna ricamata.
No, peggio.
Lo vedi, ti innamori, palpiti, gli fai la corte, lui dice sì e poi, all’ultimo momento, scappa con uno più ricco.
No, peggio.
Perché potranno esserci altre vacanze, altri Natali, altri innamoramenti.
Ma quel libro lì l’avrai perso per sempre.

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23

03 2010

Sono (stata) una persona orribile

A parte gli ex voto, posso affermare che il mio lavoro è (ed è sempre stato) tranquillo.
Però una volta, molto, molto tempo fa…
[suono di arpa e dissolvenza incrociata]

Mattina presto. Una collega si affaccia alla porta del mio ufficio: “Catriona, c’è un signore che vuole vederti…” In un lampo, la collega viene scavalcata da un uomo che si piazza sulla sedia davanti alla scrivania, posa a terra una borsa e mi fissa. In silenzio.
Catriona: “Scusi, ma…”
Sconosciuto: “Dovevo vederla oggi.”
C: “Mi perdoni, ma noi non avevamo un appuntamento, vero? Lei è…”
S: “Lo sa benissimo, chi sono.”
C: “Davvero?”
S [si guarda intorno]: “Vedo che lo ha nascosto.”
C [spazientita]: “Senta, io non so…”
S: “Eh, ha fatto bene perché…”
E qui parte un discorso di almeno mezz’ora. Definirlo “irrefrenabile” è fargli torto. E’ una colata lavica, una cascata niagariana (niagarica? niagaresca?) di parole da cui emergono, a intervalli regolari, le espressioni “complotto”, “alieni”, “tengono tutti all’oscuro” e “rivelazioni”, unite allo sventolamento di fogli che emergono dalla borsa e ci ritornano subito. Verso la fine, però, cominciano a emergere altri termini: “esclusivo”, “scoperta” e “scottante”.
Poi cala il silenzio.
Lui mi fissa.
Io non ho la minima idea di cosa abbia detto.
S: “Bisogna fare qualcosa, subito.”
Valuto rapidamente le opzioni. Cacciarlo via? Troppo pericoloso. Assecondarlo? Ancora più pericoloso. Scelgo una via di mezzo.
C [compresa nella parte]: “Capisco. Ma, sa, è una decisone importante, non posso prenderla io, da sola.”
S [insospettito]: “Si rende conto del rischio, vero?”
C [compresissima nella parte]: “Appunto. Le faremo sapere al più presto.”
S: “Ma io non posso uscire troppo spesso. Mi seguono. E il mio telefono è sotto controllo. Vi chiamerò io.”
C: “Va bene.”
E se ne va, ratto com’era arrivato.
Vi giuro che, all’epoca, ho setacciato il mio ufficio a palmo a palmo, cercando un manoscritto “scottante”, “esclusivo”, gravido di “complotti” e di “alieni”. Invano.
E devo confessare di essermi negata a lungo al telefono.
Non senza un vago senso di colpa.
Anche perché, dopo un paio di mesi, il signore in questione ha smesso di chiamare.
L’unica cosa di cui sono certa è che non era Giacobbo.

04

03 2010

Still crazy (after all these years)

Proprio te cercavo.
Dopo tutti questi anni, so benissimo che un incipit del genere è pericoloso, però abbozzo. In primo luogo, perché chi mi sta chiamando è un agente. In secondo luogo, perché potrebbe aver ragione. In terzo luogo, perché chi mi sta chiamando è un agente.
Ho un libro per te.
Dopo tutti questi anni, ormai so che non si tratta di regalo, bensì di proposta. E non mi dispiace più come all’inizio, quando m’illudevo di essere l’oggetto di slanci amichevoli e senza secondi fini.
Un libro su cui abbiamo lavorato tanto.
Dopo tutti questi anni, ciò mi è di vago conforto.
Un romanzo originale, ma con ottime possibilità commerciali.
Dopo tutti questi anni, non do più nessun significato a tale frase. È come se un concessionario mi dicesse: «Sì, è una bella macchina e, pensi un po’, funziona!»
Parla di…
Dopo tutti questi anni, abbozzo di nuovo. Raccontare una trama al telefono e sperare che l’altro la segua fino in fondo è come sperare di tenere accesa una candela mentre infuria la madre di tutte le tempeste. Ma la danza prevede anche questo passo e io ho imparato a danzare.
Cosa dici, te lo mando?
Dopo tutti questi anni, il sì ovviamente arriva, anche se un po’ meno entusiasta di un tempo.
Vedrai, ti piacerà!
Inchino.

Be’, credeteci o no, dopo tutti questi anni, dopo innumerevoli tempeste e danze, io, quel libro, lo aspetto. Con un po’ meno ansia di un tempo, vero, però lo aspetto.

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02

03 2010

Speed date

Hai un’ora, due ore, un pomeriggio per decidere. E te l’eri dimenticato. Oppure ti è arrivato cinque minuti prima. Oppure ti ha appena chiamato un agente, intonando il mantra è-proprio-per-te-ma-lo-vogliono-tutti. Insomma: hai davanti un libro di tre-quattro-cinquecento pagine e devi capire. Se il libro c’è stato, c’è, ci sarà. Se hai un posto per lui. Se lo vedi sui banchi della libreria. Se può piacere. Se può vendere. E devi capirlo subito, ora.
Ovvio che non stiamo parlando di un saggio sul concetto di differenza ontologica in Heidegger. E ovvio che il lavoro vero arriva dopo. Forse un po’ meno ovvio è il legame che si crea con quel libro che adesso è “tuo” e tra due ore potrebbe non esserlo più. Perché un momento in apparenza solo faticoso e angosciante si rivela curiosamente liberatorio. Non c’è spazio per le scuse, non c’è tempo per la noia, non c’è modo di rimandare. C’è invece un’irrequietezza un po’ ingenua, che si accompagna a un’idea abbastanza folle: e se il destino, con quello speed date, avesse deciso di farti trovare il libro della tua vita?
No, non sono frequenti, questi speed date. E ancor più rari sono i matrimoni, dopo. Però se succedono – i matrimoni, dico – assumono un’aura così romantica che lèvati. E che non si dissolve mai.
Neanche se – dopo qualche giorno, qualche mese, qualche anno – scopri che hai preso un gigantesco, strepitoso, irrimediabile abbaglio.

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23

02 2010

A cautionary tale

Visto che una delle poche trasmissioni della TV italiana in cui si parla di libri (sicuramente la più seguita) istiga a pubblicare il proprio libro a pagamento (perché l’ha fatto nientemeno che Italo Svevo) e lo fa con frasi del tipo “non demordere e mettere da parte qualche risparmio”, mi è tornato in mente un libro di cui forse alcuni di voi hanno sentito parlare: Atlanta Nights.
Mi spiace che le informazioni siano soltanto in inglese, ma ecco il succo: un libro scritto apposta per essere impubblicabile (capitoli duplicati; personaggi che muoiono e riappaiono senza spiegazione e che, sempre senza spiegazione, da uomini diventano donne o da bianchi diventano neri; errori grammaticali e sintattici a pioggia eccetera) e mandato a una delle più grandi vanity press americane.
Risultato: un’offerta di pubblicazione (ovviamente rifiutata).
L’ho già detto: volete vedere la vostra creazione in formato libro? Nessuno ve lo impedisce. Le tipografie possono fare un lavoro eccellente; realizzare un e-book ormai è facile. Da un editore a pagamento sborsate di più e andate incontro all’inevitabile, doloroso destino della non distribuzione.
Sì, lo so che ci sono stati Lawrence, Kipling, Poe, Proust, Whitman, Wilde, Twain. Per non parlare di questi (e molti altri) casi.
Ma davvero pensate di…
Davvero?
Be’, buona fortuna.

