Posts Tagged ‘manuali’

Lego, -is, lēgi, lectum, -ĕre (II)

Vi spiegavo qui alcuni motivi per non diventare un lettore per una CE. Però – vi starete chiedendo con ansia – ci sono motivi per diventarlo? E quali sono le caratteristiche imprescindibili di un buon lettore?

  1. Lettura (passione sconfinata per) Amate leggere, di tutto o di un genere definito. Onnivori o selettivi, vi piace trovare sempre qualcosa di nuovo o scoprire le varianti di ciò che amate. Forse è banale dirlo, ma questo è un requisito fondamentale. Per essere lettori bisogna aver letto molto e avere il desiderio di leggere molto. E’ la solita storia della competenza. Se l’avete acquisita, non c’è niente di meglio che la possibilità di usarla. Deve però combinarsi con…
  2. Lettura (velocità di) Non sempre i lettori voraci sono lettori rapidi. Per le letture professionali, invece, spesso è richiesta una prontezza notevole. Quindi non si parla della fantastica lettura pigra e oziosa, ma dell’occhio pronto, della capacità di cogliere i nessi logici e narrativi, di individuare quanto un testo sia nuovo o rimasticato, forzatamente originale o tranquillamente e onestamente “classico”. Qui entra in gioco anche l’eventuale (buona) padronanza della lingua straniera.
  3. Tempo (disponibilità di) Siete studenti, lavorate part-time, soffrite d’insonnia… Se avete tempo a disposizione, allora diventare lettore potrebbe essere un modo adeguato per metterlo a frutto. Come dicevo, non guadagnerete molto, ma vuoi mettere la soddisfazione di dire: “No, stasera non esco, ho un manoscritto da leggere e la CE aspetta il mio insindacabile giudizio entro domani…”?
  4. Scrittura (esercizio della) Come dimostrano tanti grandi autori, saper scrivere una relazione di lettura è un’arte. Dovete comunicare in uno spazio ridotto la dinamica della storia (se si tratta di un romanzo) o la struttura di un testo (nel caso di un saggio). Essere chiari, puntuali, precisi e convincenti, sia nell’approvazione sia nella stroncatura. Insomma è un esercizio fantastico per mettersi alla prova come scrittori. E questo è il motivo per cui la relazione di lettura può essere una…
  5. Chiave (della CE) Essere buoni, ottimi lettori – lettori fidati – è una chiave che apre molte porte in una CE. Una lettura convincente è la dimostrazione che siete rapidi, che sapete di cosa parlate, che siete entusiasti e che sapete scrivere. Tutte qualità che possono condurre, per esempio, sulla strada della traduzione.

Per farla breve: quello del lettore è (può essere, può diventare) un investimento di lavoro. Però, se vi capitano soltanto ciofeche, non venite a lamentarvi da me, eh?

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12

03 2008

Lego, -is, lēgi, lectum, -ĕre (I)

Un’altra “pressante” richiesta: come si diventa lettori per una CE?
Siccome oggi mi sento un po’ bastian contraria, comincerò col dirvi i quattro motivi per non diventarlo.

  1. Soldi (scarsità di) Ne vedrete proprio pochini. Non vi posso dare tariffe precise (che comunque variano da CE a CE), ma fidatevi: non ci potete davvero campare.
  2. Tempo (richiesta di) Ce ne vuole tanto. Anzitutto perché raramente leggere un libro porta via dieci-venti minuti. E poi perché vi viene data una scadenza di consegna della scheda di lettura: due-tre giorni, una settimana, dieci giorni… E, se pensate che in fondo si possa fare, ricordatevi che, in questo tempo, va compresa anche la stesura della scheda, che deve essere chiara e completa. Anche se il libro non vi è piaciuto, anche se è stata una tortura arrivare alla fine delle seicento pagine che vi sono state affibbiate. Insomma: se avete un lavoro, non vi risulterà facile restare nei tempi.
  3. Qualità (ricerca disperata della) Probabilmente una delle spinte più forti a diventare lettori è la speranza di leggere bei libri. Sbagliato. Non ho intenzione di fare statistiche precise su di me perché cadrei istantaneamente in depressione ma, se proprio mi obbligassero a fare una proporzione direi 150:1. Siete stati avvertiti.
  4. Frustrazione (abbondanza di) Ovvia conseguenza del punto 3. Ma c’è anche il caso inverso: il libro da voi amato alla follia viene ignorato dalla CE per la quale lo avete letto. E voi finite per sentirvi traditi, per arrabbiarvi eccetera. Senza contare che, se il libro da voi letto – con qualsiasi esito – sarà pubblicato e avrà successo, nessuno vi ringrazierà.

