I wanna be a paperback writer

Qualche considerazione sparsa su un pezzo di Tiziano Scarpa (via Phonkmeister).

Forse per contrastare un abbassamento della qualità delle prestazioni, o per agevolare la scelta del consumatore e dell’utente, in un caos di proposte commerciali in cui è difficile orientarsi: in questo mare di ciofeche, noi ti offriamo l’eccellenza.
La mia impressione è che questo stia accadendo anche nella narrativa. La sovrapproduzione di romanzi rischia di portare la narrativa a una situazione simile a quella, ormai collassata, della poesia: moltissimi scrivono, tanti pubblicano, pochi leggono.

Embè? Senza contare che il paragone con la poesia mi pare non regga proprio.

Un tempo era la critica letteraria a mettere un ideale il bollino di qualità su un libro. Da qualche anno, ciò che decide il successo di un romanzo è sempre più spesso la strategia pubblicitaria, attuata nei modi che abbiamo imparato a conoscere.

Vero e falso. Indubbio: la pubblicità è un traino decisivo. Ma la critica letteraria (proprio perché letteraria) ha sempre snobbato i romanzi commerciali (o d’eccellenza come li chiama Scarpa). E poi mi ribello al fatto che il “bollino di qualità” lo mettano i critici. Consigliare, indirizzare va bene. Decidere, no.

Quali sono gli ingredienti del romanzo d’eccellenza?
1) dev’essere di grande mole, meglio se supera le 500 pagine, in modo da mostrare a colpo d’occhio, persino senza bisogno di leggere il titolo e l’autore, che lo scrittore è un professionista del romanzo, non uno scribacchino della domenica né una rockstar incontinente né un politico vanesio né una casalinga con tanto tempo libero né un professore di liceo che ha messo insieme un centinaio di paginette nelle ferie estive e ha avuto la fortuna di trovare un editore ecc.

Davvero non lo seguo: possibile che non gli sia mai capitato lo “scribacchino della domenica” che manda la prima “puntata” [500 cartelle fitte fitte] del suo romanzo storico, sostenendo “ho già pronti due seguiti”? Possibile che non abbia mai sentito It’s a thousand pages, give or take a few, / I’ll be writing more in a week or two?

2) dev’essere un romanzo storico che abbia richiesto lunghe ricerche, o un noir molto accurato nella rappresentazione documentaria; qualcosa che sia fondato su un valore culturale condiviso, o comunque sancito da storia, mitologia o cronaca: magari per proporre storie e mitologie e cronache alternative o poco note;

Mi sfugge il lato negativo di tutto ciò. E credo che sfugga anche a parecchi autori (anche a quelli “letterari”) degli ultimi duecento anni.
Ci sarebbe altro, ma qui mi fermo.
Continuiamo così, facciamoci del male. Continuiamo a piangere sullo scrittore “ispirato” e, nel contempo, a piangere perché gli italiani non leggono.

Tags:

27

11 2007

4 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Tu e Tiziano Scarpa la pensate allo stesso modo.
    Ma guardate la questione da punti di vista differenti.

  2. catrionapotts #
    2

    Guarda, ovviamente me lo sono chiesta. E la risposta è stata: no, non la pensiamo allo stesso modo. Non ho mai trovato niente di male nel semplice mestiere (anzi) e questo non mi ha mai impedito di apprezzare autori “letterari”. Lui, invece, si lamenta del fatto che gli autori “letterari” vengono cancellati dai mestieranti, un assunto che mi sembra quantomeno azzardato e che rischia di far ricadere tutti in quella miopia che rimproveravo alla giornalista letteraria-televisiva in un post di qualche giorno fa.

  3. 3

    Grazie della lettura. Mi sembra che queste considerazioni partano da un presupposto sbagliato, e cioè che io stia parlando semplicemente dei “romanzi commerciali”. Lo si vede da tutte le chiose di questo post, e in particolare, espicitamente, da quella parentesi che introduce piattamente un sinonimo del tutto errato: “romanzi commerciali (o d’eccellenza come li chiama Scarpa)”. Il mio non è affatto un intervento generico sui “romanzi commerciali” (che sono innumerevoli e di moltissimi tipi), ma su quella che per me è una tendenza particolare e massiccia, che si sta diffondendo in questi anni, e cioè romanzi con ambizioni letterarie che contengono un certo tipo di ingredienti che ho descritto nei particolari (non sto qui a riscrivere il mnio intervento, ovviamente): il romanzone storico di autori considerati letterari (o che aspirano a esserlo) e il noir di qualità basato su cronache vere. Se non è chiaro questo, qualunque commento appiattisce il mio discorso. Infine, io non mi lamento affatto. Io scrivo i miei libri, e oltre a questo mi batto per la letteratura che ritengo abbia valore.

  4. catrionapotts #
    4

    Onorata del commento. Io sono partita dai tre ingredienti che tu elenchi e che applichi ai “casi” romanzo storico e noir. La descrizione di tali ingredienti mi è sembrata perfettamente applicabile ai romanzi commerciali in genere ed ecco perché ho fatto quell’equivalenza che contesti. Quello che volevo dire è che non ci trovo davvero nulla di male nella professionalità (in qualunque modo si declini) del romanziere e non la metto né sotto la volontà di scrivere un “libro di narrativa” né sopra di essa. A dirla tutta, però, sono pure convinta che le “ambizioni letterarie” spesso si esplicitino (o si nascondano) in romanzi molto diversi da quelli che tu definisci “d’eccellenza”. I casi che citi, insomma, mi sembrano più eccezioni che regole, eccezioni che spiccano perché si tratta di libri pubblicati da CE spesso di nobile lignaggio, rivolti cioè a un lettore ideale che richiede ambizioni letterarie. Tieni poi conto il mio punto di vista è quello di chi lavora in una CE e non di un autore, quindi di chi vive ogni giorno l’assurda (la logica?) necessità di accendere sul proprio libro un faro alogeno per farlo emergere dalla massa. La lamentazione, infine, mi sembrava implicita nel tuo sostenere “io fuggo, fuggo verso Queneau, Cortázar, Manganelli, regredisco a…” e si legava a un mio post precedente in cui contestavo a una giornalista la sua lamentela sul fatto che in Italia non si trovi Vita e destino di Grossman e che quindi al lettore italiano non restava che nutrirsi “della fuffa cartacea che l’editoria riversa in libreria.” Sarei felice di rivedere Grossman sugli scaffali o di trovare Queneau in cima alle classifiche, ma mi accontenterei di qualche italiano in più che arrivasse a scoprire nei “romanzi d’eccellenza” il piacere della lettura.



Additional comments powered by BackType