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15

02 2010

Carta pesante

Magari hanno venduto per anni semilavorati per pane, pasta e pizza. O cuscinetti volventi. Adesso, invece, vendono carta, carta pesante perché piena di storie e d’idee. I rappresentanti commerciali sono il primo anello della catena esterno alla CE: da loro al libraio, dal libraio al lettore. Devono saper piazzare Feromoni per un delitto, ma anche Storia dei missionari in Sierra Leone dal 1859 a oggi. E tu – che hai scelto l’uno e l’altro – devi spiegare loro come fare.
Parlare a queste persone – saldare il primo anello – è sempre un’esperienza. Non è che ti puoi mettere a declamare passi scelti di un romanzo, concludendo: “Come avrete di certo notato, lo stile di questo autore ricorda i primi testi di Ouředník.” Hai davanti gente concreta, il cui mestiere è fatto di grande pazienza, di parole precise e di piedi callosi (come dimostrano certe odissee dei rappresentanti del Sud). E non puoi – non vuoi – comporre il solito bouquet di aggettivi (eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera), ormai secco e polveroso.
E allora? Allora reciti. Dai a quelle persone un canovaccio cui possono ispirarsi per tirare fuori entusiasmo, convinzione, slancio e dati oggettivi. Parti dall’ultima pagina del libro e torni indietro; gli racconti la trama come se fosse un film; lanci esche; fai un’allusione disinvolta, come se avessi avuto all’improvviso l’idea decisiva (ci hai pensato per settimane); gli racconti come hai acquisito quel libro e quanto hai litigato con l’autore (facendo poi pace); nascondi e riveli; stuzzichi e provochi…
E alla fine, sì, tiri fuori comunque il bouquet. Perché è ovvio che hai scelto quel libro perché è eccezionale-straordinario-bellissimo-eccetera.
Però almeno lo fai uscire dalla manica, a mo’ di prestigiatore. Così magari sembra fresco e coloratissimo.
Se non altro, ci provi.
Perché, credetemi, dopo tutti questi anni, dopo tutti questi libri, io non ho ancora la certezza di riuscirci.

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11

02 2010

Spigolature (IV)

5 Lies Writers Believe About Editors (n.b. A me la birra piace, ma con un bignè si va più lontano);

Ten Editing Tips, for Your Fiction Mss. (da Margaret Atwood, nientemeno);

How to use a semicolon (The most feared punctuation on Earth); <–

The Death of the Slush Pile (ma forse il WSJ è comunista…);

Decalogo per aspiranti pubblicatori (se ve lo dice lui, forse vi fidate).

03

02 2010

Massì

[Trascrizione parziale dell’intervento di Catriona Potts sulla "mozione massì" tenuto in data odierna presso il CCCE – Circolo Carbonaro CE – "Carolina Invernizio", baracca n. 42]

Su, colleghi, ammettiamolo senza paura: tutti noi pubblichiamo “libri massì”. Non sempre lo facciamo, però ci succede più spesso di quanto vogliamo ammettere. Tralasciamo pure – tanto è poca roba, lo sappiamo – le marchette, i favori, i “si deve”. Ecco, riguardo al resto, chi di noi può sostenere di non aver mai detto: “Massì, io ci provo?” Nessuno. No, non farò nomi né titoli. Non ce n’è bisogno.
Ebbene, colleghi, so quello che vi state chiedendo: è, il nostro modo di agire, una mancanza o, peggio, un’offesa nei confronti del lettori?
Vediamo.
Cosa intendo per “libro massì”? Vi prego: evitiamo di ficcarci nel ginepraio del libro “di scarso valore culturale”. Quello direbbe: “E chi lo decide, ’sto valore?” Quell’altro obietterebbe: “Esistono forme e premesse che tuttavia non possono essere ignorate…” Il terzo borbotterebbe: “Mah, ai posteri l’ardua, comunque”. Non ne è mai uscito nessuno.
La mia idea di “libro massì” si definisce altrove. Partiamo dal lettore. Per spiegarmi, lasciatemi fare un paragone: quante donne hanno nell’armadio da più di cinque, dieci anni un vestito che indossano regolarmente? Credo pochissime, forse nessuna. Sono passati il tempo, la moda, le occasioni (magari è pure cambiata la taglia). Al massimo, vale come ricordo, come capo vintage. Ecco: il “libro massì” è quasi la stessa cosa. C’è un momento in cui attira, prende, invoglia. Si consuma e poi, senza troppi rimpianti, lo si dimentica. È stato inutile? Niente affatto, perché, in quell’istante, ha dato qualcosa. È stato incisivo, determinante? Probabilmente no. Pazienza. Sì, la vita del libro può essere assai breve e non lasciare che un vago segno. E allora? Ci sono vestiti comprati e mai indossati. Ci sono vestiti comprati, indossati una volta e poi dimenticati. Ci sentiamo in colpa? Talvolta, ma ciò non c’impedisce di comprare nuovi vestiti. Anzi può addirittura darsi che abbiamo imparato qualcosa da quell’esperienza.
Questo da parte del lettore. E dalla nostra? Cosa pensiamo nel proporre un simile libro? Come sempre, pensiamo al potenziale successo, alla prospettiva del bestseller. Un po’ perché si deve mangiare, un po’ per vanità personale, un po’ perché si fanno ovvi confronti, palesi valutazioni. Ma anche perché non si sa mai. Non lo sappiamo da CE perché, in fondo, non lo sappiamo neppure come lettori (per fortuna, direi). Non si sa davvero cosa attiri, cosa intrighi, cosa – oh! – faccia crescere, cambiare, sognare. Quali meccanismi facciano scattare la mano verso un altro libro, un’altra lettura. E se il percorso fosse costellato in misura simile da “libri di alto valore culturale” e da “libri massì”? Ve la sentireste di escluderlo? Io no.
Ecco perché, cari colleghi, appoggio la mozione massì.

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02

02 2010

Ricapitoliamo

  1. No, non mandare il tuo manoscritto dicendo che è già stato rifiutato da [numero] CE. Queste cose funzionano soltanto sulla bandella, nella sezione: “Biografia dell’autore scritta apposta per fare colpo e probabilmente un po’ esagerata.”
  2. No, non parlar male di un’altra CE nella tua lettera di presentazione. Mai fatto un colloquio di lavoro in vita tua, eh?
  3. No, non ti posso dare il mio numero diretto, il mio cellulare, il mio indirizzo e-mail. E non perché mi voglio dare delle arie. Innanzitutto non sono un medico né uno psichiatra né un impresario di pompe funebri. In secondo luogo, vorrei vivere fuori del lavoro, ogni tanto. In terzo luogo, perché no e basta.
  4. No, non mandare un testo “da correggere”, “da rivedere”, “da sistemare”. Né un testo che “potrebbe migliorare” col mio aiuto. Mandami il testo migliore che riesci a scrivere. Poi si vedrà.
  5. No, non è colpa di nessuno se nessuno ha mai pubblicato il tuo manoscritto. Anche se sei convinto del contrario.
  6. No, non m’importa nulla del formato, del carattere, dell’interlinea, eccetera. Chiediti solo: “È leggibile?”
  7. No, non mandare il tuo manoscritto senza una vera lettera di presentazione. Nulla è più irritante dell’autore che dichiara: “Non posso riassumere il mio libro perché è troppo eccezionale / strano / fantastico / complesso / immaginifico / originale / eccetera”. Anche qui: mai fatto un colloquio di lavoro in vita tua, eh?
  8. No, non m’interessa se già immagini James Cameron al lavoro sulla sceneggiatura tratta dal tuo romanzo (autobiografico). E ancor meno se immagini Angelina Jolie nei panni della protagonista del tuo romanzo (autobiografico).
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25

01 2010

Prefiche

Una settimana fa, istigata da una conversazione su FriendFeed (che non posso linkare perché lucchettata), ho guardato un quarto d’ora del Grande Fratello. All’interno di quei quindici minuti, almeno dieci sono stati occupati dal primo piano una ragazza che piangeva. No, «piangeva» non è il verbo giusto: singultava, gemeva, singhiozzava, con uno strazio e una disperazione che ho visto soltanto in persone colpite da un lutto. A un certo punto, però, la ragazza si è precipitata nella camera da letto della casa e lì ha trovato il padre; gli ha buttato le braccia al collo e – sempre tra singulti, gemiti, singhiozzi – gli ha detto più volte: «Ti amo!»
Ci ho riflettuto un po’, allineando tutte le tessere del domino: sincerità, sfruttamento, spettacolo, Debord e perfino un vago accenno di Damasio (l’inferno è una memoria lacunosa).
Ma poi, come succede, si guarda soprattutto a se stessi e al proprio lavoro.
E mi sono venuti in mente tanti manoscritti (e libri), italiani e stranieri, che sembrano seguire un principio simile: dire e poi ri-dire; spiegare e poi ri-spiegare; mostrare e poi ri-mostrare. In un eccesso di risate, pianti, scoperte, misteri, segreti, rivelazioni, corse, inseguimenti, colpi di scena, nascite, morti…
È forse possibile che l’eccesso, il sovraccarico, l’iterazione siano diventati, in qualche modo, indispensabili?
È forse possibile che la chiarezza, la sintesi, la concisione siano diventate una sorta di ostacolo alla comprensione?
È forse possibile che quella ragazza ci rappresenti più di quanto vogliamo ammettere?

P.S. Mi scuso con le molte persone che mi scrivono o commentano e che ricevono in risposta un antipatico silenzio. Abbiate pazienza, vi prego. Risponderò a tutti.