In sintesi: se volete guadagnare poco, cancellare qualche ora di sonno, leggere testi dai quali spesso stareste volentieri alla larga ed essere ignorati, allora potete fare i lettori.

( – su, dai, continua… -)

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05

03 2008

Penna e calamaio (VI)

Be’, insomma, direi che il più è fatto. Se hai letto qui e qui, sai cosa voglio dire. Non ci manca che la

Competenza Si articola in due fasi, da sviluppare in parallelo: la competenza esterna e quella interna. Su quella esterna c’è poco da dire, anzi c’è da dire soltanto un verbo: leggere. Leggi tutto quello che puoi, senza fermarti davanti a stili, forme e metodi espressivi. Leggi (o impara a leggere) un articolo, un quadro, una canzone, un film, un cartello stradale, un bugiardino, una vignetta… Leggi con vampiricità (sic!) ogni libro il cui argomento ti interessa anche soltanto un poco e, ogni tanto, anche qualche libro di cui magari non ti importa nulla, però che è stato letto da tutti (un libro altovendente, insomma). E non per copiare, ma per capire. Perché il tuo libro non finirà soltanto sui banchi delle librerie, ma davanti a un potenziale lettore la cui testa è (stra)piena di tutti quegli stimoli attraverso i quali tu sarai già passato/a con consapevolezza e competenza (acquisita). Anche se il tuo romanzo parla di Djedekheperu.
Pure la competenza interna si può riassumere in un unico verbo: scrivere. Sembra banale (o assurdo, a seconda dei punti di vista), ma è la realtà: molti dei manoscritti che ricevo rivelano al primo sguardo che l’autore/l’autrice non ha dimestichezza con la scrittura. Dimestichezza intensamente quotidiana, intendo. Non si nasce scrittori/scrittrici riempiendo le pagine e poi dicendo a se stessi/e: “Ho scritto un romanzo/un saggio”. Si scrive sempre, di molto e di tutto, sempre e comunque. E’ facilissimo perdere familiarità con la scrittura. Nel mio piccolo, lo noto spesso: se lascio passare, diciamo, un mese tra una bandella e la successiva, faticherò di più a scrivere la seconda. Appunti, lettere, liste, poesie, brani di romanzi destinati a morire: non importa. La scrittura e il pensiero della scrittura devono diventare (quasi) naturali.

Ci sarebbe moltissimo altro da dire, ma direi che i miei umili, banali consigli, per ora, possono fermarsi qui. Io non so se diventerai un autore/un’autrice di successo (la solita storia: se sapessi annusare il talento, sarei ricca e spaparanzata su una spiaggia dei Caraibi, eccetera eccetera). Ma credo di averti dato qualche elemento per riflettere su come si diventa un autore/un’autrice. I libri di barzellette, i romanzi scalcagnati, gli pseudo-saggi ci saranno sempre. E nessuno ti impedisce di inseguire fama e denaro giocando il tutto per tutto in quel senso. Ma se vuoi diventare un autore/un’autrice, la strada è un’altra. E, ti assicuro, chi lavora in una CE lo sa benissimo.

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03

03 2008

Penna e calamaio (V)

Dicevamo: a un autore/un’autrice esordiente servono consapevolezza, chiarezza d’intenti e competenza. Della prima, ho parlato qui. E adesso…

