Emergente

Grazie al satellite, è facile imbattersi in inchieste televisive realizzate negli anni Sessanta-Settanta. Ciò che mi colpisce ogni volta è che, da quelle interviste, emerge spesso un’Italia corretta. Un’Italia che magari esita, che ha bisogno di tempo per tirare fuori un congiuntivo o per costruire una frase compiuta, ma che alla fine ci riesce. Con un’economia espressiva talvolta ammirevole.
Non ho bisogno di raccontarvi nei dettagli né il tono né la forma delle interviste di oggi, né di dirvi che un certo modello televisivo ha sclerotizzato la capacità espressiva di molte persone, che si limitano a sciorinare frasi a effetto o a replicare formule sentite chissà dove e quando, senza badare troppo alla forma. E spesso con una tale disinvoltura da far quasi dimenticare la vacuità delle loro affermazioni, una vacuità peraltro utilissima, perché consente di sviluppare il discorso all’infinito (ma questa è un’altra storia).
Mi sento invece di dirvi che tale inconsistenza espressiva sta diventando sempre più palpabile anche nei testi italiani che ricevo. Addirittura nella presentazione. Pochissimi ormai scrivono: “Sono un esordiente” oppure: “Vi mando il mio primo romanzo”. No, l’attuale formula magica è: “Sono un autore emergente”. Ma emergente da cosa? mi viene sempre da pensare. Da quale ipotetico mare, da quale supposto abisso? Sono fissata, lo so. E dovete pure credermi sulla fiducia se vi dico che i testi degli “emergenti” sono quelli più densi di cliché, più incerti, più derivativi, più mariadefilippiani, più lucignoliani.
Si stava meglio quando si stava peggio? Certo che no. La televisione è il nemico? Ovviamente no. Però tu, caro “autore emergente”, non potresti guardarti alle spalle e renderti conto che forse, prima di emergere, bisogna tuffarsi, sprofondare, annegare in qualcosa che rispecchia davvero la tua interiorità e non soltanto il suo riflesso deformato?

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11 2008

12 Commenti Commenta ↓

  1. 1

    Quando vedo le inchieste di cui parli la mia reazione è più o meno la tua.
    Tuttavia, una riflessione successiva rivela come e quanto il sottoculturale aspirazionale sia sempre esistito.
    E’ semplicemente avvenuta quella che un sociologo chiamerebbe “migrazione cross-mediale”: da fotoromanzi, rotocalchi e canzonette alla televisione.
    Del resto, esistono film d’epoca come “Romanzo Popolare”, “Dramma della gelosia” e “Straziami ma di baci saziami” tesi a evidenziare proprio i modi in cui la parlata popolare si fa influenzare – con esiti terrificanti: pensa a “what a lovely day!” – dalle coloriture di quel certo tipo di lessico. Age e Scarpelli ci hanno costruito una fortuna, sullo studio di quelle aberrazioni.
    Tuttavia, se dobbiamo rattristarci del fatto che oggi la tv raggiunge un pubblico infinitamente più vasto di fotoromanzi e canzonette, potremmo se non altro gioire del fatto che espressioni tipo “essere in dolce attesa” siano oggi usate solo ironicamente: una volta, nei discorsi di strada, era un apprezzato eufemismo (?) di “essere incinta”.

  2. fatacarabina #
    2

    Catriona, leggerti è un grande piacere…credimi. E mi fai riflettere sulla mia passione di scrivere. Al punto che temo che oltre il blog mai andrò, per evitare di finire incasellata in una delle categorie che giustamente tu racconti. Baci e grazie

  3. 3

    beh, autodefinirsi “emergente” non è solo sciatteria: è anche presunzione (e “chi si loda s’imbroda!”) ;)

  4. 4

    Paolo mi ha “rubato” il commento ;-) Non posso che dire “sottoscrivo”. Buona settimana, tesoramia.

  5. silviamate #
    5

    Non vorrei essere OT cara Catriona, ma mi è bastato sentire l’intervista della “emergente” carfagna alle Invasioni Barbariche, vero concentrato di banalità, clichè, furberie italiote, gaffes, ignoranza e qui mi fermo, per capire che tanti italiani sono questo, e vogliono questo.