12

01 2010

Preghiera natalizia

Natale. Come per miracolo, le quotidiane lagnanze “Ma quanto costano ’sti libri?” svaporano nell’aria diaccia e si condensano nel nembo “Massì, a regalare un libro si fa sempre bella figura con poca spesa.”
Lo so che la cosa vi fa sorridere, miei amatissimi lettori forti, voi che avete cancellato il nome della mamma accanto alla casella “Persona da contattare in caso di emergenza” per sostituirlo con quello del vostro libraio.
Ma so pure che, in questo periodo, la libreria diventa zona franca, popolata da avventizi della parola letta, da sbandati della letteratura, da traghettatori del cartonato. Tutti atterriti, ansiosi, famelici.
Ed è a loro che vorrrei rivolgere una preghiera.
Per piacere, non chiedete al libraio: “Devo fare un regalo… mi consiglia un bel libro?”
Essere superiore sotto molti aspetti, il libraio non può tuttavia leggere né nel vostro pensiero né in quello del destinatario del dono. Quindi vi consegnerà uno dei venti-trenta libri “più venduti”, voi lo regalerete speranzosi, la persona che lo riceverà lo avrà già letto (o ne avrà ricevuto altri tre in regalo) e la vostra bella figura diventerà una figura da peracottaro (o da cioccolataio, a seconda della zona geografica d’appartenenza).
Datemi retta: non chiedete nulla. Guardatevi semplicemente attorno per cinque-dieci minuti. Fatevi tentare da una copertina, da una frase, da un titolo, da una bandella. Come fareste per un foulard, per un paio di guanti, per una tovaglia. Senza pensarci troppo, senza inseguire nulla. Poi, leggeri e leggiadri, prendete un libro e pagate.
Al destinatario, potrete dire in tutta sincerità: “Sai, non l’ho letto ma, quando l’ho visto, mi ha colpito.”
Se poi vi chiede di sposarvi, però, come minimo voglio i confetti.

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07

12 2009

Dove?

C’è solo una domanda che mi inquieta di più di: “Cosa leggi?” ed è: “Dove leggi?”
Leggo ovunque, in realtà. Ormai è una seconda natura, un impulso irrefrenabile. Ma esiste un luogo ideale per leggere?
Vediamo.

In ufficio

Pro: Essere in ufficio, seduta alla scrivania, a leggere.
Contro: [Voce della coscienza] “Con tutto quello che c’è da fare, tu te ne stai lì a leggere?”

Sui mezzi pubblici

Pro: “Oh, io sfrutto benissimo quell’ora-ora e mezzo, ormai ci sono abituata!” [Attenzione al tono stridulo, perché è quello che frega.]
Contro: Masse ferrose e umane oscillanti; voyeur della pagina scritta; abbiocco mattutino e serale; regolari, obnubilanti accessi d’ira contro il dio dei mezzi pubblici.

A casa, alla scrivania

Pro: A casa.
Contro: “Dannazione, sto seduta tutto il santo giorno, non ce la faccio più. Adesso vado sul divano (in poltrona) o a letto e mi metto bella comoda…”

A casa, sul divano (o in poltrona)

Pro: A casa, sul divano (o in poltrona).
Contro: “Uh, ma oggi è [giorno della settimana] e c’è [film, serie TV, talk show]!”

A casa, a letto

Pro: A casa, a letto.
Contro: Sonno istantaneo, risveglio con sussulto, fogli sparsi ovunque, scoperta che sono le otto del mattino e che non si è letta neanche una riga.

A casa, in bagno

Pro: A casa
Contro: “Ma guarda se mi devo ridurre a leggere pure in bagno…”

In giardino, in spiaggia, in riva al lago…

Pro: In giardino, in spiaggia, in riva al lago…
Contro: Ovvie limitazioni meteorologiche. E comunque: qualcuno avrebbe un giardino / una spiaggia / un lago da regalarmi per trasferire in blocco la CE?

Nelle sale d’attesa

Pro: Ridacchiare mentre gli altri leggono Panorama. Il numero 14. Del 1995.
Contro: Rendersi conto di essersi portati dietro un libro orribile e dover aspettare tre ore. In alternativa: rendersi conto di essersi portati dietro un libro interessante e aspettare tre minuti.

In tutti questi e in molti altri posti

Pro: Sto leggendo. E’ il mio lavoro e mi piace. Senza contare che ci sono lavori peggiori.
Contro: Uh, un flame su Friendfeed! / Uh, questa la metto sul Tumblr! / Uh, 23 email! / Uh, che bell’articolo! / Uh, un nuovo blog! [Ad nauseam]

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25

11 2009

Pronipoti e fratelli

Leggi un romanzo e arrivi alla fine di una pagina. Volti il foglio (o clicchi next page) e… nulla. Il romanzo si chiude lì. Neanche con un cliffhanger. Neanche con una dissolvenza. No, finisce proprio lì, affilato, netto, deciso, come se subito dopo ci fosse un altro capitolo.
E infatti c’è. Ma è il capitolo 1 del tomo II.
E il capitolo 1 del tomo II non è ancora stato scritto.
Però c’è un sommario.
Ah.
E va bene, leggiamo ’sto sommario.
Ah.
Toh, c’è un sommario pure del tomo III.
Leggiamo anche questo, suvvia.
Ah.
Mi stai dicendo che intendi impiegare 3 libri – e il primo l’ho letto tutto, bada, quindi so come scrivi – per raccontare una storia che – senza fatica, senza compressioni, senza sacrifici – ci starebbe comoda comoda in un unico volume?
Dal tuo punto di vista di autore, il perché è ovvio.
Dal mio punto di vista di lettore, lo è un po’ meno. Ammesso che io abbia comprato i 3 volumi, ammesso che li abbia letti tutti e 3… be’, alla fine ti manderei sonoramente a quel paese.
Ma forse sbaglio. Contrastare l’avanzata del serial-romanzo – ovvio pronipote del feuilleton e fratello delle serie TV – è probabilmente una battaglia persa. Anzi ho la sensazione che la gente ci sia quasi abituata, non ci faccia più troppo caso.
Che sia un bene o un male, però, non l’ho ancora deciso.

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16

11 2009

Ahi, novembre

È quel periodo sospeso perché la Fiera è passata e chissà se arrivo a quella del prossimo anno e comunque c’è tempo e nel mentre chissà magari mi decido a rispolverare seriamente il francese così posso chiacchierare con disinvoltura di Carlà (l’inglese rende tutto più alto o più basso di quanto non sia, è indiscutibile).
È quel periodo rassegnato perché se non hai comprato quel libro prima alla Fiera perché mai dovresti comprarlo adesso, dai.
È quel periodo inquieto perché non sarà che l’ho letto troppo in fretta, che mi sono lasciata condizionare, che dopo sono arrivati libri molto, ma molto più brutti e io ho scartato quello che proprio così brutto non era?
È quel periodo placido perché se non hanno venduto quel libro prima alla Fiera perché mai lo dovrebbero vendere adesso, dai.
È quel periodo tormentato perché comunque mi fanno fretta per decidere, quindi è stata soltanto un’abilissima mossa per tirare fuori il libro dal maelström della Fiera in modo che sia più facile notarlo e rendersi conto che è un potenziale bestseller.
Insomma: è quel periodo in cui i giochi di oggi sono fatti e ancora non so a cosa giocherò domani.
Nel dubbio, facciamo che la palla la porto io, va bene?

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13

11 2009

Sette giorni dopo (reazioni)

Breve rapporto dopo una settimana di Kindle.

Reazione fisica Le spalle ancora non ci credono che non dovranno più considerarsi uno spin-off di quelle di Atlante. La schiena ringrazia profusamente perché non sta più sempre china. Gli occhi non solo hanno superato indenni la prova, ma se la stanno pure spassando.
Reazione psicologica Sulle prime, incerta. Vedere il numero 14356 in basso a destra (là dove prima c’erano numeri intorno al 250-300) inquieta non poco. Ma il riscatto viene dal numero in basso a sinistra, quello della percentuale. Vedere – chessò – 54% dà un senso pieno di Ordem e progresso come direbbe un brasiliano.
Superato tale disagio, ci si bea della conversione pressoché istantanea e gratuita dei PDF e dell’efficacia della conversione casalinga grazie a Stanza (che gestisce anche i PDF, ma vuoi mettere il brivido dell’invio-ricezione in un soffio?); si gradisce alquanto la presenza di Wikipedia; si maledice – bonariamente – l’home page dello Store che, sfacciata, esibisce parecchi dei libri che si vorrebbero comprare; così, per supplire, si scaricano valanghe di classici.
Reazione sociologica Prevalentemente monosillabica all’interno dello spettro che va da “Uh!” (esclamazione d’invidia-sorpresa) a “Ah!” (esclamazione di vago disprezzo). L’esperienza rivela che gli “Ah!” finiscono per comprarlo prima degli “Uh!”
Reazione produttiva Ottima perché si legge ovunque, senza cartelline rigonfie, fogli che scivolano da tutte le parti, PDF senza numerazione di pagina che ovviamente si mescolano eccetera…
Reazione umana Pessima perché si legge ovunque. [Nota per me: O ne regalo uno a Mr Potts o gli chiedo di scrivermi quello che vuole dirmi e di fare un PDF, così lo posso mandare a convertire e poi lo leggo].
Reazione nostalgica Non pervenuta.

