(When) I’m sixty-four
Starò invecchiando (si fa per dire, eh?), ma ormai ci sono poche cose che mi fanno scattare come il disordine. E non parlo di quello sulle scrivanie, negli armadi o nei cassetti. Ma (ovviamente) del disordine nel trattare il libro.
Così mi trovo sempre più spesso a ricevere bozze che sembrano sopravvissute a un’esplosione nucleare (nonché a un incontro ravvicinato con svariate pizzette); a vedere correzioni scarabocchiate come se chiunque avesse tempo, occhi, modo e volontà di decifrare uno sgorbio che, con due secondi in più di attenzione, si sarebbe trasformato in una parola leggibilissima; a trattare con persone che ti consegnano la versione superata di un testo, accorgendosi dell’errore soltanto dopo un bel po’ e giustificandosi con un: “Be’, sai, i file hanno nomi così simili…” (certo, i file si autobattezzano, come no?); a sentire la frase: “Eh, sì, avevo pensato anch’io che forse non andava bene…” come se ciò emendasse il fatto che lì, nerissima su bianco, c’è un’immane castroneria.
Che ci volete fare… Sì, be’, avevo pensato anch’io che fosse meglio mollare tutto. Poi però mi sono accorta che era un atteggiamento superato e allora mi sono rassegnata, spargendo in giro un po’ di fogli e addentando una pizzetta.