  6. 6

    Maledizione!!!
    Avevo scritto un commento di non so quante righe (beh, massimo 10) e s’è autodistrutto, tipo ispettore Gadget!
    -Riassumo-
    Mi piacciono le tue esternazioni, Catriona ;-)
    Venissi dalle mie parti, scopriresti che l’italiano medio mariadefilippiano è quasi desiderabile.
    Dalle mie parti si ESCONO le COSE dal frigo; si SCENDE il motorino a mare; si ENTRA il motorino in casa; si è IN DOLCE ATTESA più volte nella vita.
    @thePetunias: una volta c’era il palinsesto pedagogizzante; oggi, quel ruolo dovrebbero svolgerlo altre istituzioni; ma non sembra interessi a qualcuno. Temo che lo Stato (o chi ne fa le veci) ci voglia ‘gnurant. A tal proposito, quoto silviamate.
    Buona giornata.

    PS: se ricordate il nome del sociologo, avvisatemi, così evito di frullarmi le meningi. Anzi, vado a fumare che è meglio :-)

  7. 7

    Ti invito ad ascoltare pochi minuti di una radiocronaca di calcio dei tempi che furono… altro linguaggio, altra retorica, altro garbo, altro approccio.

    La lingua si evolve seguendo i costumi (Oh tempora! Oh mores!) e mi chiedo se non siamo invece noi l’élite di vecchi caconi ancorata a un’idea di cultura retrograda.

    Magari ci stiamo perdendo il meglio… e per colpa di congiuntivi e passati remoti!

  8. 8

    :) io adoro cosa scrivi, il modo in cui lo fai. e va da sé che un autore che si definisca “emergente” denuncia di sé, con ciò, probabilmente di più di quanto potrà mai fare il lavoro proposto.

    rispetto alla prima parte della tua riflessione, invece, ho qualche riserva: credo non sia affatto scontato, né sempre semplice, assecondare la capacità di ‘tirare fuori un congiuntivo’ o ‘costruire una frase compiuta’ – da parte di chi ce l’ha -.
    se vogliamo soffermarci al caso della sola “bloggopalla” (che sto tenendo sott’occhio adesso), ammetterai che l’italiano scritto qui e là è assai, assai meno strutturato e corretto di quello che usi tu al ’secondo piano’. :) e, forse, concorderai anche sul fatto che, non fossi la splendida residente di una casa editrice, molto probabilmente finiresti per fare scelte stilistiche diverse e, sostanzialmente, più “povere”. :)
    la mia esperienza personale mi dice che sì, la capacità di espressione è riconosciuta dove esiste; ma, a conti fatti, poi si legge sempre con più piacere chi si abbandona alla scrittura senza tutti questi riguardi, magari anche con cialtroneria, con le concessioni che capitano a un lessico e a una sintassi appunto ‘densi di cliché, incerti, derivativi, mariadefilippiani, lucignoliani’. così, sarà sicuramente capitato anche a te di notare – sul web – di quanti periodi sospesi, anacoluti e eccetera (decisamente fuori dalla possibilità di giustificazione con “la licenza poetica”) traboccano i pezzi di diversi giornalisti professionisti, di diversi tra i blogger più seguiti, di diversi che di scrivere campano.
    allora: seriamente possiamo raccontarci di fare buon gioco a noi stessi, ad esprimerci al meglio di quello che sappiamo?

    sono curiosissima di sentire la tua opinione a riguardo. :) e, ovviamente, non dovrai risparmiarti di appuntare quanto è “leggibile” questo mio commento! ;)

    [ora mi è venuto (come quasi sempre) in mente nielsen, che scriveva: "certo, tu puoi organizzare il tuo spazio web come ti pare. MA tieni conto che chiunque il suo tempo lo passa per lo più altrove, e sei decisamente un fallito se credi di poter imporre il tuo gusto vs. le sue aspettative."]

    …perché tu giustamente accusi l”inconsistenza di forma’, ma: se dobbiamo – come dobbiamo – confrontarci su terreno comune, oggi non è parecchio più molèsta, e attaccabile!, la “consistenza”?

  9. 9

    mi viene il sospetto che le parole più belle siano quelle di chi non è emerso mai, di chi ha nuotato sempre e solo verso il fondale oceanico-emotivo, allontanandosi dalla superficie. sempre un movimento verticale, a conti fatti. lo stesso, a guardarlo da sotto.

  10. 10

    Concordo con Petunias.

    Vorrei tuttavia spostare la riflessione su un versante complementare, ossia la presunzione.
    In sostanza, secondo me, grazie in parte alla televisione e in parte a una cultura di base indubitabilmente (sebbene relativamente) più alta che in passato, sembra che molti pensino di possedere e sapere gestire strumenti che in realtà non hanno, o hanno in misura minima.
    Questo, unito all’italianità del sono più furbo e accompagnato spesso da una buona dose di aggressività, porta agli atteggiamenti: ne so più di te, sarai pure un critico di qualsiasi cosa tuttavia, sono un emergente e non uno sconosciuto che vorrebbe tentare.