Chiarezza d’intenti Semplicissimo: cosa vuoi scrivere? Ti ricordo che qui non si parla della scrittura personale, intima, per sé o per la propria cerchia di amici. Si parla di mettere un libro sui banchi delle librerie (che ospitano centinaia di altri libri), di offrirlo a un lettore che, di solito, decide rapidamente cosa vuole comprare e leggere. Sì, certo, la CE ti aiuta con copertina, bandella eccetera, ma poi? Una volta che il lettore ha deciso di investire soldi e tempo nel tuo libro, cosa troverà? E’ un altro degli errori più frequenti che trovo nei manoscritti: non c’è un senso, uno scopo in quello che trovo scritto, un intento chiaro, culturale o d’intrattenimento. Anche qui, si ricade nell’affanno, nell’abbuffata di cose, personaggi, generi, nell’illusione che più roba c’è e meglio è. Persino i saggi non sono “sulle urne etrusche rinvenute nel sito di Soiodove”, ma vengono presentati come “una travolgente cavalcata nei secoli e nelle forme espressive in relazione all’evento della morte, con particolare attenzione alla sua prospettiva etrusca come rivelata nelle urne trovate a Soiodove”. E’ chiaro che si tratta dell’ennesimo prodotto dei (di questi ultimi) tempi. Visto che i mischioni vanno forte, ci si convince che nessuno voglia “leggere un giallo”, ma che invece si esalti per “un giallo percorso da intriganti venature antropologiche e con sorprendenti riferimenti alla teoria della relatività ristretta.” E invece la chiarezza (anzitutto d’intenti) paga.
Il passo successivo potrebbe essere: parti da ciò che ti piace leggere. Ed è una buona partenza, ma non esaurisce la questione. Copiare da quelli che ci piacciono (possibilmente da quelli bravi) è un ottimo esercizio, anzi è un esercizio spesso necessario ma sempre esercizio rimane. La chiarezza d’intenti – il desiderio di capire cosa si vuole scrivere, perché si vuole proprio scrivere quella cosa e la convinzione di saper dire quella cosa – è ben più profonda, perché dà un solido senso a quello che state facendo. E soprattutto lo comunica a chi, per primo, leggerà il vostro testo. E’ un modo per provare che conoscete l’argomento, lo avete assimilato e volete comunicare qualcosa al lettore.
Mickey Spillane diceva: “The first chapter sells the book. The last chapter sells the next book.” Io, molto più umilmente, vi chiedo: sapete cosa mettere tra il “first chapter” e il “last chapter”?

( – continua – )

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27

02 2008

Penna e calamaio (IV)

Va bene, ho scherzato. Non importa il perché. Vuoi essere pubblicato/a e basta.
Sei un/un’esordiente e vuoi essere pubblicato/a (si torna sempre lì, eh?).
Potrei metterla così: anche in questo non siamo americani. Fatevi un giro su Amazon o sul sitarello artigianale di qualsiasi piccolo, piccolissimo autore e vedrete come ci crede, a quello che fa.
Potrei anche dire che pubblicare in Italia, per molti, equivale a vincere un po’ di soldi col gratta e vinci. Minimo sforzo, massimo risultato. E come no? E’ arcinoto che in Italia i letterati guadagnano più di qualsiasi CEO.
In termini un po’ più seri, direi che troppo spesso, in un/un’esordiente mancano la consapevolezza, la chiarezza d’intenti e la competenza (come già dicevo qui)

Consapevolezza In primis quella di (voler) essere uno scrittore. L’idea che scrivere sia un’attività spontanea, che sgorga dal cuore, fluisce naturalmente sulla pagina e arriva senza difficoltà a toccare il cuore e la mente degli altri è quanto meno impregnata di un dannoso romanticismo. Probabilmente conoscete la frase di Fenoglio: “Scrivo per un’infinità di motivi. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti.” Questa consapevolezza della fatica manca nell’80 per cento dei manoscritti che mi trovo a esaminare: testi ansimanti e ansiosi, affastellati di idee o malamente costruiti intorno a un’ideuzza a effetto, che magari alternano senza ragione vette auliche e valli di volgarità, che non sanno cosa stanno dicendo né come lo vogliono dire. Vuoi essere pubblicato/a? Allora vuoi essere uno scrittore/una scrittrice pubblicato/a. Ma ti sei mai chiesto/a come si scrive? Ti sei mai chiesto/a quali passi sono necessari per diventare uno scrittore/una scrittrice? Hai consapevolezza di quello che vuoi fare?
E’ ovvio che, in moltissimi casi, la risposta a queste domande è no. E, ai fini del risultato, non importa se questo no è detto in malafede o in buona fede. Lo ripeto (e lo farò fino alla nausea): qui si parla di pubblicazione, non di semplice scrittura (nel privato, fate quello che volete). La pagina pubblicata “banale” può essere il frutto di un lavoro ben più pesante della pagina pubblicata “eccentrica”. La consapevolezza della scrittura è qualcosa che si apprende, con sforzo, pazienza e applicazione. Leggendo, per esempio. E andando al di là della lettura per scoprire che cosa regge quella storia, come è stata strutturata narrativamente, stilisticamente, grammaticalmente. Leggendo di tutto. Scrivendo (provando a scrivere di) tutto. E cercando quale tipo di scrittore/scrittrice si vuole essere.