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09

11 2009

Tchuss, Frankfurt (M-Z)

Piccolo riassunto post FBF 2009 (alfabeticamente organizzato; il primo tomo, A-L, lo trovate qui).
Mappa Il vero discrimine tra i professionisti e i visitatori. I primi la ignorano e si muovono come teleguidati, tagliando curve, saltando su scale mobili e camminando a passo più spedito dei marciapiedi mobili. I secondi la osservano a lungo, smarriti, e finiscono nella zona dei libri lituani, realizzando così il sempre spassoso tableau vivant: “Lettori sotto la tenda del padiglione: perplessi.”
Novità Ammesso che esista, è sempre in un ambito diverso da quello di cui ti occupi. Fai romanzi sentimentali? Le novità sono nel romanzo d’azione. Pubblichi saggi di alta levatura? Sorry, abbiamo solo testi divulgativi.
Organizzazione Sempre impeccabile, se si escludono le…
Perquisizioni Standard, rapide (insomma inutili) al Padiglione 8, quello degli americani e degli inglesi. Non standard quella all’ingresso: “Ha coltelli, pistole, spray antiaggressione?” “Certo. E ho anche ago e filo per ricucirmi da sola le ferite.” No, non gliel’ho detto; dubitavo fortemente che l’ironia fosse una delle qualità di quel marcantonio dall’occhio tanto ceruleo quanto assassino.
4 Il padiglione delle meraviglie. Corsie larghe il doppio, silenzio, bar deserti, bagni immacolati. E la zona “nonbook” per divertirsi. Peccato averlo saputo soltanto dopo.
Quittung Magari non sai neppure chiedere “scusa”, però la parola tedesca per “ricevuta” l’hai imparata fin dal primo giorno della tua prima fiera.
Realtà [senso della] Va completamente smarrito nel LitAg (il Literary Agents & Scouts Centre). Per avere un’idea di quanto sia surreale questo posto, basta dare un’occhiata qui. Quando sei lì dentro, potrebbe scoppiare un conflitto atomico e tu continueresti beatamente a parlare – chessò – di genre fiction.
Scrittori A mucchi, a dozzine, a iosa, trattati come principi, ma anche come pacchi da lanciare tra un Blaue Sofa e un (una?) Gespräch mit. Anche se hanno scritto un libro di barzellette sconce, fanno il loro lavoro con una professionalità invidiabile.
Toilette Sono quasi convinta di aver fatto pipì vicino a Herta Müller, però mi sembrava indelicato chiedere: “Scusi, è proprio lei quella che ha vinto il Nobel?”
Tassisti Come gli autori. A mucchi, a dozzine, a iosa. A differenza degli autori, però, tutti turchi. Comunque, nonostante il loro buon inglese, io la Quittung gliel’ho chiesta in tedesco (vuoi mettere la soddisfazione?).
Uscita Insieme a “tiratura” e “anticipo”, la parola pià usata della fiera. Poi sono stata messa di fronte a un libro con data d’uscita “autunno 2013″ e ciò ha suscitato in me un unico pensiero, vale a dire…
Voyager Nel senso che solo Giacobbo potrebbe finalmente spiegare il cosiddetto “Paradosso Spazio-Temporale del Padiglione 8″: dato come punto di partenza il Padiglione 5, il Padiglione 8 risulta raggiungibile dall’esterno in circa 3 minuti e dall’interno in circa 22 minuti (e grazie a parecchie scorciatoie). Se lo chiedete a me, è colpa di un Templare che ha trovato un modo nuovo per raggiungere l’Area 51.
Weißwurst Pessima idea.
Zappa Sono certa che me la sono data sui piedi. Succede sempre: troppe persone, troppi appuntamenti, troppi libri. Ma chissà come e chissà quando. Vuol dire che lo scoprirò alla prossima Buchmesse.

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20

10 2009

Tchuss, Frankfurt (A-L)

Piccolo riassunto post FBF 2009 (alfabeticamente organizzato)
Appuntamenti Pensateli come un carnet di ballo. Dopo un po’, volteggi senza pensarci più e ti ritrovi alla sera con i piedi gonfi e con un ricordo sfocato dei partner con cui hai danzato.
Aereo Per l’ennesimo anno, imperversa la battuta: “Se cade questo aereo, nell’editoria italiana si aprono un sacco di opportunità di lavoro.”
Bratwurst Per l’ennesimo anno, vincitore del premio “Profumo di Fiera.”
Cataloghi Scomparsi, dissolti, cancellati. Fine dello struggimento provato durante le prime fiere: “Lo prendo? Non lo prendo? E, se lo prendo, quanti milioni dovrò pagare di supplemento bagaglio?”
Cosplayer Il sabato entrano gratis. Non che io paghi il biglietto, ma sono tentata. Ho un anno per pensare a come. Suggerimenti?
Depressione Gli americani sono molto più depressi degli europei. Ci guardano pure storto, all’inizio, come se ci volessero chiedere: “Ma lo sapete che c’è la crisi?” Tempo un minuto, però, capitolano davanti al nostro Continental charme (che è un po’ come il Continental breakfast, leggero e di rapido assorbimento.)
Domenica L’unico giorno in cui varrebbe davvero la pena restare, perché gli espositori, pur di non riportarsi indietro i libri, li vendono a prezzi stracciati o li regalano. Ma la stanchezza vince sempre sull’ingordigia.
E-book Per l’ennesimo anno, “Premio Cenerentola.” Ma ho finalmente visto qualche Principe Azzurro con una scarpetta in mano.
Feste Scomparse, dissolte, cancellate. Disappunto di chi aveva imbarcato la valigia piena di strass e di tacco 12.
Gabbie Quelle all’aeroporto, destinate ai fumatori. L’effetto camera a gas è bilanciato dal vantaggio di scoprire come si dice “Il fumo uccide” in almeno 23 lingue diverse.
Hello! Per l’ennesimo anno, “Premio Traduzione Ambigua.” Può infatti significare: “Ma tu chi caspita sei?” “Proprio adesso che devo fare la pipì!” “Perché? Abbiamo un appuntamento?” “Oh, finalmente qualcuno che conosco.” “Complimenti per il ritardo.” “Bella giacca.” “Hai il mascara tutto sbavato, sai?” “Ho fame.” “Ho giusto un libro da sbolognarti, così non me lo porto indietro.” “Non ho una mazza da proporti.” Eccetera eccetera
Irlandesi Guinness a fiumi alle quattro del pomeriggio. Avendo ancora tre appuntamenti, ho declinato. E me ne sono amaramente pentita.
Libri Pochi. Sì, insomma, in numero minore rispetto agli altri anni. Ma sempre troppi.

(- continua -)

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19

10 2009

Sollecito

“Vi sollecito una risposta sul mio manoscritto perché sono stato contattato da un’importante CE per pubblicarlo e devo dare una risposta entro X giorni. Io però vorrei tanto pubblicare con voi…”
Oh, il caro, vecchio ricatto: “Perché non mi dai la Barbie Correttrice di Bozze? Vuoi farmi piangere?”
Autore che stai pensando di mandare un simile ultimatum sappi che:
1) In caso sia andata davvero così, il semplice fatto che tu non capisca la tua fortuna, mandando subito un’email con oggetto “Cicca-cicca-cicca” a tutte le CE a cui hai proposto il tuo libro e che non ti hanno voluto pubblicare, è segno indiscutibile che non te lo meriti affatto. E mi trattengo dal formulare ipotesi sul perché tu sia stato scelto.
2) Ti stai bruciando ogni futura possibilità di essere letto. Anche perché, dopo qualche mese, non resisterai alla tentazione di rimandare il manoscritto, rivelando così che è stato pubblicato (nel migliore dei casi) a pagamento.
3) E’ una frase così abusata che abbiamo un’elegante risposta standard: “Congratulazioni e in bocca al lupo”.
4) Chiunque ti abbia detto “Rompi le scatole, vedrai che ti rispondono” ti ha fatto un brutto, brutto scherzo.
Ma soprattutto:
5) Non ci crede nessuno.