    Tutte queste persone paiono palesemente esserne inconsapevoli, e in quanto tali, e su questo versante, a mio avviso si comprenderebbe la loro ignoranza e la loro inconsistenza.

  11. Zia Bisbetica #
    11

    Forse è la scuola che non è più un amico, da troppo tempo. Si esprime meglio mio padre che ha fatto solo le elementari negli anni ‘40, dei ragazzi che ho incontrato da docente a contratto alla Sapienza pochi anni fa… La tivù appiattisce e banalizza, ma non c’è (quasi) più niente a contrastarla.

  12. Catriona Potts #
    12

    @ The Petunias Senza dubbio. E io vado ancora più indietro rispetto ai film citati – che rappresentano ormai una riflessione ironica sul fenomeno –, ricordando per esempio i film di Matarazzo (vero tesoro lessical-espressivo). Ma bisogna ovviamente risalire al momento in cui gli italiani hanno scoperto che non soltanto poteva esistere una lingua italiana, ma addirittura un sistema culturale in cui ritrovarsi. Quindi si va ancora più su, forse sino alla Invernizio…
    Quanto al “dolce attesa”, sai che mia madre, talvolta, se ne esce ancora con espressioni ineffabili del tipo: “Sai, Lucia aspetta…” oppure “Sai, Lucia, sta per comprare…” :-)
    @ fatacarabina Non essere così pessimista, dai. Grazie.
    @ paolo beneforti Io non lo volevo dire…
    @ Mitì E così siamo in tre. Grazie.
    @ silviamate Sei OT, ma solo un poco. Lo so, è difficile, sgradevole e irritante ascoltare certe dichiarazioni. Però non riesco a smettere di sperare che, a poco a poco, la crosta cada e qualche ferita aperta susciti un giustificato e diffuso orrore…
    @ vitzbank Ma forse quelle sono espressioni dialettali, dai… :-D
    Non per fare, appunto, quelli che “si stava meglio eccetera” però è vero, un tempo le potenzialità educative della televisione erano meglio sfruttate. Ma si partiva da una curiosità bruciante per il mezzo, dalla disponibilità di assorbire qualsiasi cosa. Oggi siamo – in apparenza – spettatori scafati ed esigenti. Ci sarebbero tanti modelli da seguire, ma è di certo più comodo seguire la banalità.
    @ Rumenta Stai provocando, lo sento, ma ti rispondo lo stesso: no, non siamo ciecamente ancorati. La forma è chiarezza, quindi è importante e lo sarà sempre. Anch’io ricordo bene quelle radiocronache, ma forse le ricordo con le orecchie della memoria, quindi mitizzo (mitizziamo) un po’… :-)
    @ Valentina Aspetta che tiro il fiato. Troppi spunti, mi dai, e troppe riflessioni ci sarebbero da fare. E il tuo commento – lo devo ammettere – mescola tante cose… :-) Solo qualche appunto sparso: nella blogopalla (per me ha una sola “g”) ho trovato più struttura e più chiarezza di quanto mi fossi aspettata all’inizio. Spesso il blog vive di umori e di slanci e soprattutto vive dell’individuo che c’è dietro. Non ha ambizioni di trascendenza letteraria, non si pone come summa di un’esperienza collettiva. Forse per questo è più libero e forse per questo io sono più tollerante con questa forma espressiva. I giornali sono un altro discorso. Gli scritti di coloro che con la scrittura ci campano sono ancora un altro discorso. Non so se chi scrive un blog si esprime al meglio, ma, da un certo punto di vista, non mi interessa. Fa un atto di narrazione-riflessione pubblica, non impone un bel niente (non si fa neppure pagare!) e questo mi basta.
    Mi chiedi: scriverei così se non lavorassi in una CE? Mi spiace, dovrai fidarti della mia parola (fondata su numerosi fogli vergati pre-CE): direi proprio di sì :-)
    Grazie per le belle cose che mi dici.
    @ AnniKa Chissà. Ma, se è come dici tu, forse non lo sapremo mai…
    @ Spettatore di provincia E io che pensavo di aver ormai rotto le scatole al mondo intero con la mia storia della “consapevolezza”! Sì, sono d’accordo. Anche se non sono certissima che sia una caratteristica solo italiana…
    @ Zia Bisbetica È da troppo tempo che sono lontana dalla scuola per poterne parlare con cognizione di causa. Però, come ho detto tante volte, non sono completamente d’accordo con la tua opinione sulla televisione. Questa TV banalizza. E banalizza perché nessuno ci ha mai insegnato a leggere le immagini. Non mi far attaccare ’sto discorso, altrimenti non smetto più… ;-)



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