(- continua -)

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25

02 2008

CV

Rispondo in pubblico a una e-mail ricevuta in privato, perché mi sono accorta che, in questi mesi, i “soltanto oggi” sono stati la pars destruens e adesso c’è bisogno di una sana pars construens (perché a dire ’ste cose mi sento tanto Veltroni? Mah!)
Comunque.
Come si scrive un curriculum a una CE?
Due elementi base: sincerità e semplicità.
La semplicità sta anzitutto nel curriculum stesso. Ci sono un sacco di siti che insegnano cosa mettere o cosa non mettere in un curriculum e io non sto a ripetere quello che dicono. Il buon senso (talvolta) s’impara.
E’ la lettera di presentazione su cui spesso si scivola. Perché il più delle volte è imprecisa, dice troppo oppure non dice nulla. Come ormai avete intuito, di certi aspiranti traduttori magari si scopre che giocano a squash però non è dato sapere quali lingue conoscono.
E così si arriva alla sincerità.

  • Indicate sempre e subito cosa volete fare (lettore, traduttore, correttore di bozze eccetera) e questo vale sia per l’oggetto della lettera sia per l’oggetto della e-mail.
  • Descrivete in due paragrafi di massimo dieci righe ciascuno perché volete fare quel lavoro e/o perché siete qualificati per farlo. Precisate sempre qual è l’ambito letterario che v’interessa di più, dimostrando che lo conoscete. Non basta dire: “mi piace la fiction”, dovete essere più precisi: “sono un lettore di saggistica storica” è molto meglio; non basta dire: “seguo la vostra produzione” perché è una frase che suona falsissima; piuttosto citate un libro di quella CE che avete letto e che vi sarebbe piaciuto leggere/tradurre.
  • Dichiarate subito le lingue con cui sapete/volete lavorare e lasciate perdere le varie conoscenze attive e/o passive. Se affermate che volete tradurre dalla lingua dzongkha, io mi fido. Non credo che avrò molto lavoro da darvi, però mi fido. Ovviamente tutto ciò va detto mettendosi le due mani sulla coscienza.
    Non si diventa lettore se non si ama leggere.
    Non si diventa traduttore se non si conosce l’italiano (e almeno una lingua straniera).
    Non si diventa correttore di bozze se si mandano lettere che cominciano con “Egrego signore”.
  • Non usate un tono troppo formale né troppo informale. Non state facendo un ordine di cuscinetti a sfera (via le maiuscole del tipo “la Sua CE”, “il Vs catalogo”), ma non state neppure scrivendo al vostro vicino di ombrellone (“la sua CE è fichissima!!!!!”).
  • Verificare sempre l’assenza di errori di battitura, grammaticali, sintattici, eccetera.

Optional

  • Foto? A me non fa né caldo né freddo. So che a qualcuno piace. Almeno evitate sia quelle “Ciao mamma guarda quanto mi diverto” sia quelle tipo “A me Jeffrey Dahmer fa un baffo”.
  • Interessi personali? Se sono in qualche modo legati alla vostra “offerta”, ben vengano. Il fatto che siate appassionati di storia e che abbiate pure fatto qualche campagna di scavo archeologico può essere un elemento in più.
  • Conoscenze informatiche? Quelle di base le do per scontate (mi fa sempre ridere leggere: “Programmi conosciuti: Outlook e Outlook express, Internet explorer…”) Ma se sapete fare qualcosa di più, ditelo pure nel curriculum.

E infine la cosa più importante: il curriculum va rimandato almeno una volta all’anno (se non ogni sei mesi). Perché le cose, le persone e le esigenze cambiano e voi non potete saperlo. Quindi tenetelo aggiornato e rimandatelo, come se fosse la prima volta.