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12

10 2009

I’ll Cry Instead

Forse non ti ho visto subito, è vero.
Eri confuso in mezzo agli altri, ai tanti. Inoltre era sera – anzi notte – e io ero un po’ stanca e parecchio disincantata.
Eppure mi sei piaciuto in fretta.
Brillante, energico, originale.
Mi sono detta: Sarà mio. Deve essere mio.
Illusa.
Non ero stata l’unica a notarti.
Me ne sono resa conto al mattino.
Avevi ricevuto molte altre proposte.
All’inizio decenti. Ma ben presto indecenti.
Mi sono impuntata. Ho affinato le mie arti persuasive. Ho scritto messaggi strappacuore. Ho fatto telefonate sospese tra l’orgoglio e la supplica.
Infine ti ho offerto tutto, senza riserve.
Invano.
Il pomeriggio non era ancora finito e tu te n’eri già andato.
Da qualcuno che ti aveva promesso ancora di più. Ma forse con meno cuore.
Perciò addio, caro manoscritto.
Ti auguro di essere un bestseller.
(No, non è vero: dentro di me, spero proprio che tu sia un gigantesco, leggendario, epico flop. Così impari a non ascoltare il richiamo del vero amore. Tuttavia non lo ammetterò mai: che diamine, sono una signora.)

07

10 2009

Consiglio spassionato

1) Sei un esordiente?
2) Hai scritto un romanzo o un saggio?
3) Vuoi mandare il tuo romanzo o il tuo saggio a una CE?
[Se hai risposto "sì" a una o più delle precedenti domande, prosegui. Se hai risposto "no", allora grazie, puoi fermarti qui. A meno che tu non sia curioso...]
4) Ti stai chiedendo quando mandarlo?
[Domanda legittima.]
Risposta:
a) Guarda qui e appuntati le date.
b) Calcola un mese prima e un mese dopo quella settimana (anche un po’ di più, se vuoi, per sicurezza).
c) Evita di mandare il tuo manoscritto in quel lasso di tempo. Dimenticatelo proprio. Rivedilo. Fallo leggere alla mamma o a tuo cugino (sì, quello che ti sta antipatico). Pensa a un altro titolo. Scrivi i ringraziamenti. Insomma fai quello che vuoi, ma non mandarlo.
Finirebbe sepolto sotto migliaia di pagine, sotto decine e decine di altri manoscritti più urgenti, più importanti, più promettenti. [A prescindere? Sì, a prescindere.]
E nessuno lo leggerà mai.

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05

10 2009

Basta?

Entro in libreria e già lo so. Lo so che mi guarderò intorno e, come ogni volta, da tempo immemorabile, mi ritroverò incapace di frenare quel pensiero.
“Ma sarò scema?”
Poco mi consola sapere che, se così è, sono in buona compagnia, nel senso che ci sono almeno altre 37.999 persone come me; perché la domanda − quel pensiero − non viene mai esplicitata tra gli addetti ai lavori, se non in qualche serata stracca, ben sapendo che, la mattina dopo, si torna nell’omertà. Ma cosa pensiamo davvero quando lasciamo cadere un ennesimo fardello di pagine in questa valle di lacr carta? Cosa ci porta a credere di non annegare nell’oblio solo perché, oh, la copertina è così bella, l’autore è così bravo, il romanzo è così riuscito? Insomma: siamo forse scemi a voler continuare questo mestiere o quantomeno ciechi e sordi nei confronti di una realtà che, non appena mettiamo piede in libreria, ci batte sulla spalla e ci dice: “Non ti sembra sufficiente tutto questo?”
Ci credete che, in tutti questi anni, le uniche risposte che sono riuscita a darmi (a darle) sono:
1) No, perché il mio (e quello di altre 37.999 persone) è un lavoro (come un altro).
2) No, perché questa è un’industria (come un’altra).
3) No, perché non bisogna mai smettere di invitare la gente a leggere, in modo che capisca (meglio) la realtà che la circonda o che, semplicemente, trovi un modo per evaderne. Quindi bisogna sempre darle cose nuove,
Basta? Non lo so davvero.

P.S. Per il secondo anno consecutivo, sono sbalordita e onorata dal fatto che tanti di voi abbiano pensato al Secondo piano. Riconoscente, esporrò l’icona ufficiale e me ne vanterò con Mr Potts fino alla nausea. Però, dai, io voterei per lo Zio.

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24

09 2009

Perché? Perché? Perché?

Tutte le settimane mi dico: “Non farlo.” Ma poi ci casco. Sempre. Apro e guardo. No, non mi soffermo più come un tempo; non ho più l’età per certe arrabbiature. E infatti inciampo subito in un: “… sorprende questo Bildungsroman ambientato nel distretto di Banjul, irto di dolente sensibilità seppur velata da un afflato immaginifico…” seguito da un: “… presenta un saggio metaforicamente denso di suggestioni hussleriane…” e da un “… così il vissuto si stempera in una progressione che, latu sensu, è anche una regressione…”
Allora li vedo. Giovanni ed Elena e magari anche Giorgio, il loro primogenito, diciotto anni e una vaga, incostante passione per la lettura. Li vedo che scorrono quelle righe con la vaga speranza di trovare qualcosa e scoprono invece davanti a sé la Fortezza di Cultura, massiccia, inespugnabile, senza neppure una feritoia da cui far passare un po’ di divertimento leggero, di innocua identificazione, di lieta fuga.
Allora li sento. I pianti e i lamenti dell’élite: “Ma perché la gente non legge? Perché? Perché? Perché?”
Finché, pietoso, non arriva Mr Potts: “Oh, mi avevi promesso di smetterla con i supplementi culturali. Lo sai che ti fanno male, no?”

22

09 2009

In sovrimpressione

Mentre passa in sovrimpressione la didascalia: “Ci penso domani”, spegni il computer, la luce, chiudi la porta.
Ed esci.
Ci provi, almeno.
Perché lui è lì che ti aspetta. In agguato.
Ci passi accanto, lo vedi e la scritta in sovrimpressione scorre ancora per qualche istante, poi impazzisce e va fuori sincrono coi pensieri, che diventano: “Ma porca miseria! Non potevi arrivare un’ora fa, così avrei avuto tempo di…”
Ogni resistenza è vana.
Negli anni, ti sei inutilmente spezzata unghie e ferita polpastrelli, quindi sai che è inutile provarci a mani nude. No, le forbici in borsa non le hai e col cavolo che torni di sopra a prenderle. Tanto sai cosa fare: quelle maledette regge di plastica saltano via grazie alla fiamma di un accendino (sdeng, sdeng, sdeng, sdeng) e le chiavi di casa tagliano il nastro adesivo.
Un’innocua nuvola di carta spiegazzata.
E, sotto, lui.
In sovrimpressione accelerata, quasi illeggibile, la didascalia: “Autore? Sì. Titolo? Sì. Foto? Uhm, scura, ma sì. Frase? Brutta parecchio, ma sì. Dorso? Sì. Quarta? Sì. Bandella destra? [lettura a Mach 2] Sì. Bandella sinistra? [lettura a Mach 2] Sì. Oh, il prezzo? Sì. Frontespizio? Sì. Copyright? Sì.”
Soltanto allora lo rimetti giù con un sospiro, chiudi la scatola e la scritta ridiventa: “Ci penso domani.”
Non c’è niente da fare. Non c’è esperienza che tenga. Quando arriva il libro appena stampato, la didascalia in sovrimpressione vibra e dice, sempre e comunque: “Sarà andata bene, stavolta?”

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07

09 2009

Non esiste

Niente. Non una riga, non un segno. Niente sull’autore, figuriamoci sul libro. Territorio vergine.
Succede.
Così, se arriva un manoscritto (straniero) e la ricerca su Internet non dà risultati, non so mai se essere preoccupata o contenta.
Perché un poco inquieta, l’assenza. Sarà voluta o casuale? Significa forse che neppure la CE straniera ci crede, nel libro o nell’autore? Oppure, al contrario, punta a far sgorgare una ribollente cascata d’infomazioni al momento opportuno?
Ma conforta pure, il silenzio. Lascia soli col testo, senza condizionamenti o preconcetti. Libera dalla necessità di confrontarsi con il passato, quale che sia. E’ come mettersi a parlare direttamente con l’autore, senza mediazioni.
E dà un piccolo brivido: quel libro/quell’autore “non esiste” per il mondo, ma “esiste” per te.
Ci si accontenta di poco, da queste parti e di questi tempi.