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22

02 2008

Penna e calamaio (III) [intervallo]

Dopo aver scorso i commenti alla serie “Penna e calamaio”, vorrei prendermi qualche riga per chiarire alcune cose.
“Penna e calamaio” è una serie di consigli.
Non è affatto esaustiva. L’argomento del chi/cosa/dove/come/perché/quando/in/con/su/per/tra/fra si pubblica è sconfinato e ha migliaia di eccezioni e casi particolari.
Nasce da esperienze personalissime.
Ed è quindi possibilissimo che qualcun altro, in un’altra CE, vi dica cose del tutto diverse da quelle che scrivo.
Ma voi date retta a me, vero? :-)

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14

02 2008

Penna e calamaio (III)

Va bene, ho capito: volete essere pubblicati/e. Volete essere riconosciuti/e. Volete avere successo.
E chi sono io per oppormi?
Ah, già. Lavoro in una CE e forse leggerò il frutto del vostro lavoro. Dunque qualcuno sono (limitatamente alla lettura e al giudizio, sia chiaro).
Vi chiedo allora di mettervi nei miei panni per qualche minuto (poi vi lascio tornare autori/autrici, non preoccupatevi).
In una CE i libri si mangiano, proprio come ha detto qualcuno. Noi seguiamo una dieta dissociata in cui l’unica cosa di cui ci è consentito nutrirci sono le varie parti di un libro. Siamo come gli ebrei nel deserto: da generazioni, ogni giorno, ci nutriamo di manna-libro.
Quindi il vostro testo, in sé, non può suscitarci un brivido soltanto perché esiste.
E spesso non lo suscita neanche in seconda battuta.
Perché?
Come al solito, le ragioni sono diverse.

  • Il vostro libro non esiste. E’ meno frequente di una volta, ma qualcuno scrive ancora dicendo: “Ho intenzione di…” Vi faccio un esempio: siete andati da un meccanico perché la vostra auto perde olio e, dopo avervi ascoltato, lui vi guarda e dice: “Eh, bisognerebbe controllare la coppa dell’olio” e poi rimane a fissarvi, immobile. E’ la stessa situazione. Una sottocategoria ugualmente deleteria è quella del manoscritto incompleto: “Ho scritto quattordici pagine di questo romanzo, se volete continuo.” Se volete?
  • Il vostro libro non è quello giusto. Caso molto più frequente: la CE a cui mandare il libro è stata scelta in assoluto sprezzo di qualsiasi logica. Volumetti di poesie spediti a CE di saggistica storica; romanzi fantascientifici mandati a CE che pubblicano solo romanzi rosa, eccetera. Nessuno ve lo impedisce: ma non tirate poi fuori la storia del “Sono un genio del romanzo d’azione e X non mi pubblica”, se X ha in catalogo soltanto testi sulla mitologia europea.
  • Il vostro libro non c’è. E non intendo fisicamente. Le pagine sono lì, tutte stampate. Ma sono poco più di un brogliaccio, senza controllo stilistico, tematico o di trama. Ci state provando, insomma, magari pure in buona fede. Avete buttato giù quello che vi passava per la testa, convinti di aver avuto l’ispirazione. Non escludo che l’abbiate pure riletto, esaltandovi per quanto era bello. Mi dispiace, ma spesso, in questi casi, lo slancio predominante è un arruffato desiderio di mettersi in mostra, di tirar fuori qualcosa per chiarirsi le idee, per sfogarsi… Lo dico sintetizzando un discorso molto lungo: l’ispirazione è un concetto molto comodo, perché giustifica qualsiasi castroneria. Devo ancora incontrarlo lo scrittore che mi parla con convincimento autentico di ispirazione come primo motore di quello che scrive.
  • Il vostro libro c’è già. Il successo di un certo “codice”, per esempio, ha portato prepotentemente alla luce un Paese di parecchie centinaia di archeologi-scrittori, i quali hanno creato valanghe di romanzi con reliquie ritrovate a Rosslyn dopo improbabili cacce al tesoro a Capracotta. Un impulso comprensibile, certo. Ma – e qui tocchiamo un punto cruciale – un impulso non sostenuto dalla preparazione, dallo studio, dalla professionalità. Mr. Codice, per dirne una, ha pubblicato tre libri abbastanza ignorati al loro apparire sul mercato. Per competere con uno così, bisogna essere dei professionisti della scrittura. Cosa non facile. Ma questo già lo sapevate… oppure no?
  • Il vostro libro non può essere pubblicato. A mio parere, non ci siamo. Vuoi per la trama, vuoi per lo stile, vuoi per il lavoro immane che servirebbe per tirare fuori qualcosa di convincente dal testo che ho davanti, eccetera. E qui, bisogna ammetterlo, gli stranieri spesso ci staccano nettamente. Non è raro che i manoscritti dei loro esordienti – soprattutto quei manoscritti non ancora passati sotto le mani di un editor – dimostrino una consapevolezza, una chiarezza d’intenti e una competenza quasi introvabili nei nostri.