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13

07 2009

Impressioni a caldo

[impressioni a caldo (loro)]

“Mi sembra sia venuta bene questa campagna per invitare gli italiani ad avvicinarsi alla lettura…”
“Sono d’accordo.  Soprattutto perché abbiamo evidenziato che non bisogna leggere troppo, sennò si ci affatica.”
“Infatti abbiamo mostrato soprattutto giornali…”
“E per dare l’idea che comunque leggere è impegnativo, abbiamo fatto crescere la pila di libri/giornali da una persona all’altra. E la persona che riceve la pila se ne libera in fretta.”
“Comunque  il messaggio è trasmesso con adeguato tatto. Per esempio, facendo sussurrare qualcosa d’incomprensibile  l’uno all’orecchio dell’altro. Per dare l’impressione che comunque la lettura sia un’attività ‘misteriosa’.”
“Eh, già, l’eterno mistero della lettura!”
“Senti, ma gli americani non hanno già fatto una cosa del genere? Non potevamo copiarla?”
“No, sarebbe stata troppo complicata e ‘impegnativa’ per noi italiani.”
“Concordo.”

[impressioni a caldo (mie)]

A differenza di quanto affermato, la bambina non “legge un giornalino” ma un abbecedario; nella pagina dei link ai video spicca un “Visualizza l filmato con Windows Media Player”; lo slogan  “Leggere è il cibo della mente: passaparola” mi sembra piuttosto oscuro in rapporto al filmato; non voglio pensare a quanto costi questa campagna e cosa si sarebbe potuto fare concretamente con quel denaro.
Basta che si faccia qualcosa, dite? Mah.

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06

07 2009

Guardarsi intorno

Guardarsi intorno e vedere i libri fatti.
Guardarsi intorno e vedere i libri da fare.
Guardarsi intorno e vedere i libri da valutare.
Lavorare in una CE comporta anche questa bizzarra sensazione: tu guardi i libri e loro ti fissano di rimando, ti definiscono, ti giudicano, ti rendono quello che sei (e non parlo soltanto di lavoro). E talvolta non è sgradevole. In altri casi, invece, ti sembra di aver operato una selezione eugenetica. E di aver fallito.
Ecco perché, quando vedo i miei libri su quelle bancarelle “tutto a un euro” e loro mi fissano di rimando con aria accusatoria (sì, ve lo assicuro), mi viene voglia di comprarli, per scusarmi.
Prima o poi lo faccio.
Devo solo trovare un magazzino in cui metterli.

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22

06 2009

Ecchimosi

Nelle ultime tre settimane ho respinto tre manoscritti. Ma non lo fai tutti i giorni, più volte al giorno? chiederete voi. Già, ma questi non erano manoscritti “astratti”, caduti sulla scrivania per volontà di qualche AA. Erano manoscritti con una faccia e una storia, insomma con un rapporto (di collaborazione, se non proprio di amicizia) tra me e i rispettivi autori. E, per motivi diversi, ho dovuto dire no. Un no cortese, ma giustificato e fermissimo.
Lascio a voi immaginare quanto sia piacevole dirlo, quel no. E quanto sia gradito riceverlo.
Uno degli autori l’ha paragonato a una manganellata. E non sulla testa.
Eppure, mentre l’ecchimosi passava dal bluastro al verde al giallo, ricevevo email di ringraziamento per la franchezza dimostrata, richieste di consigli (“non per questo, ma per il prossimo”), ammissioni di colpevolezza…
Da due degli autori.
Il terzo non si è ancora fatto vivo.
Comincio a essere inquieta.

19

06 2009

Fare commercio

Non mi è mai dispiaciuto fare commercio (dei miei libri). Non credo siano molti i mestieri in cui si ha la possibilità di spiegare a chi deve vendere un certo prodotto perché quel prodotto ti ha colpito, perché ci credi, perché lo consigli. Non mi è mai pesato mettermi nei panni di chi deve andare da un libraio e dire: “Senti, questo è veramente bello e adesso ti spiego perché.” Neppure se poi il libro va male. Nel nostro piccolo mondo, tutti godono di una certa tolleranza (quando si galleggia, si galleggia tutti insieme e quando si affonda…)
Sarà l’età (com’è utile avere un’età in cui si può affermare “Sarà l’età” ed essere presa sul serio), sarà che a maggio la volata è quasi finita (e il prossimo anno già ti fiata sul collo), sarà il caldo… ma in questo periodo fare commercio (dei miei libri) mi pesa. Non che questi libri siano più brutti dei precedenti o che io sia meno convinta. E’ che il balletto-rituale-scommessa mi ha un po’ stancato. Vorrei che i libri parlassero da soli, che nella sala in cui tutti aspettano da me ragioni, spiegazioni e numeri ci fosse silenzio perché tutti stanno leggendo il libro che ho portato. Vorrei che tutti scoprissero da soli il motivo della scelta e la difendessero “con parole loro”. Vorrei discutere, trovare altri motivi per sperare o disperarmi, per correggere il tiro (in alto o in basso), per litigare o esaltarmi…
Sì, deve essere il caldo.
O forse sono io.
Appunto.
I’m a Dreamer, Aren’t We All?

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25

05 2009

La folla

Niente induce un autore a sentirsi tale come la folla. Neanche l’editing più cruento, neanche l’intervista più prestigiosa.
C’è quello con l’aria distaccata, ma lestissimo a scarabocchiare la dedica.
C’è quello con l’occhio assassino, che capisce subito se il suo libro ti è davvero piaciuto.
C’è quello modesto, che quasi arrossisce, ma si scioglie non appena ti avvicini.
C’è quello alla mano, che sembra abbia voglia di parlare solo con te e quasi di portarti a cena.
C’è l’irraggiungibile, che tutto dà (sulla carta) e nulla concede (de visu).
Eppure, nella follia cartacea di Torino, tra mille mani che prendono e lasciano, tra mille occhi che setacciano i libri nella speranza di trovare la risposta a ogni interrogativo esistenziale, il culto dell’individuo, della carne e delle ossa, diventa una cosa quasi piacevole. Perché viene celebrato con toni di quieta ammirazione, venata di una leggera perplessità e di un vago senso di comunanza. Come se davvero ci fosse un legame, tra autore e lettore. E questo, per noi che stiamo dietro quella cosa chiamata libro, pesa più di una buona recensione.
Certo, se poi lo comprassi pure, ’sto maledetto libro, invece di farti fare l’autografo sul biglietto della fiera, saremmo ancora più contenti, eh?

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19

05 2009

Balletto

prende-legge-posa
prende-posa-prende-legge-posa
prende-prende-prende (!)
prende-posa-prende-posa-riprende-legge-prende
ignora-torna-prende-posa
prende-legge-prende-posa
prende-legge-prende-legge-prende

Come ogni anno, aiutata da un complice che fingeva di conversare disinvoltamente con me, ho fatto la piccola vedetta libraia, spiando i lettori che circolavano intorno ai miei libri.
Come ogni anno, speravo di capire, di cogliere i significati nascosti di quel balletto, per sbagliare meno, per convincere di più.
Come ogni anno, due sole certezze.
Come fai sbagli.
E, se per caso non sbagli, non saprai mai perché.

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18

05 2009

Nausee

Io, a Torino, mi vengono le nausee.
La prima nausea è quella dell’arrivo e nasce dalla sensazione che i libri esposti siano esattamente quelli dell’anno scorso, che ti abbiano aspettato lì, intoccati persino dalla polvere, immersi in un eterno presente misto di nobiltà letteraria e disinteresse totale.
La seconda nausea è quella del mio stand e nasce nel vedere tutti (o quasi) i miei libri insieme, allineati, impilati, ammucchiati o torreggianti. Il conato d’identificazione con Anna Magdalena Wilcke è immediato. E sappiamo bene com’è finita quella povera donna.
La terza nausea è quella della troppità e nasce semplicemente passeggiando tra le file, le pile, i mucchi e le torri delle altre CE. E ovviamente si accompagna alla quarta nausea, quella dell’inutilità.
Ma voi non lasciatevi condizionare.
Perché a tutti voi che ci andate, a Torino, che guardate rapiti le file, le pile, i mucchi, le torri e che comunque vi caricate di carta, vi voglio bene.
E vi capisco.

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14

05 2009

Tragedia in due battute

C’era una volta…
Una CE!, diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un’autrice.
Non era un’autrice nobile, ma una semplice, onesta autrice, di quelle si leggono per passare il tempo e magari per riscaldare il cuore.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questa autrice scrisse un libro che ebbe una prima tiratura di 88.500 copie, ne vendette 64.925 ed entrò nella classifica del New York Times.
Appena questa autrice ebbe visto quelle cifre, si rallegrò tutta e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce: chissà quanto ci guadagnerò.

Volete sapere come va a finire questa storia? Basta andare qui.
Volete la tragedia in due battute? $0.
True story, chioserebbe Barney Stinson.

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08

05 2009

Tempo una settimana

Per fare un libro ci vuole tempo

Tempo per scriverlo
Tempo per trovarlo
Tempo per editarlo/tradurlo
Tempo per sapere quante copie tirare
Tempo per farlo conoscere
Tempo per venderlo

Ecco perché il seguito di un romanzo non esce la settimana successiva a quella in cui è apparso il primo romanzo. E neanche il mese successivo.
Ecco perché il libro straniero non esce la settimana successiva a quella in cui è stato comprato. E neanche il mese successivo.
Ecco perché un libro italiano non esce la settimana successiva a quella in cui è stato consegnato. E neanche il mese successivo.
Ecco perché, se un lettore mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, ridacchio e spiego.
Ecco perché, se un AA mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, lo scarico con eleganza.
Ecco perché, se uno che lavora in una CE da svariati anni mi chiede “Ma quel libro non è ancora uscito?”, m’incazzo.

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30

04 2009

Armadi

Ci hai provato ed è andata male. Riprovarci? In qualche raro caso è possibile, addirittura consigliabile; in moltissimi casi è un suicidio e basta.
Già, ci hai provato ed è andata male, però lui (o lei) non lo sa oppure non gliene importa. Continua a scrivere. Anzi sembra che scriva più di prima. E infatti, come la pioggerellina di marzo che picchia argentina sui tegoli vecchi, i suoi libri, appunto, piovono sulla tua scrivania. Tu li guardi, sospiri, e li metti via. Senza avere il coraggio di rimandarli all’AA o alla CE straniera.
Però ogni tanto apri un armadio e te li trovi davanti, allineati, in attesa. Di una traduzione, di una copertina, di un piano marketing. Che non arriveranno. Eppure, nonostante tutto, proprio non ce la fai, a impilarli dentro una scatola e a rispedirli indietro, a liberartene per sempre.
Così richiudi l’armadio e ti allontani in fretta.
E poi dicono che i fantasmi non esistono. I miei hanno addirittura il codice ISBN.

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24

04 2009

Sovraccarico

Immaginate di trovarvi in una grande libreria in cui ci sono solo libri che non avete mai letto. Potete prendere quello che volete, ma a tre condizioni: avete un tempo limitato; se valutate un libro e poi lo mettete giù, non potete più riprenderlo; se scegliete un libro, vi impegnate a parlarne a chiunque, a difenderlo e a diffonderlo con convinzione.
Se mi avete seguito fin qui, vi siete fatti un’idea (di una parte) della mia quotidianità.
Poi ci sono momenti in cui la “libreria” si allarga a dismisura. Nelle ultime due settimane, per esempio, ho ricevuto una valanga di “liste” di autori e di libri da CE straniere e AA. Un migliaio di pagine, con circa quattro “presentazioni” per pagina. A ciò, vanno aggiunti i libri – i manoscritti –, al ritmo di cinque-sei al giorno, per una media di tre-quattrocento pagine ciascuno. Fate voi i conti.
Lungi da me sostenere che l’ansia, la pressione, le richieste dall’esterno e dall’interno – insomma tutte quelle cose che portano a un sovraccarico di lavoro – siano caratteristiche che appartengono soltanto alle CE. Ma forse qui, sotto lo sbrindellato ombrello della “cultura”, tra superlativi assoluti e dati di vendita, tra storie incredibilmente vere e storie credibilmente inventate, tale sovraccarico si sente un po’ di più, se non altro a livello emotivo.
Almeno finché non ci si imbatte nella presentazione del calendario 2010 tratto dal bestseller What’s Your Pee Telling You?
E si torna sulla terra.
Con una bella risata.

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15

04 2009

Insert title here

Ormai ho in uggia il processo che conduce al titolo di un libro. Forse ne ho battezzati troppi, ma brucerei volentieri una foresta di bastoncini d’incenso in onore di ogni autore il cui libro ha un titolo che rientra nelle categorie dei “traducibili” e degli “efficaci”. In entrambe, ovviamente. Perché una sola non basta.
E no, non li voglio neanche ascoltare, i puristi del titolo originale. Perché mi possono fare mille esempi e io posso far loro mille controesempi. Stallo.
Talvolta mi viene voglia di lanciare la moda del titolo originale-originale. Nella lingua d’origine, cioè. Certo, poi verrebbero fuori cose del tipo Ihmislapsia elämän saatossa e vi voglio vedere, in libreria.
Tutto ciò per dire che, da quando ho trovato questo blog, mi sento meno sola.

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02

04 2009

Consulto

Cominci il testo con un “si” impersonale, che poi diventa un “io”, che poi diventa un “noi”. Senza nessuna giustificazione logica, anche perché immergi i suddetti pronomi in quaranta righe puramente descrittive. E vai avanti così per tutto il libro.
Ti attardi a descrivere il colore di ogni capo d’abbigliamento e ogni cambio di capo d’abbigliamento. Il perché, arrivata a fine romanzo, continua a sfuggirmi.
Lanci un personaggio in un excursus storico di notevole estensione (quasi due pagine) neanche fosse Giacobbo. E l’unica reazione che evidenzi è quella del suo interlocutore che esclama: “Ma tutto questo lo so benissimo”. Ripeti la cosa più e più volte. Anche sullo stesso argomento.
Mi chiedi: è grave?
Abbastanza. Sei affetto da “cecità neoautoriale”, una sindrome che colpisce la maggior parte degli scrittori esordienti e che impedisce loro di vedere qualsiasi difetto della loro opera, anche il più macroscopico.
Vuoi sapere: si può guarire?
Dipende. Anzitutto devi fare una TAC alla tua biblioteca e un bel test di capacità logico-sintattico-grammaticale. Poi ci sarà un lungo periodo di depurazione: solo pagine bianche per almeno un anno, a cui seguirà una graduale reintroduzione della parola scritta, selezionando con grande accuratezza le fonti. Dopo tutto ciò, esamineremo i risultati.
Comunque non temere. Ormai è scientificamente dimostrato che si può condurre una vita normalissima anche senza aver pubblicato un libro.

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03 2009

Sentimental And Melancholy

Lo ripeterò fino alla morte: non mi frega cosa, basta che si legga.
Poi però mi capita fra le mani un libro del 1925.
Mica uno di quelli importanti, decisivi, classici. No. Un libro bello, certo, ristampato negli anni, ma d’interesse generale piuttosto limitato.
E ne esce fuori una prosa densa eppure leggera, una capacità di descrivere soffermandosi sui particolari giusti, un equilibrio ammirevole tra senso e forma.
E mi chiedo se abbiamo sbagliato.
Se abbiamo sbagliato noi, che i libri li facciamo, li “proponiamo” (adesso si dice sempre così).
Se hanno sbagliato loro, gli autori, che i libri li scrivono.
Non sono nostalgica, badate. Be’, non troppo, insomma. So benissimo che non si può inseguire (imporre?) quella lingua.
Ma la sua chiarezza, sì.
La sua necessità, sì.
Perché una simile prosa oggi è un dono rarissimo.
Da entrambe le parti della barricata.

PS Il titolo del post lo potete ascoltare qui.

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17

03 2009

Abbaglio

E’ il momento. Sapevo che sarebbe arrivato e non ne sono sorpresa.
Il momento arriva, puntuale, almeno due volte all’anno, prima delle grandi fiere. “Almeno” perché ci sono anche momenti non annunciati, uragani improvvisi e di durata variabile.
Ma questo è un momento classico. Si capisce che è arrivato perché, tra squilli di trombe, rulli di tamburi e accompagnamento di lodi sperticate, si sono materializzati loro, i libri-da-non-perdere. Ti piombano addosso con tutto il loro nobile armamentario ed è difficile non rimanerne almeno un po’ impressionati. Possibile che il grande scrittore X si stia sbagliando? Possibile che la famosa CE Y dispieghi un simile impegno senza crederci almeno un po’? Possibile che tutti abbiano preso un abbaglio?
Possibilissimo, sì. Ne ho visti troppi, ormai.
In potenza, quei libri sono macchine da guerra: massicce, innovative e temibili.
In capo a qualche mese, però, molte escono allo scoperto e si rivelano, al massimo, dei fucili a tappi.
Se non altro è quello che spero del libro-da-non-perdere che ha cannoneggiato il mio fine settimana con l’unico risultato di farmi smascellare in uno sbadiglio incontenibile.
Mi sono arresa.
Ciò ovviamente non significa che, da quel fucile a tappi, non uscirà una bomba atomica.
E’ solo che, a mio parere, il suo effetto primario sarà sviluppare un’onda di smascellamento mondiale.