Siete svegli, quindi avete certamente capito dove sto andando a parare. Ma, per adesso, vi lascio tornare a scrivere.

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14

02 2008

Penna e calamaio (II)

Caro scrittore, cara scrittrice,
se stai leggendo queste righe, probabilmente qui ti sei riconosciuto nel caso 1.
Ti do modo di pensarci ancora un po’.
Perché devi essere sincero/a con te stesso/a.
Fino in fondo.
Perché vuoi essere pubblicato/a? Vediamo le possibili motivazioni.

  • Perché la tua vita è unica, i tuoi sentimenti sono fortissimi, la tua vicenda personale è strabiliante. Abbiamo già detto che nella stragrandissima maggioranza dei casi tutto questo non è vero. Ma, ammettendo pure che sia così, perché questa tua vita unica, fortissima, strabiliante dovrebbe finire in un libro? Non ti basta aver avuto un esistenza fuori del comune, vuoi pure vantartene?
  • Perché hai qualcosa da dire. A chi? Cosa? Come? Sei sicuro/a che non sia già stato adeguatamente detto? Sei sicuro/a di poterlo o doverlo dire diversamente?
  • Ti diverte scrivere. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se “divertirà” anche gli altri? E perché dovresti farlo? Non ti basta il piacere della scrittura?
  • Hai un’enorme fantasia. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se tale fantasia è coerente, se è in grado, per esempio, di sorreggere un libro intero? E perché tale fantasia dovrebbe essere portata agli altri? Non ti basta il piacere di usarla per scrivere?
  • Non puoi fare a meno di scrivere e vuoi diffondere la tua parola. Benissimo. Ma da qui a voler essere pubblicato/a ce ne passa. Hai sufficiente distacco per capire se le cose che scrivi interesseranno anche gli altri?

Guardiamoci negli occhi. Tutte queste motivazioni sono vere e false allo stesso tempo. Sono vere perché (spesso) sono sincere. Ma, in fondo, sono soltanto modi diversi per dire una cosa sola: ciò che davvero s’insegue è la ricerca del riconoscimento pubblico. Nulla di male. Però bisogna ammetterlo. Esiste la necessità (il bisogno, l’urgenza) di scrivere. Non esiste nessuna necessità (bisogno, urgenza) di pubblicare, cioè di rendere pubblico un testo. Sei pronto/a ad ammetterlo?

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12

02 2008

Penna e calamaio (I)

A grande richiesta (?), comincio oggi una serie di sparsi consigli dedicati a coloro che sono decisi a farsi pubblicare.
Saranno brutali, eh? Non dite che non vi avevo avvertito.

Caro scrittore, cara scrittrice,
cominciamo col dire una cosa: non sono tua madre, una tua parente, la tua migliore (o peggiore) amica.
Quindi, in linea generale, la tua vita non mi interessa.
Non vale cambiarti nome. Non vale immaginare di vivere in un’altra città. Non vale affibbiare un altro nome al liceo o al compagno di classe che ti stava antipatico. Non vale immaginarsi un altro lavoro.
E’ tutto inutile.
Perché la tua vita – per te eccezionale, senza dubbio – per me non è affatto eccezionale. E ciò vale anche per i (potenziali) lettori.
Credimi, non sei l’unico/a a essere andato/a in America.
Credimi, non sei l’unico/a ad aver incontrato uno/a sconosciuto/a su un mezzo pubblico.
Credimi, non sei l’unico/a a esserti tormentato/a nel chiederti se lei/lui ti amava.
Cosa dici? Che queste sono esattamente le cose narrate nel libro-in-testa-a-tutte-le-classifiche?
Ah-ah! Ti sei scoperto/a!
Allora non vuoi semplicemente pubblicare. Tu vuoi il successo!
Innanzitutto chiediti: vuoi diventare 1) un autore/un’autrice o 2) un personaggio?
Nel caso 1, posso dirti qualcosa. Per esempio di scrivere la storia che racconta la tua vita e poi buttarla via per scrivere altro. Magari che parta dalla tua vita, ma che non ne ri-tracci il percorso semplicemente infiocchettandolo con qualche metafora.
Nel caso 2, non ho niente da dirti. Ma proprio niente niente niente. A parte buona fortuna.

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02 2008