P.S. Il contatore dice 101.820. Sono commossa, grazie.

16

03 2009

Sfumature

Ignoro se sia così ovunque, ma nel mio caso non ci sono sfumature di grigio. Gli autori sono bianchi o neri, simpatici o antipatici. Nessun “abbastanza”, “prevalentemente”, “a volte”. E, in caso ve lo stiate chiedendo, no, l’antipatia non va di pari passo con il successo. Ho conosciuto individui odiosi e molto popolari, ma anche persone amabilissime e altovendenti. Di conseguenza, almeno per me, l’idea dello scrittore nato sotto il segno di Saturno (una convinzione a cui molti ancora si aggrappano) si è dissolta per lasciare il posto a quella (assai meno romantica) della professionalità. Tranne casi eccezionali, in positivo e in negativo, per quanto mi riguarda, l’autore è quello che scrive.
Ciò non toglie che, in certi giorni, mi verrebbe voglie di inseguirne qualcuno brandendo una mannaia.
E, in caso ve lo stiate chiedendo, sì, oggi è uno di quei giorni.

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05

03 2009

La parte più difficile

“Ho pubblicato un libro”, affermano. Ma allora “perché il mio libro non è nelle librerie, nei supermercati?” Mi aspettavo che succedesse. Che i vari siti “fai da te” – e uno in particolare – dessero origine a simili proteste. Non voglio pensare che non fosse chiaro fin dall’inizio. Forse semplicemente non hanno capito. E adesso alcuni si rivolgono alle CE come se fossero lo sbocco naturale del loro percorso, come se disporre di quel fascicolo rilegato fosse la parte più difficile, ormai superata.
Ovviamente spiego che quella non è affatto la parte più difficile. Parlo di scelte editoriali, di distribuzione. Ma è sempre triste vedere fino a che punto ci si può illudere. E quanto sia facile illudere.

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02

03 2009

Sacerdotessa

Sì, l’ho fatto.
E lo rifarò.
Ho strappato copertine, inserti fotografici, illustrazioni, prefazioni, postfazioni, indici analitici, note e persino pagine singole.
E non me ne pento.
Tanto tempo fa, in una galassia lontana… la semplice idea di “intaccare” un libro mi sconvolgeva. Poi invece ho capito che i libri si reincarnano (si reincartano?) anche attraverso questo processo di distruzione. Perché non si distrugge mai a caso: lo si fa per realizzare un’edizione diversa, più bella, più completa o magari soltanto aggiornata. Si dà una nuova vita al libro, appunto.
Su una cosa però non transigo: il sacrificio lo devo celebrare io.
E allora succede che, alla mia porta, si affacci qualcuno che regge il libro designato con entrambe le mani, a mo’ di offerta votiva. “Sai, ci sarebbe bisogno dell’inserto…”
Allora io agisco: precisa, rapida e misericordiosa.
L’infallibile sacerdotessa del taglierino.
Quasi quasi lo metto nel curriculum.

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27

02 2009

Tirarsela

L’ho cercato per mesi.
E l’avevo anche trovato. A 375 dollari.
[Va bene la passione, però ci sono dei limiti.]
Poi, d’improvviso, eccolo.
Intatto, completo, a un prezzo accettabile.
Ordine inoltrato.
Pacco arrivato.
Pacco aperto.
E’ lui!
Testa che gira.
Ma non per l’emozione.
Per la puzza.

Insomma ho trovato e comprato e ricevuto un libro che inseguivo da tempo. E adesso non mi ci posso neanche avvicinare, pena l’asfissia. E io che ci avevo pure scherzato su…
In rete, si consigliano aceto, candele, lettiere per gatti, lampade Berger, deodoranti dry, borotalco… Insomma, soluzioni che puzzano (ehm) quasi più di stregoneria che di scienza.
Intanto però lui, solo e negletto, giace sul balcone di casa mia. Almeno finché i vicini non cominceranno a protestare.

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24

02 2009

Malfidati

Malfidati di natura, gli AA o le CE straniere sempre più spesso vogliono avere l’ultima parola sulla copertina del “loro” autore. Spesso tutto si risolve con un “bellissima!” (che è pure gratificante), ma qualche volta è capitato il contrario, con risultati (a mio umilissimo parere) disastrosi. A parte l’assurda possibilità che la CE scelga apposta una copertina orribile (evidentemente per non far vendere il libro), c’è una valanga di elementi che dovrebbero tranquillizzare “gli stranieri”: mi avete venduto il libro, avete visto l’impegno che vi ho profuso, ci siamo scritti e confrontati… e, soprattutto, io conosco il mercato italiano meglio di voi. Altrimenti ci scambieremmo le scrivanie.
Nel caso particolare, poi, che i francesi – il cui numero di pessime copertine è doppio rispetto a quello dei loro grandi scrittori – muovano appunti su una copertina è una cosa che proprio non mi va giù.

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18

02 2009

Soltanto oggi (LVII) [translators edition]

Dotare
Il re era dotato di scettro.

Crudeltà
La ragazza era stata violentemente addotta.

Abilità
Disegnò un esagono geometrico.

[In caso ve lo stiate chiedendo, non vengono da traduttori "professionisti", ma da alcune prove di traduzione. Non per questo...]

17

02 2009

Proprio così

Tutto quello che avreste sempre voluto sapere, tutto quello che una CE non vi potrà mai dire.

From the Typewriter to the Bookstore: A Publishing Story

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02

02 2009

Come se

E’ che talvolta ti viene proprio voglia che vadano male i libri, cioè che non li legga nessuno. Perché, quando vanno bene, tutti – ma proprio tutti – si sentono in dovere di muovere delle critiche o al testo o alla copertina o alla bandella o a tutte queste cose insieme. E’ come se, non esercitando questo loro diritto, non possano essere ammessi alla festa del successo. E’ come se, così facendo, dimostrino di aver partecipato alla nascita del libro. E’ come se, grazie al loro contributo, il libro venisse osservato da un nuovo, imperdibile punto di vista.
Le critiche sono giuste e possono essere utili. Certe però (mi) fanno letteralmente imbufalire. Sono le critiche a-vocaliche (“Non mi è piaciuto.” “Perché? “Hmps…”), le critiche “io lo so e tu no”  (“Che ignorante! Come fa a dire che quello è un episodio della vita di Napoleone?” “Be’, veramente lo raccontano così lo studioso X, il testimone Y e una lettera autografa… come si dice nella bibliografia.”), le critiche “ragiono con tutto ma non con il cervello” (“Bah, il nome del protagonista è proprio orribile.”) e le critiche “stavo pensando ad altro” (“Però che finale stupido,  quando la moglie lo uccide…” “Guarda che non lo uccide lei, ma il cugino.”)
Mi sembra che Anatole France abbia detto: “I libri sono l’oppio dell’Occidente.” Chissà se aveva immaginato anche questi effetti collaterali…

P.S. Continuo a non avere tempo di commentare i commenti. Ma voi scrivete, perché io vi leggo. E’ questo che volete, no? :-)

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29

01 2009

Umiliati e invidiosi

E dopo anni di sposta la scritta, ingrandisci il particolare, cambia carattere, virala in blu, voglio un’altra immagine, ci deve essere una figura femminile, allunga il titolo, unisci le foto, metti un albero in quarta, abbassa tutto, non si legge una mazza, non c’entra una cippa e, soprattutto, l’immarcescibile fa così schifo che non la vorrei neanche per un libro della concorrenza, ti imbatti in queste.
No, non sono semplicemente belle. Sono umilianti. Sono come certe (rarissime) frasi che trovi in certi (rarissimi) libri e che ti fanno borbottare: “Perché non mi è mai venuto in mente di dirlo così?”
Sono così umilianti che, per essere sincera, la loro accecante raffinatezza e la loro elegante (ma anche sfacciata) autonomia dal testo che “racchiudono” un po’ mi disturbano.
Ma forse è solo invidia.
Forse, eh?

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23

01 2009

Miei

A volte li odio, i miei libri. Li odio perché, per esistere, spesso richiedono un’energia sproporzionata.  Li odio perché sono tutti uguali e io ho poche, spuntatissime armi per rivelare la loro unicità. Li odio perché passano rapidi, mentre io li ricordo tutti, a uno a uno. Li odio perché sono stati scelti per passione oppure per calcolo e poi comunque diventano un inestricabile groviglio di amore e commercio. Ma soprattutto li odio perché non sono affatto “miei”: appartengono ai lettori e all’autore (sì, in quest’ordine).  E ciò che di mio ho lasciato in loro temo sia perso per sempre.

13

01 2009